Dopo l’ultimo post su occupazione e disoccupazione un amico mi ha detto che sto sfocalizzando troppo il blog, che rischio il delirio tuttologico e l’appannamento della credibilità dedicandomi ad argomenti in cui non sono esperto.
C’è del vero, quindi ribadisco il core business di questo blog con un post strettamente di marketing, ispirato anche dal fatto che durante il recente viaggio di lavoro a Chicago, sulla strada per l’aeroporto ho trovato una mezz’ora per passare per gli uffici dell’American Marketing Association, rinnovare la mia iscrizione e recuperare i vecchi numeri di Marketing Management che non avevo ricevuto (da qualche parte c’è un postino esperto di marketing).
Comincio dicendo una cosa che ho ripetuto spesso nei miei post; i principi del buon marketing non sono cambiati (molto) nel tempo e non cambiano tra i diversi settori, quello che cambia è il contesto e quindi le modalità di applicazione.
Dimostrazione
Questi sono i principi di una buona pubblicità presentati da un manager di una grande agenzia italiana/multinazionale al master SMEA nel1988 (per capirsi 5 anni prima che fosse creato il World Wide Web e quando il fax era una novità che avevano solo qualli più all’avanguardia): una buona pubblicità deve
- essere rivolta direttamente al consumatore;
- espressa nel linguaggio che il consumatore utilizza normalmente;
- concentrata su una sola idea;
- concentrata sull’idea chiave identificata dalla ricerca di mercato;
- avere un trattamento unico e competitivo;
- essere credibile, non ingannatoria;
- essere semplice, chiara e completa;
- avere un messaggio combinato strettamente con il prodotto (servizio) che promuove;
- sfruttare pienamente il mezzo utilizzato;
- spingere all’acquisto.
Cambiate pubblicità con comunicazione ed avrete delle ottime linee guida per le vostre strategie di comunicazione (anche digitali) nel 2013.
In realtà la differenziazione digitale/analogico è solamente tecnica, non concettuale perchè tutto avviene nella testa delle persone e la testa è una.
In un’intervista David Meerman Scott dice giustamente che se qualcuno cerca informazioni riguardo ad un prodotto sul web non gli interesse se le trova attraverso google o i propri contatti, se le trova su un blog, un articolo, un video su youtube oppure il sito di un’azienda. La migliore informazione (in termini di completezza e credibilità n.d.a.) sarà quella che vince.
Io aggiungo che mi sembra sbagliato limitarsi solamente al web, lo stesso ragionamento vale se l’informazione arriva da uno spot TV/radio, da un giornale stampato, dal commento di un amico/conoscente. Il mondo delle persone è uno solo e dentro c’è sia l’off che l’on line.
Lo stesso autore identifica 4 modalità che le organizzazioni hanno per generare attenzione nei loro confronti, le prime tre legate all’analogico e la quarta legata al Web.
1. BUY Le organizzazioni comprano attenzione (si chiama pubblicità).
2. BEG Le organizzazioni elemosinano attenzione (si chiamano pubbliche relazioni).
3. BUG Le organizzazioni scocciano le persone una alla volta per avere la loro attenzione (si chiama vendita diretta).
4. EARNLe organizzazioni ottengono attenzione on line creando contenuti interessanti e pubblicandoli gratuitamente sul web.
A parte che sarebbe stato più elegante trovare un termine che iniziasse con la “B” anche per l’ultima modalità (bring in non ha esattamente lo stesso significato, però è un buon sinonimo ed avrebbe permesso di parlare delle “4B”), non sono d’accordo con questa visione concettualmente web centrica.
La rilevanza del messaggio (sintesi di interesse del contenuto, credibilità dell’emittente e visibilità del mezzo) è comunque la precondizione per avere l’attenzione dell’audience (che altro non è se non un sinonimo di “segmento di mercato”).
Viceversa la pubblicità resta un mero acquisto di spazi media, le PR uno spreco di carta che finiscono nel cestino dei giornalisti/bloggers/lettori (a seconda del livello a cui bengono cestinate e scocciare le persone rimane esattamente scocciare le persone, quindi un boomerang comunicativo.
Le differenze tecniche nell’attuale ambiente socio-mediatico riguardano la facilità, basso costo e rapidità con cui è possibile diffondere i messaggi sul web, messaggi che possono poi riverberarsi sui media off-line se sufficientemente rilevanti.
L’implicazione, sottolineata da Scott è che si riduce il vantaggio competitivo della dimensione e del potere d’acquisto dei media da parte delle organizzazioni a favore della velocità e dell’agilità (io ci aggiungerei anche capacità ed accuratezza, elementi costitutivi della credibilità). In altre parole un concetto che ho imparato nel 1994 e mi è capitato di utilizzare spesso in azienda: non sempre il più grande batte il più piccolo, ma (quasi) sempre il più veloce batte il più lento.
Ma veloci in cosa? Già in passato in un vecchio post ho detto che nessuno compra prodotti, tutti comprano i servizi che ottengono dall’uso dei prodotti.
John Deighton in un’altro articolo da un’interessante definizione di quello che è il modello di business del nuovo secolo dicendo che siamo tutti nell’editoria nel senso che il modello di business in tutti i settori si basa(baserà) sulle capacità di creare contenuti, cercarli, selezionarli e disseminarli verso un audience, mappare il percorso dell’audience rispetto ai contenuti disseminati e, alla fine, monetizzare. Ogni azienda dovrà definire il proprio posto nello scenario competitivo attraverso i contenuti che è in creado di creare o aggregare. Cambiano le tecniche, ma il concetto di positioning come quello che rappresenta l’azienda/marca nella testa dei consumatori rimane sostanziale immutato.
Adesso che ho ribadito il mio diritto di cittadinanza nel territorio del marketing, posso dedicare il prossimo post alla seconda puntata degli effetti della crisi su occupazione e disoccupazione (lasciare il primo in sospeso non sarebbe serio e pure antizodiacale
PAROLE SANTE!
Ottimo contributo Lorenzo. L’unica cosa sulla quale si potrebbe discutere è il costo del web, che non è poi così basso come qualcuno vorrebbe farci credere, e che dipende dall’entità del target con il quale vogliamo entrare in contatto e dalla velocità con cui vogliamo raggiungerlo. Insomma, per l’off-line lo spazio c’è ancora, ma soprattutto, come giustamente dici tu, c’è spazio per un buon pensiero strategico che comprenda on-line e off-line.
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