Le tecniche di vendita (digitale) stanno uccidendo il marketing (e le marche)?

Tanti anni fa da qualche parte ho sentito qualcuno che diceva più o meno che il marketing perfetto non ha bisogno né di forza vendita né di pubblicità. Se si propone al proprio mercato obiettivo il prodotto/servizio per lui ideale ed al giusto prezzo rispetto al valore percepito saranno i consumatori a cercarlo ed a promuoverlo con il passaparola.

E’ un concetto con cui ero sostanzialmente d’accordo quella volta ed ancora di più oggi visto che l’era digitale con i social networks ha aumentato ancora di più l’importanza e la portata del passaparola nella comunicazione delle marche rispetto alle varie forme di comunicazione controllate dalle aziende (pubblicità in primis) e con le vendite on line ha smaterializzato la distribuzione di moltissime categorie merceologiche.

Non a caso uno dei concetti alla base della mia visione del marketing totale (che son quasi 4 anni) è che le marche devono preoccuparsi di rendersi facili da trovare per i consumatori invece di preoccuparsi di cercarli.

La pratica però sembra andare in una direzione molto diversa rispetto a questa teoria e sempre più spesso viviamo esempi di tecnologie digitali utilizzati per spingere le vendite, in modo più o meno mirato (la mia impressione è che quando il “push” supera certi livelli di invasività anche una proposta in linea con le mie esigenze/desideri/interessi diventa fastidiosa).

Ne scrivevo lo scorso febbraio e ne scrivo oggi perché l’altro giorno dovevo fare un acquisto on line sul sito di Decathlon ed ho intenzionalmente cliccato sul primo risultato apparso nel motore di ricerca.

Normalmente evito i risultati sponsorizzati perchè so che spesso e volentieri portano in luoghi pericolosi, ma questa volta l’ho fatto intenzionalmente proprio a scopi investigativi. Un po’ come i  chimici, medici e biologi che nel XIX e XX secolo che sperimentavano su se stessi i risultati delle proprie teorie e ricerche, ma con molto meno rischio.

Inoltre mi aveva incuriosito il fatto che, benché fosse sponsorizzata, il link apparisse come Decathlon, esattamente come quello “organico” che c’era sotto.

Quindi si è aperta l’home page di Decathlon con sopra un banner che offriva la possibilità di vincere buoni sconto Decathlon a fronte della compilazione di un breve questionario. Sito Decathlon, buoni sconto Decathlon per avere i miei dati, ci sta. Tanto più che io da Decathlon faccio già acquisti 2/3 volte all’anno.

Ho risposto a poche domande sul mio “profilo” sportivo e poi per poter partecipare all’estrazione dovevo fornire i miei dati. Ci sta. Come mail ho dato la solita mail a rischio “spazzatura” che poi non guardo mai, però era richiesto anche il cellulare. La cosa un po’ mi ha insospettito, ma neanche tanto perché pensavo di esser in territorio Decathlon, e poi comunque ero lì per vedere cosa succedeva.

Non ho vinto, ma mi subito mi è arrivata un’offerta, da un altro URL. Lì ho capito che NON ero da Decathlon, ma in una imboscata di vendita.

Visto che ero in ballo ho continuato a ballare per un po’, dando qualche risposta a caso e dopo un po’ ho chiuso tutto perché avevo altro da fare e l’esperimento era durato abbastanza.

Tutto tranquillo per una decina di giorni e poi ieri, sabato, alle 13:04 mentre pranzavo mi chiama sul cellulare uno dalla Sardegna per propormi un’offerta di EON Energia, dicendo che avevo espresso il mio interesse e dato il mio consenso.

Probabile che sia anche vero, però comunque il sabato mentre sto pranzando non è proprio il momento in cui ho più voglia di ragionare di quanto sto pagando adesso la luce e valutare proposte alternative.

Detto in altre parole, mi state disturbando e non era nemmeno tanto difficile da prevedere.

Tra l’altro vi potrei forse capire se mi aveste chiamato al telefono fisso (sabato a pranzo è effettivamente uno dei momenti in cui è più probabile trovarmi a casa), ma visto che avete il cellulare perché non avete chiamato in un momento più consono?

Il bello è che potrei essere anche interessato a cambiare fornitore, perché ho la sensazione che quello attuale sia un po’ caro, però a questo punto EON energia lo escludo per fastidioso.

Non so se io sono particolarmente rompiscatole, però sicuramente questo non è un esempio isolato (ho già scritto un post al riguardo), e temo che le cose siano destinate a peggiorare visto che l’altro giorno è sentito un esperto di marketing sostenere che l’acronimo WIIFM – What’s is it For Me? (Qual è il mio vantaggio?) non esprimerebbe la domanda che le persone si fanno di fronte ad una qualsiasi proposta (di marca) come credevo io, ma la domanda che noi (l’azienda) deve farsi ogni volta che viene a contatto con qualcuno.

Ossia quali e quanti vantaggi posso trarre io dalla relazione.

Non credo si essere l’unico ad avere crisi di rigetto sempre più frequenti.

Perchè le marche non si curano delle proprie attività di vendita telefonica?

Maxino Ailo

Una delle mode (tendenza) del marketing strategico negli ultimi 10 anni è quella dell’importanza cruciale per le marche di stabilire un rapporto più stretto e diretto possibile con le proprie audiencies, intendendo con questo termine sia gli attuali consumatori che quello potenziali.

Questo approccio ha dato luogo ad azioni di “marketing di massa individuale” (confezioni di Nutella con il tuo nome, lattine di Coca Cola con i nomi, ecc…), all’utilizzo del BIG DATA per profilare sempre più precisamente e dettagliatamente i propri consumatori obiettivo, sviluppo di presenza delle aziende sui social network in modo da permettere l’interazione diretta tra le persone e la marca, ecc…

Il famoso concetto di creazioni di legami (emotivi) tra le marche e le persone (tema che ho già trattato su questo blog, l’ultima volta la scorsa settimana).

Un’altra tendenza, più tattica, diffusasi negli ultimi anni è quella dell’utilizzo delle vendite telefoniche, sia per i servizi, soprattutto, che per i prodotti.

Ora, credo non ci siano dubbi che uno dei momenti di maggior coinvolgimento tra una marca ed i suoi potenziali consumatori è quando la marca li chiama a casa loro per proporgli i suoi prodotti/servizi (repetita iuvant, una persona consuma sempre un servizio, che sia incorporato o meno in un prodotto fisico).

Logica vorrebbe che per mettere insieme l’approccio strategico e la sua realizzazione tattica, le aziende battessero tutte le Università della Repubblica a contendersi i laureati di psicologia per avere nei propri call-center le persone più qualificate nel difficile ed ingrato lavoro (parlo per esperienza diretta) di stabilire un legame emotivo con un estraneo attraverso una conversazione telefonica.

Sorprendentemente invece le aziende trattano l’attività di vendita telefonica come se fosse una cosa esterna al sistema della marca e quindi lo esternalizzano a società che utilizzano le più trite e becere “tecniche di vendita”. Anche se chi chiama non dice chiaramente che si tratta di una telefonata per vendervi qualcosa, le formule di “rito” sono talmente fruste che lo capiscono tutti (a parte l’accento straniero ed il tono di essere impegnato a fare altro della voce dell’azienda che mi chiama).

Non so se si tratti dell’ennesimo esempio di scollamento tra marketing e vendite, ma la cosa per me è sconcertante: cosa c’è di più diretto della voce dell’azienda che mi parla? Eppure è evidente che nessuno in azienda si cura di capire e valutare se quella voce e quello che dice è coerente/allineato con il dialogo che la marca cerca di costruire con me in tutte le altre occasioni/situazioni (che sono meno dirette e quindi più “deboli”).

L’ (ennesimo) esempio di questo l’ho avuto la mattina dello scorso 8 dicembre (festa nazionale in Italia, ma forse non nel paese in cui risiede la persona che mi ha chiamato), quando mi ha telefonato a casa la Vodafone. Dopo il cortese, ma secco, diniego ho fatto un tweet.

Siccome la Vodefone (ma potete cambiare il nome con l’azienda che preferite) è una grande azienda ben organizzata (?) che fa un puntuale monitoraggio delle conversazioni social per conoscere in tempo reale il sentiment nei confronti del marchio ed essere vicina ai propri clienti, mi ha prontamente risposto.

Ecco la conversazione:

twitter vodafone

Col ciufolo che vi fornisco ulteriori informazioni mie.

E’ mai possibile che le aziende non abbiano ancora capito che l’esperienza della marca è complessiva e globale?

E se l’hanno capito è mai possibile che siano così burocratizzate da non riuscire e gestire le diverse attività di conseguenza?

E se il problema non è di burocratizzazione ma di prevalenza della visione finanziaria, è mai possibile che questi geni della finanza che negli ultimi anni hanno conquistato il comando della aziende siano capaci di ragionare solo in termini di costo (di breve periodo) e mai di valore (di lungo periodo)? La marginalizzazione del marketing e la crisi economica mondiale (ottobre 2010)

Fino a quando? Fino a quando non mi chiamano per una consulenza sul Marketing Totale.

Oppure fino a quando non arriva Maxino: Ailò. Una risata vi seppellirà.