Confesso che non sono mai stato un fautore dell’utilizzo dei testimonial nella pubblicità.
Un testimonial apporta sostanzialmente due vantaggi:
1. Aumenta la visibilità/attenzionalità della campagna (sempre).
2. Rafforza il posizionamento della marca/prodotto (nel caso in cui il suo percepito pubblico sia coerente con quello della marca/prodotto a cui è associato e/o che la sua presenza nella comunicazione sia funzionalmente inserita in una creatività che avrebbe comunque funzionato anche senza la sua presenza).
Ho sempre pensato che i soldi del compenso di un testimonial sia meglio spenderli aumentando la pressione della campagna (equivalente in parte al punto 1) e concentrarsi nel lavoro dell’agenzia per arrivare ad una comunicazione rilevante, aumentandone di conseguenza l’attenzioanlità e la capacità di rafforzare il posizionamento.
Questo anche per evitare i due rischi intrinseci all’uso di un testimonial:
3. Catalizzazione dell’attenzione del pubblico sul testimonial a detrimento della marca/prodotto.
4. Appiattimento creativo sulla presenza del testimonial, sviluppando la creatività sulle sue caratteristiche e non su quelle della marca/prodottorischi di rilassamento creativo che (quasi) automaticamente implica l’utilizzo del testimonial.
Fin qui la fisiologia. Volendo c’è anche la patologia/sfiga che il testimonial faccia o gli succeda qualcosa di inadeguato rispetto al posizionamento della marca/prodotto durante la campagna.
Credo che un eccellente esempio di cattivo uso del testimonial sia rappresentato dalle campagne delle compagnie di telefonia mobile, che, tra l’altro, un giorno mi spiegheranno perchè l’unico modo di comunicare l’uso dei telefonini sia entrando nel tunnel del divertimento (cfr. Caparezza). Divertimento che, volendo aprire un’altra parentesi, è cosa ben diversa dalla felicità, come ha ben capito la Coca Cola ed anzi potrebbe perfino essere antitetico (pensiero mio).
Tornando ai testimonial, come sempre nel marketing, disciplina analitica e non deterministica basata quindi più sui principi che su regole, ci sono anche esempi di grande efficacia.
uno l’ho vissuto in prima persona ed era la canzone “Lemon tree” nello spot del Limoncè. Non credo sia una caso l’assoluta coerenza tra testimonial, messaggioe e prodotto, nè il fatto che si sia trattato di un long seller, trasmesso ogni tanto ancora oggi a quasi 15 anni di distanza (probabilmente aiutato anche dalle campagne pubblicitarie). il fatto che l’attuale management Stock abbia deciso un paio di anni fa di non usarla più per il nuovo spot spiega tante cose, ma se continuo ad aprire parentesi questo post diventerà un labirinto in cui tutti si perderanno.
Un’altro esempio perfetto di utilizzo del testimonial sono state le prime due campagne Martini con George Clooney. Lo spot stava in piedi ugualmente, ma la presenza di Clooney dava immediatamente ed implicitamente, quindi con la massima efficacia, una dimensione di eleganza internazionale alla marca. La stessa delle precedenti campagne Martini (se il mio pubblico femminile sta sognando dall’inizio del post con il fascino di George, adesso il mio pubblico maschile è acceso dal ricordo di Charlize Theron che si alza e se ne va, incurante del vestito impligliato nella sedia).
In più lo slogan “No Martini non party”, con tanto di porta sbattuta in faccia, affermava una superiorità dalla marca anche rispetto ad una star di Hollywood. Chapeau alla creatività!
L’efficacia di quelle campagne ha creato un legame talmente forte tra Martini e Clooney che avrebbe dovute da dissuadere chiunque altro ad utilizzarlo come testimonial.
E invece l’altro giorno me lo sono trovato nello spot di Fastweb (c’era già da un po’, ma la prima serie mi erano sembrati spot di una banca), dopo averlo visto in quella di Nespresso (magari quella era una comunicazione mondiale), e prima della Fiat.
Allora ripeto la domanda del titolo: perchè? Possibile che a nessuna di queste aziende/agenzie venga il dubbio che la figura di Clooney non solo non sia in grado di differenziare il prodotto, ma anzi tenda ad indifferenzialo?.
Le agenzie sono davvero così a corto di idee e le aziende così cariche di soldi?