Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 3: le politiche di prodotto.

Continuo ad ipotizzare il futuro del marketing secondo me e mantengo l’approccio kotleriano classico delle 4 P, cominciando dal Prodotto.

La prima considerazione è che sempre di piu’ nel futuro non ci sara’ spazio per i prodotti le cui performances non mantengono la loro promessa base.

Diventa quindi cruciale identificare qual’e’ il servizio che i clienti ricercano nell’utilizzo del prodotto. Ricordo, visto che il post dove lo spiegavo è sparito dal blog, che quello che acquistano i consumatori sono i benefici, ossia i servizi, che derivano dall’utilizzo delle caratteristiche di un prodotto e non le caratteristiche in sè e per sè. In sintesi nessuno compra mai prodotti, tutti comprano sempre servizi, incorporati o meno all’interno di un prodotto fisico.

Questo concetto è fondamentale perchè è quello che permette di identificare i nuovi potenziali concorrenti che possono arrivare da settori produttivi diversi da quello in cui si opera, fornendo soluzioni agli stessi problemi del consumatore con un prodotto (tecnologia) diversa.

E’ il concetto per cui se un marito/compagno vuole fare un regalo importante alla moglie/compagna (o viceversa: bisocmarketing promuove la parità tra i generi) le crociere sono in concorrenza con i gioielli.

Il concetto è particolarmente utile guardando al futuro poichè nel lungo periodo possono sorgere più facilmente nuove tecnologie per la fornitura degli stessi servizi.

La diffusione globale del progresso tecnologico, che migliora le performances del prodotto anche nei paesi con basso costo di manodopera, renderà possibile accontentare le aspettative crescenti dei consumatori. Il risultato sarà che per un prodotto, saper svolgere adeguatamente, anche in termini di durata, la funzione per cui e’ stato pensato sara’ un must, non piu’ un vantaggio competitivo.

I PLUS competitivi secondo me saranno altri e saranno legati principalmente all’evoluzione della societa’ in senso individuale (se anche individualista, lo lascio dire a voi).

1) Personalizzazione in serie: se volete un altro modo di esprimere il concetto del prodotto su misura per ogni cliente. Pero’ con efficenza industriale per ridurre i costi rispetto al processo artigianale.

E’ la strada gia’ intrapresa dall’industria dell’automobile con il moltiplicarsi delle opzioni tra cui poter scegliere (poi pero’ i tempi di attesa sono lunghi) e che diventera’ un vantaggio competitivo in tutti i settori.

Basta pensare al potenziale delle stampanti 3D, anche in settori di largo consumo come l’alimentare.

2) Estetica: dubito che le persone siano e saranno disposte a pagare di piu’ per un prodotto dalle performances equivalenti, solo piu’ bello.

Sicuramente pero’ tra due prodotti si performances equivalenti e prezzo uguale, sceglieranno quello piu’ bello.

L’estetica, intesa anche come comunicazione visuale, sara’ poi sempre piu’ anche un sottolineatore e rafforzatore della qualita’ intrinseca del prodotto.

Il narcisismo e’ figlio dell’individualismo.

3) Semplicita’ d’uso: un po’ per naturale pigrizia, un po’ per la crescente incompetenza, la capacita’ di un prodotto di semplificarci la vita sara’ sempre piu’ apprezzata.

Che sia la macchina che si parcheggia da sola, il telefonino che si sblocca con l’impronta digitale (massimo dell’individualita’) oppure la bottiglia di vino con il tappo a vite, l’estensione dei servizi offerti dal prodotto ne aumenta il valore.

Nota bene che la crescente incompentenza non e’ un giudizio di merito, e’ un dato di fatto generato dal continuo e rapido progresso tecnologico (che tra l’altro riduce/impedisce il trasferimento di competenze tra le generazioni).

4) Assistenza: è la medesima logica del punto precedento.

Quanto piu’ la vita si fa individuale e tanto piu’ si apprezzera’/pretendera’ l’aiuto da parte delle marche a cui abbiamo dato la nostra preferenza ed i nostri soldi.

5) Utilizzo vs. possesso: lo so che il concetto non è nuovo, ma fino ad oggi si è trattato soprattutto di episodi amplificati dai media.

Nel futuro, man mano che la proprietà degli oggetti diventerà più “faticosa” ed inefficente in termini finanziari, logistici, ecc…, la capacità di offrire un utilizzo pratico (ossia flessibile nel tempo e nello spazio) costituirà un vantaggio competitivo.

6) Parsimonia: in realtà non so se questa tendenza durerà fino al 2024 o si esaurirà prima. Quello che è certo è che c’è ancora troppo spreco in molti prodotti per caratteristiche che non aggiungono valore rispetto ai servizi ricercati, o utilizzati, dai consumatori.

La competizione che spinge a contenere i costi e l’attenzione alla eco-compatibilità da parte delle persone, premierà le aziende che sapranno operare con parsimonia.

 

La logica di fondo è sempre quella: pensare a come migliorare la vita delle persone.

Un posto pulito, illuminato bene.

Ho come il timore che il blog stia prendendo una piega da “pensierini sparsi” o, bene che vada, anedottica. Forse è inevitabile dopo tanta teorizzazione strategica e forse per un po’ non fa neanche male.
L’impressione però è di aver già detto tutte le cose interessanti che avevo da dire perchè quello che mi viene da scrivere oscilla tra considerazioni sui massimissimi sistemi, destinate quindi a rimanere fini a se stesse, è quotidianità spicciola.
Magari è un sintomo che l’eccesso di operatività quotidiana mi impedisce di vedere l’essenza della cose oppure una conseguenza di aver girato 3 continenti in poco più di un mese.

Ad ogni modo questo episodio che mi è successo a Londra 3 settimane fa mi frulla in testa da allora, quindi un senso dovrebbe pur averlo. Eccolo.
Un dopo cena non avevo voglia di andare direttamente in camera a guardare le mail (sic!) prima di dormire, così sono andato sulla terrazza fronte Tamigi dell’albergo (Hilton Docklands Riverside, non fatevi ingannare dall’altisonanza del nome: costa poco più di 100 euro a notte) ed ho chiesto un bourbon sour al cameriere. Dopo mezz’ora che mi godevo il panorama di Canary Warf ho cominciato ad avere qualche dubbio sul fatto che mi avrebbero portato qualcosa, quindi mi sono alzato (il cameriere latitava da un po’) e sono andato a al bar a chiedere lumi. Chiesto al ragazzo che c’era al bar, non gli risultava nessun ordine e quindi ho chiesto a lui di prepararmi un bourbon sour (ci ho messo un po’ perchè lui continuava a chiamarlo un whisky sour con il bourbon ed io volevo essere sicuro che non mi arrivasse nè uno scotch sour nè un Jck Daniels sour). A questo punto mi sono seduto ad un tavolo lì davanti stile “pro memoria” vivente. Passato un’altro quarto d’ora invano ho chiesto lumi al capo barman, che non ne sapeva niente nemmeno lui (serata sfortunata) ma, visto anche il mio tono un po’ brusco, mi ha detto che me lo avrebbe portato subito.
Altri dieci minuti ed arriva scusandosi, ma non avevano zucchero (???!!!) per cui non poteva farmi il bourbon sour e mi ha proponeva un’altro cocktail in alternativa (che adesso neanche mi ricordo). Ho detto sì per puro sfinimento, ho bevuto il mio drink rapidamente (oramai si stava facendo tardi) e sono andato a pagare. A quel punto con un cenno il capo barman mi ha detto che offriva la casa
L’esperienza, fino a quel momento pessima, si è trasfomata in positiva di fronte alla considerazione che avevano avuto nei miei confronti.
Ne ricavo almeno due considerazioni:
- la deontologia del servizio, rispetto (recirpoco) e etica del proprio lavoro che permea la professione del bartender (barman è in realtà un anglicismo italiano). Più uno chef senza prosopopea che un cameriere specializzato.
- l’”empowerment” che discende da questa deontologia e che permette al bartender di gestire le situazioni secondo la sua sensibilità (quante volte a fronte di un disservizio ci siamo sentiti dire che avevamo ragione, ma purtroppo le regole impedivano di trattarci in modo diverso oppure che c’era bisogno di parlare con un “responsabile”)
Forse è un film che mi faccio io, influenzato dalle letture idealizzanti, da Hemingway a Marco Mascardi, però nell’economia del terziario avanzato basata sui servizi, la cultura dei bartender professionisti potrebbe essere un utile riferimento negli ambiti più diversi.
La cosa più interessante è che si tratta di una cultura talmente solida e consolidata da mantenersi sostanzialmente inalterata in tutto il mondo.
La settimana scorsa ero al banco del bar dell’ Hotel International di Pechino (poco meno di 100 euro a notte), ho chiesto un Singapore Sling e il bartender, ancora prima di preparare il cocktail, mi ha allungato il quotidiano del giorno.
“Is not what you do, is the way you do it”.