Sulla crisi del latte sardo si stanno raccontando un sacco di fandonie.

Davvero non so perchè mi metto a dire la mia su una questione così spinosa come quella della crisi del latte sardo.

Sarà perchè da economista agrario l’analisi scientifica e l’evidenza pratica mi hanno sempre dimostrato quanto le politiche di controllo del prezzo dei prodotti agricoli attraverso la gestione delle quantità prodotte siano inutili, dannose, e distorcenti.

Oppure semplicemente perchè per ragioni personali ho troppo tempo libero.

Fatto sta che a furia di vedere servizi dei TG, leggere giornali e vedere commenti sui social, non ho resistito ed ho dedicato una mattinata ad analizzare la questione.

Cercherò di esporre i risultati in modo sintetico e schematico.

Il prezzo del latte di pecora sardo non ha nessuna relazione con il costo di una telefonata per il televoto di Sanremo.

Voi chiederete “E questo cosa c’entra?”. Evidentemente niente, però siccome è una cosa che è girata sui social, condivisa anche da gente seria credo che la smentita sia opportuna (e non ditemi che l’avete condiviso come “provocazione” perchè di spazzatura in rete ce n’è già abbastanza).

 

Il Pecorino Romano si fa in Sardegna, non in Lazio.

Circa il 95% del pecorino romano viene prodotto in Sardegna, il resto in Lazio e Toscana (minima parte). Fonte: Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano (che non a caso ha sede a Macomer in provincia di Nuoro).

 

Non c’è un complotto dell’industria contro i pastori, perchè i principali produttori di Pecorino Romano sono le cooperative di allevatori.

Non ho trovato i volumi produttivi suddivisi per produttore, però dei 33 produttori associati al Consorzio 18 sono cooperative di allevatori (ossia i pastori).

Pronto ad essere smentito dai dati che mostrino come l’eccesso di produzione rispetto alla quantità programmata si sia concentrato solo sui caseifici privati.

 

Il problema non tanto l’eccesso di produzione quanto il calo della domanda (che non è la stessa cosa, solo vista dall’altra parte).

E’ verissimo che la produzione di Pecorino Romano dell’annata produttiva dal 1 ottobre 2017 al 31 luglio 2018 è stata di 341.600 q.li rispetto ai 280.000 q.li previsti dalla programmazione del Consorzio (Fonte: Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano) e che questa eccedenza di offerta rispetto alla domanda ha fatto crollare i prezzi del latte.

Però è evidentemente altrettanto vero che se si fossero prodotti solamente 280.000 q.li di Pecorino Romano, pari a poco meno di 163.000.000 di litri di latte, gli altri 35.400.000 litri utilizzati per produrre l’eccedenza di Pecorino Romano sarebbero comunque avanzati. Le pecore il latte lo fanno tutti i giorni.

La principale causa della crisi del latte sardo sta nel calo della domanda del Pecorino Romano sui mercati esteri, soprattutto su quello U.S.A. che da solo consuma il 50% della produzione (dati sui consumi in Italia non li ho trovati).

Nel peridio gennaio-ottobre 2018 le esportazioni di Pecorino Romano sono diminuite del 33,3%, pari a 61.000 q.li di formaggio, equivalenti, guarda caso, a 35.412.000 litri di latte. Ossia che se le esportazioni del 2018 fossero state in linea con quelle del 2017 la quantità prodotta in più rispetto alla programmazione del Consorzio sarebbe stata necessaria a soddisfare la domanda.

La soluzione strutturale alle crisi, ricorrenti, del latte sardo quindi sta innanzitutto nello sviluppo e consolidamento della domanda attraverso la valorizzazione del prodotto.

Secondariamente nella riuscire ad accantonare parte dei guadagni delle annate positive per poter fronteggiare quelle che lo sono meno.

Non importa quanto sia costato produrlo, un prodotto che non vuole nessuno non vale niente.

Se vi sembra un’affermazione cinica e tranchant provate oggi ad andare in giro a vendere delle risme di carta carbone oppure dei mazzi di carte da gioco.

 

Tutta la problematica era stata ampiamente prevista già dallo scorso settembre da chi, più esperto di me, analizza costantemente il settore ovino sardo. 

Questo articolo del 12 settembre 2018 di Sardegna Report, riporta l’analisi del Centro Studi Agricoli che, dati alla mano, prevedeva con precisione quanto si sta verificando oggi, compreso il prezzo del latte a 0,60 euro/litro. E’ un po’ lungo, ma se state davvero con i pastori sardi consiglio di leggerlo.

Questo articolo pubblicato su Buongiorno Alghero del 16 novembre 2018 riporta invece la strategia proposta sempre dal Centro Studi Agricoli per superare la crisi che si stava prospettando. Nessuno ha fatto niente e quindi la crisi si è verificata. Da notare che le misure prese oggi a seguito dell’incontro dei pastori con il Ministro Centinaio sono sostanzialmente quelle proposte a novembre dal CSA.

In sintesi la crisi del latte sardo in questo momento è una crisi innanzitutto sociale e come tale va affrontata. Per chi sui social dice #iostoconpastori specifico che questo significa sostenere il reddito dei pastori con i soldi dello stato, ossia delle nostre tasse (io sono d’accordo).

Se si vuole che questa crisi sia congiunturale, ossia passeggera, vanno evitati interventi dirigistici di distorsione delle dinamiche economiche, come ad esempio l’imposizione di un prezzo minimo del latte sardo per legge, perchè non è così che gli americani riprenderanno a mangiare Pecorino Romano.