Dopo il feuilleton sulle ricerche di mercato, un post defatigante per me che scrivo e per chi legge.
Quando ho parlato di campagne pubblicitarie su questo blog l’ho fatto sempre citando esempi negativi di pubblicità fatta male, a mio parere ovviamente.
Oggi continuo a far soffiare il vento del cambiamento su biscomarketing parlando di due campagne in giro da un po’ che mi hanno colpito per come sono ben pensate e ben realizzate.
Perchè mi piace (in termini di AIDA ovviamente e non puramente estetici) lo spot Campari Orange ? Perchè il protagonista della storia è il prodotto/marca, inserito in una situazione di consumo, rappresentata con una soluzione tecnica nuova ed originale che sottolinea ulteriormente il posizionamento di sofisticata contemporaneità della marca. Mi sembra perfetto anche considerando la storia della comunicazione di Campari. Dopo tutta la serie degli spot iconoclastici dei primi anni duemila ed il passaggio ad una maggior “normalità” degli spot con Salma Hayek, questo spot fa avanzare la marca ulteriormente la marca in un percorso di prossimità con i propri consumatori attuali e potenziali senza perdere in glamour. Anzi in questo caso il glamour è inserito al 100% nel prodotto, mentre negli spot precedenti era un riflesso delle combinazioni storia/ambiantazione/testimonial.
Sarebbe bastato questo per farmi togliere il cappello, l’inserimento dei testi che danno la ricetta del Campari Orange lo fa diventare uno spot da applausi.
Volendo cercare proprio il pelo nell’uovo, credo che tra produzione e post produzione sia costato un botto. Però li vale tutti, Campari se lo può permettere e, comunque, sarà costato meno dei precedenti.
Per lo spot del Gel Durex solo parlare del modello AIDA – Attention – Interest – Desire – Action rischia di creare imbarazzo e questo dà già l’idea della difficoltà di fare una campagna per questo prodotto.
Una volta di più il marketing dell’azienda e l’agenzia hanno dato una dimostrazione di cosa può fare la creatività quando non è fine a se stessa, ma guidata da un preciso posizionamento e, più in generale, cultura aziendale. Dico ancora una volta ricordando lo spot del Durex ring e, se non ricordo male, quello del preservativo trovato in classe dal professore.
Inevitabilmente l’argomento trattato ha fatto sì che anche a questo spot, come ai precedenti, sia seguite un po’ di polemiche, ma riuscire ad affrontare questi argomenti in uno spot televisivo generando polemiche solamente da una parte del pubblico è un’impresa. Tra l’altro ho la convinzione che il target a cui puntava Durex abbia condiviso il “tono” dello spot.
Personalmente poi mi ha colpito l’uso del termine “multisensoriale” utilizzato per descrivere l’allargamento di gamma perchè nel 2007 con Keglevich abbiamo fatto un tour nelle discoteche basato sul “Responsible fun: when you love, when you drink”. Chissà che l’idea del multisensoriale non gli sia stata ispirata dalle categorie sensoriali dei gusti Keglevich? Bisogna che lo chieda a Corrado, direttore marketing di Durex e vecchio compagno di Università e di appartamento (i percorsi a cui può portare una laurea in Scienze delle Produzioni Animali sono imprevedibili).
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Marketing all’osso
Barebone marketing suonava francamente meglio, ma tanti anni fa mi sono dato la regola di non utilizzare terminologia inglese, a meno che non esistesse un’espressione equivalente in italiano.
Questo post volevo scriverlo per motivi di pura opportunità e cortesia, nel senso che mi rendo conto che, a furia di tenerlo a metabolismo basale con le frasi dell’AMA, il blog rischia di morire e poi c’era qualche richiesta di cortesi lettori.
D’altra parte non mi sembrava di avere niente di interesante da dire, che è la situazione peggiore ed è anche un po’ sorprendente, visto che da Natale ho scritto solo un post.
Anche perchè durante le vacanze ho letto un po’ di cose interessanti di gestione di marketing e di economia aziendale, ho visto quello che succede in Spagna, insomma in teoria ho avuto un po’ di stimoli. Eppure tutto mi sembra già visto, perfino al Corte Ingles non ho trovato niente di nuovo (è la prima volta che mi succede in 18 anni).
Sarà vecchiaia oppure la stanchezza della preparazione del Vinitaly del 50° del Pinot Grigio Santa Margherita.
Allora mi sono detto: scrivo un post di cazzeggio di marketing. Farebbe bene a me, che mi sto fossilizzando in post sempre e solo strategici, ed a chi mi dice che questo blog richiede sempre grande attenzione (forse troppa).
Un bel post facile facile, con i complimenti al (semi) nuovo spot di Campari oppure la perplessità sul nuovo spot del nuovo amaro Limoncè, del quale mi convinceva già poco il concetto di prodotto e lo spot stile anni ’80 ancora meno.
Mentre pensavo che forse è il legame emotivo con una marca che ho gestito tanti anni ad impedirmi di vedere le cose con obiettività, mi sono reso conto che sempre di più imposto le attività di marketing in generale, e la comunicazione in particolare, con modalità tendenzialmente scarne.
Riflettendo mi rendo conto che a fronte dell’affermarsi della propoganda nella comunicazione e della sensazione generale di già visto, mi sposto sempre più distante dalla logica son-et-lumiere, o stucco-e-pittura come diceve una mia ex collega.
in altre parole la mia visione del marketing è sempre più quella di un marketing all’osso, che va all’essenza, che, come c’è scritto nei libri, punta a rendere inutile le attività di pubblicità e promozione grazie alla forza della proposta in termini di interesse per il servizio offerto.
In altre parole l’I-Pad, per cui tutti i giornali si sono affrettati a fare la versione compatibile, indipendentemente dalla diffusione o meno dell’apparecchio.
Sarà l’ennesimo segnale che mi sto convertendo in uno dei vecchietti del Muppet Show, l’evidenza che non sono più al passo con i tempi oppure sono la punta più avanzata dell’avanguardia (che comunque non è mai positivio).
Se qualcuno ha l’occasione di analizzare come si fa il marketing in Brasile, soprattutto, Cina e India, troverà la risposta.
Sempre la solita storia.
Dopo aver inutilmente pagato il doveroso dazio al teatrino dei gattopardi della politica (proverbio spagnolo: de noche todos los gatos son pardos), torno ad oocuparmi di cose serie, ossia teoria e strategia di marketing.
Durante le ferie ho approfittato per studiare un po’ ed ho trovato un interessantissimo articolo sull’analisi narrativa per ls creazione di storie persuasive che permettano di connettersi a livello emotivo con la propria audience. Dico da subito che tralascerò completamente qualsiasi commento riguardante la questione della persuasione occulta.
La cosa interessante è che le ricerche basate sull’analisi dei testi hanno identificato meccanismi e strutture che si ripetono attraverso la storia e le culture.
I livelli di comprensione della storia sono sempre tre. Dal più superficiale al più profondo: il messaggio, a livello razionale, il significato, a livello di sentimenti e convinzioni, il mito, a livello del nostro inconscio universale ed eterno.
Quindi comunicare alle persone attraverso miti universali, permette di parlargli al più profondo livello emotivo. Il bello è che anche il mito, sfumature a parte, si può ricondurre sempre ad alcuni modelli fondamentali:
- il mito dell’eroe: una persona normale viene chiamata a fare cose eccesionali, supera prove difficili, combatte i propri demoni esterni ed interni che lo spingono a mollare ed alla fine, guidato da un mentore, raggiunge il suo obiettivo. Marca? Nike “Just do it”.
- il mito del ciclo della vita: il continuo fluire delle generazioni in cui il vecchio passa la propria saggezza al giovane in un ciclo di ottimismo e speranza dove non c’è fine, ma solo nuovi inizi. Marca? Ford Mustang con lo spot del 2005 che resuscitava Steve McQueen.
- il mito della creazione: qui non serve nemmeno spiegarla. Marca? L’immagine di Jobs e Wozniak che montano il primo Apple nascosti nel loro garage.
- Il mito della creazione dalla distruzione: scegliete quello che vi piace di più tra Noè e l’Araba Fenice. Marca? Coca Cola Classics resuscitata dalla ceneri della New Coke.
- il mito della lotta tra il bene e il male: la battaglia tra il caos e l’ordine si trova già nella cultura sumerica. Marca? Vespa vs. Lambretta, Apple vs. Microsoft, ecc…
E la vostra marca di che mito è?
PAM PAM! Bersaglio mancato?
Qualche settimana fa un mio amico mi citava la campagna radio della PAM. Sul momento avevo altro da fare ma, per motivi miei, la cosa mi incuriosiva e quindi oggi sono andato sul sito ad ascoltarli.
A parte il fatto che in programmazione non li ho mai sentiti perchè (pare) siano stati pianificati su una sola emittente.
A parte che non capisco che senso abbia con una pressione così limitata investire tempo e soldi a fare quattro soggetti: anche se gli speacker si pagano a chiamata, una certa confusione è assicurata.
A parte il fatto che la musica tipo Guerre Stellari è, ad essere buoni, un po’ vintage (deve essere una caratteristica delle catene distributive, oltre che dei detersivi, perchè anche Interdis con Bugs Bunny gioca la carta retrò, di quando eravamo giovani e felici).
A parte che ho sempre bene in mente un decalogo di Lintas visto più di 20 anni fa che diceva che la pubblicità deve concentrarsi su una sola idea, quella individua come più rilevante per il target dalle ricerche di mercato.
A parte tutti i discorsi su benefit e reason why (confesso che non ho mai capito bene la differenza tra le due cose e se c’è un pubblicitario all’ascolto sarei curioso di scoprirla dopo 16 anni che faccio questo lavoro).
A parte tutto, perchè non c’è nemmeno un briciolo di tentativo di costruire/rafforzare un minimo di posizionamento per dare dei motivi alle persone di andare a fare la spesa alla PAM? E non venitemi a dire che l’obiettivo della campagna è tattico, perchè non comunica una promozione/offerta/concorso ma comunica una concetto (leggi posizionamento) di convenienza.
A parte tutto, uno slogan/pay off/claim finale ci stava non solo per dichiarare e rendere più facile da ricordare il concetto di convenienza, ma anche solo per rendere meno monco lo spot.
Oggi mi sento generoso, come dimostrano due post nello stesso giorno, ne suggerisco uno io che esrpime al 100% il concetto della campagna: PAM: Più a Meno.
Strano che non ci abbiano pensato loro? Forse vi sembrerà ancora più strano sapendo che, a quanto mi risulta, “Più a Meno” è esattamente lo slogan da cui i fondatori del gruppo hanno creato l’acronimo PAM e che a capo dell’azienda ci sono i loro discendenti (che quindi dovrebbero conoscerne storia ed anima).
Ogni tanto la marginalizzazione del marketing non porta solo dei risparmi espliciti (di personale di investimenti), ma anche degli (elevati) costi impliciti.
Miopia di marketing: la concorrenza tra Ferrero Grand Soleil e Fernet Branca.
I (numerosi) esempi di miopia di marketing sono sempre affascinanti. Questo potrebbe essere un caso da manuale, ma sinceramente mi sembrerebbe ingeneroso dire che i signori della Branca mancano di larghezza di veduta nel definire lo scenario competitivo.
Ma andiamo con ordine.
L’altro giorno trovo sul giornale questa pubblicità di Ferrero Grand Soleil
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Perfetta, come al solito: chiaro il posizionamento, i benefit, le modalità ed i momenti di utilizzo. C’è sempre da togliersi il cappello davanti alle strategie di marketing della Ferrero e tutto il caso Grand Soleil meritebbe da solo alcuni post.
Ma non è questo il punto. Man mano che lo leggevo mi veniva in mente Fernet Branca: ingredienti naturali, elisir di erbe, ricetta esclusiva. Quando sono arrivato al “fine pasto ideale” il collegamento con il vecchio claim di Fernet Branca “digestimola” è stato inevitabile.
Ed ecco la miopia di marketing: il desiderio del consumatore di avere qualcosa per concludere il pasto con piacere e possibilmente favorendo la digestione non è cambiato, sono cambiati i prodotti con cui lo soddisfa.
Una volta era l’amaro, poi il limoncello adesso Grand Soleil (non a caso partito con il gusto al limone). Destrutturazione dei pasti e riduzione del tempo dedicato alla loro preparazione, infantilizzazione dei gusti, riduzione del numero dei componenti delle famiglie sono tutti elementi a favore del successo di Grand Soleil, ma il grande merito di Ferrero è di non aver sviluppato una forte innovazione di propodtto per fornire una soluzione nuova ad un bisogno esistente, senza velleitarie fughe in avanti per cercare la novità fine a se stessa.
E su questo aspetto finiscono le attenuanti per Branca, perchè se è evidente che sarebbe improponibile pensare ad una ditta di liquori e distillati che sviluppa un prodotto come Grand Soleil, l’abbandono del proprio territorio competitivo di elezione è un peccato quasi mortale.
Lo dico pensando all’ultimo spot di Branca Menta(lo so che diranno che sono due prodotti diversi, ma ci mi legge sa già che non credo al successo delle marche schizofreniche), che rincorre il mondo dei consumi giovanili e/o giovanilistici dei locali così detti di tendenza.
Mi ricordato il vecchio spot Keglevich con la goccia di vodka che risaliva il corpo della modella. Confesso che già per Keglevich si trattava di una comunicazione banale, poco posizionante e poco differenziante (solita situazione superalcolico, locale trendy, bella ragazza). Per Branca Menta mi sembra totalmente illusorio. Come mi ha detto una volta un art director di un’agenzia che non ho scelto: “Prendiamo la gente giusta, la mettiamo nella situazione giusta, con il look giusto e quindi facciamo lo spot giusto”.
Beh il marketing è semplice, ma non semplicistico e meno che meno tautologico.
Davvero non c’è spazio per sostenere il consumo casalingo (responsabile, off course), magari anche individuale legato ad un momento di piacere adulto di un amaro?
Diesel: only the brave can be stupid?
Qualche tempo fa mi toglievo il cappello ammirato per l’ultima campagna “BE STUPID” di Diesel.
Potete immaginare il mio stupore (a anche un po’ di delusione) quando ieri ho visto lo spot del profumo Diesel con il vecchio posizionamento “Only the brave”.
D’accordo, è molto probabile che il profumo sia fatto e commercializzato da altri a cui Diesel ha ceduto il diritto di usare il marchio, ma, anche se veri, questi tecnicismi non cambiano il fatto che la marca è una.
Oppure quelli della Diesel sono così avanti da aver già capito che le società, e quindi le marche, del futuro saranno caratterizzate dai disturbi della personalità?
Dubito, ma con le genti venete passate in poco più di cinquant’anni dalla pellagra al centro benessere, pur continuando a mangiare polenta, non si può mai sapere.
Semel in anno licet insanire
Se devo credere al proverbio del titolo, oggi sarebbe il giorno giusto per scrivere il post sui diritti di negoziazione dei centri media (alzi la mano chi tra i professionisti del marketing sa cosa sono) che ho in testa da qualche giorno.
Però un paio di amici che stimo mi hanno sconsigliato di farlo, a dimostrazione di quanto il “sistema gelatinoso” permei il nostro stare al mondo. Cosa che a sua volta dimostra l’impossibilità di risolverlo per via giudiziaria e quindi la sostanziale disonestà intelletuale di chi in politica propugna questa strada (perchè se pure non l’avevano capito già ai tempi di Mani Pulite con il semplice ragionamento, dovrebbero capirlo adesso con l’evidenza dell’esperienza).
Ma non voglio divagare oltre (anche perchè prima o poi il post sui diritti di negoziazione lo scrivo lo stesso, tanto so che non morirò Provolino).
Oggi continuo a parlare di pubblicità mostrandovi due pubblicità straniere.
pubblicità estere
La prima è una pubblicità Toyota pubblicata su “El Pais” spagnolo e mi ha colpito la frase conclusiva “solo te preocuparas por tu vida” alla luce del ritiro di oltre 10 milioni di Toyota in tutto il mondo per problemi all’acceletore e ai freni che hanno causato incidenti mortali. Sarebbe evidente che parlando di un auto si tratta di una frase quanto meno controversa (hei lì fuori? La gente con le macchine muore!!), però se tu sei il miglior produttore di auto del mondo che ha fatto della sicurezza e della qualità totale l’arma per diventare il leader mondiale è altrettanto facile non accorgersene.
La seconda mostra una serie di proposte (quindi non si tratta di pubblicità vere e proprie) che alcune tra le migliori agenzie della Svizzera romanda (i soliti nomi: Saatchi, Y&R, Grey) hanno fatto per la rivista “Bilan” che gli aveva chiesto di rilanciare l’immagine della Svizzera, appannata a livello internazionale dalle varie questioni Libia, Polanski, referendum minareti, segreto bancario ecc.. Qui quella che mi ha colpito è la proposta in basso a destra che dice “Roger Federer è il miglior tennista del mondo. Peccato per gli spagnoli. Uno non può piacere a tutti”. Ripeto non si tratta di una campagna realizzata e quindi ci sta benissimo in un brain storming creativo, però è sorprendente che la rivista l’abbia scelta tra le5 migliori idee delle oltre trenta presentate per rendere più simpatica l’immagine della Svizzera. O forse ad uno svizzero non sembra così strano.
Questi esempi mi hanno confermato una volta di più una convinzione cho ho praticamente da quando ho iniziato a lavorare in azienda: i segreti aziendali non esistono o sono al massimo un paio e sono sempre legati alla produzione.
Quello che un’azienda riesce o non riesce a fare è conseguenza della sua cultura e delle sue competenze come organizzazione e non dell’ignoranza vs. la conoscenza. La conseguenza è che non c’è nessun motivo di rendersi la vita complicata con eccessiva riservatezza ed opacità (che poi si ripercuote fatalmente anche nella comunicazione interna, con tutte le inefficenze che ne conseguono).
Quindi divertitevi che è carnevale.