“Queste regole sono semplicissime, le capirebbe un bambino di quattro anni, Chico, vammi a trovare un bambino di 4 anni, perché io non ci capisco niente!” (Rufus T. Firefly) alias Groucho Marx.
Mia nipote teen ager l’altro giorno mi chiede cosa ne penso della sponsorizzazione di X factor da parte di Wind. Io rispondo che non ne penso niente perchè nè sono cliente wind nè guardo X-Factor.
Mi spiega quindi rapidamente la questione.
Wind è (uno) dei main sponsor di X-Factor ed ha lanciato delle tariffe “music” collegate a questa sponsorizzazione (quindi al programma, quindi al mondo della musica, quindi al target dei teen-ager) che permettono di scaricare ed ascoltare musica tramite l’applicazione di Napster.
Essendo totalmente in target, lei se la scarica, ma poi scopre che negli oltre 30 milioni di brani che ci sono su Napster, non ci sono tutti quelli cantati dai partecipanti ad X-Factor. O meglio, se ho capito bene, su Napster ci sono tutte le cover cantate durante il programma, ma non tutte le versioni originali.
Ergo, dopo aver sentito una canzone cantata da un partecipante di X-Factor ha voluto andare a sentire com’era la versione originale (sarà stata meglio o peggio di come l’hanno cantata ad X-Factor?) e non l’ha trovata perchè non è tra quelle di cui Napster ha i diritti.
Siccome lei non è così naif come la dipingo io, è assolutamente cosciente che è una questione di diritti e quindi la domanda vera che voleva farmi, come professionista di marketing (lo so ho una brutta vita) era “Ti sembra possibile che questi della Wind diano un pacco di soldi di sponsorizzazione ad X-Factor e non riescano neanche a fare in modo che le canzoni utilizzate nel programma rientrino nei 30 milioni di brani (mi rifiuto di usare la parola “traccia”) di cui Napster ha i diritti, per evitare che i loro clienti si sentano ingannati?”.
Forse alla wind non hanno bisogno di un bambino di 4 anni, ma un’adolescente di 17 potrebbe dargli una mano.
Questo aneddoto tocca alcuni punti interessanti del concetto di marketing totale:
1. Apparire coerenti è più facile che essere coerenti: una volta le interazioni tra la marca e le proprire audiencies erano meno frequenti nel tempo e nello spazio. Soprattutto erano in larghissima misura unidirezionali e sotto il controllo della marca.
La marca preparava con cura la realizzazione e l’esecuzione delle proprie campagne di comunicazione, quindi era molto più semplice che queste mantenessero una loro coerenza interna e con le altre strategie di prodotto, distribuzione e prezzo.
Adesso le interazioni tra la marca e le proprie audiencies sono diffuse e continue nel tempo e nello spazio. Di conseguenza la coerenza si può ottenere solamente con la definizione di una chiara identità/personalità della marca e la sua condivisione ed (intima) adozione all’interno dell’organizzazione (nell’organizzazione io comprendo tutte le funzioni aziendali+più i suoi fornitori di prodotti e servizi).
Per dirlo in un altro modo, una volta le marche incontravano i propri consumatori (quasi) esclusivamente dandogli appuntamento, quindi si ppotevano preparare con cura, scegliere il vestito adatto, truccarsi, aggiustarsi i capelli, comportarsi secondo l’immagina che volevano dare, ecc…. Oggi le marche incrociano le proprie audiencies sempre, anche appena sveglie oppure alla fine della giornata quando sono stanche e vorrebbero solo mettersi in pantofole e pigiama. L’unico modo per non far prendere paura ai consumatori è ESSERE se stessi in ogni occasione.
Se la marca mostra qualche lacuna nel suo approccio (rispetto) verso (le aspettative) dei propri consumatori non basta cambiare spot, bisogna intervenire sulla propria essenza (carattere). E questo è molto più difficile.
2. (voler) Creare dei legami emotivi con le proprie audiencies è un arma a doppio taglio. Le marche si sono spostate dall’apparire all’essere un po’ perchè forzate dalla società dell’era digitale ed un po’ perchè si sono convinte che creare legami emotivi con i consumatori sia un fattore di successo.
Io non sono del tutto d’accordo con questa visione (vedi il mio post Lovemarks vs. users: i rischi dell’amore platonico (per le marche)), ma per il momento prendiamo per buona la validità dell’obiettivo delle marche di creare legami emotivi con i propri consumatori.
Detto in parole semplici l’obiettivo è che i miei consumatori mi amino.
Il problema di maneggiare sentimenti forti è che se poi sentono traditi, mi odieranno. E l’unico modo per evitare (ridurre) il rischio che si sentano traditi è che io, marca, a mia volta ami i consumatori.
Non è un impegno da poco e le parole hanno tutto il peso che possiedono nei rapporti tra le persone. In realtà non sarebbe nemmeno troppo difficile se nelle aziende l’approccio di marketing fosse prevalente e la funzione marketing svolgesse il ruolo strategico che le è proprio. Purtroppo però la situazione più diffusa attualmente è quella di un marketing marginale nella definizione e realizzazione delle strategie e di una predominanza dell’approccio finanziario, che tipicamente ama più il denaro che le persone.
Alla fine di questo pistolotto pseudo filosofico qualcuno potrebbe dire che dò troppa importanza alla coerenza.
Vi, e mi, chiedo voi stabilireste una relazione stabile con una persona incoerente? Avreste fiducia in lei? Soprattutto fareste affari con una persona incoerente?
Cambiate “persona” con “marca” e capirete perchè io continuo a considerare la coerenza delle attività della marca come precondizione per il suo successo.