Gli shopping bots stanno rivoluzionando i processi e l’esperienza d’acquisto e dimostrano l’utilità del concetto di Marketing Totale e delle sue implicazioni.

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Avvertenza: ho seri problemi con la “m” della tastiera, mi scuso in anticipo per i refusi.

Interessante articolo sull’effetto degli shopping bot nei comportamenti d’acquisto su Marketing News che stimola altrettanto interessanti riflessioni sulla gestione del marketing (no, non sono d’accordo su tutto quello che si dice nell’articolo).

Innanzitutto, cos’è uno shopping bot: detto semplice è un software programmato per fare acquisti on line cercando il miglior prezzo per un determinato prodotto, categoria di prodotto o marca (la distinzione tra i tre è importante, ma per il momento la tralasciamo).

Detto in altre parole è la realizzazione dell’homo oeconomicus teorizzato dagli economistici classici (Adam Smith sta facendo le capriole nella tomba) che si comporta in modo totalmente razionale, esclusivamente nel proprio interesse.

Gli shopping bots cambiano quindi radicalmente i comportamenti e l’esperienza di acquisto nell’e-commerce, che è già una parte importante del commercio al dettaglio ed è chiaramente destinato a diventarlo ancora di più in futuro.

Uno shopping bot lavora per trovare la migliore offerta:

-          24 ore su 24,

-          7 giorni su 7,

-          non ha sostanzialmente limiti nel numero di siti che può visitare,

-          non è influenzato da abitudini,

-          non ha alcun vantaggio dal fatto che la “sua” carta di credito ed i “suoi” dati siano già registrati (quindi limitarsi a ricercare le offerte solamente nei soliti siti non rappresenta per un bot alcun vantaggio in termini di “costi” di gestione della ricerca e della transazione),

-          non ha alcun vantaggio ad essere iscritto a newsletter che gli ricordino/segnalino le offerte,

-          non ha bisogno di siti aggregatori o intermediari (tipo Expedia o Edreams per capirci),

-          non subisce gli algoritmi utilizzati dai siti di e-commerce per gestire i prezzi in modo dinamico, alzandoli o abbassandoli in base all’ora al giorno, ecc…,

-          non gli interessa la combinazione tra comodità, ampiezza ed assortimento proposta da un sito di e-commerce. La comodità non è un fattore, l’ampiezza dell’assortimento se la crea da solo con la ricerca e quindi sceglie sempre in base al miglior prezzo.

L’articolo di marketing news sostiene anche che gli shopping bots rendono irrilevanti la marca e la pubblicità.

Io qui non sono d’accordo riguardo alla marca e lo sono in parte riguardo alla pubblicità, se la vedo nel concetto di PERCEZIONE secondo la mia visione di marketing totale.

Non sono d’accordo sul fatto che gli shopping bots rendano irrilevante la marca, perché il bot fa quello per cui è stato programmato (ovvio).

Quindi se devo acquistare un articolo con delle specifiche tecniche definite, ad esempio una risma di fogli A4 di una determinata grammatura, sicuramente la marca sarà irrilevante. Probabilmente lo sarà anche nel caso in cui voglia comprare una stampante a colori multifunzione, oppure un volo aereo da a.

Credo però che la marca riacquisti un certo valore nel caso in cui voglia acquistare un maglione, un barattolo di caffè, un libro. Ossia nel caso i prodotti siano meno standardizzati: a seconda della marca un maglione avrà un taglio diverso, il caffè un sapore diverso ed il romanzo che voglio leggere è esattamente quello e non un altro.

Se la marca mantiene una sua rilevanza, la mantiene evidentemente la percezione che della marca hanno i consumatori che danno al bot le istruzioni per gli acquisti. Quanto e come pesi oggi la pubblicità nella percezione di una marca da parte delle persone (e quanto peserà in futuro) è tutta un’altra questione che non si può affrontare qui (su cui trovate però vari post passati all’interno del blog e su cui scriverò di nuovo a breve)

Secondo me però può essere interessante considerare quale può essere l’effetto della percezione delle marche per gli shopping bot dotati di intelligenza artificiale.

Non mi sembra particolarmente difficile inserire nella programmazione del bot anche l’elemento delle valutazioni che di un determinato prodotto hanno fatto gli utenti che l’hanno già acquistato. Ed anche inserire nella valutazione anche eventuali recensioni, articoli, post, ecc. mi sembra più un problema tecnico che concettuale.

In sintesi, immagino che si potrà operare per modificare la percezione delle marche non solo da parte delle persone che il bot lo usano (gli danno le istruzioni), ma anche del bot stesso.

Quello che è certo è che con gli shopping bots sarà praticamente impossibile applicare prezzi diversi per lo stesso prodotto della stessa marca e che aumenterà ancora di più la concorrenza di prezzo da parte di prodotti/marche simili/sostitutive.

L’altro importante ribaltamento di paradigma nella gestione del marketing che gli shopping bots confermano ed accelerano è quello per cui nella società digitale non sono più le marche a cercare i consumatori, ma sono i consumatori che le trovano.

Cambio di paradigma che rafforza l’importanza dell’autenticità, precondizione per essere riconoscibili, e quindi farsi trovare, ed unica garanzia di saper mantenere le promesse fatte alle persone, come pilastro su cui deve poggiare la gestione delle marche.

Tutte cose, utili, che trovate nella visione del Marketing Totale che ho teorizzato qualche anno fa. Non metto i link, a trovate facilmente i post dalla casella di ricerca del blog.

Siate onesti con voi stessi per esserlo con gli altri.

La fine del dettaglio, come lo conosciamo.

“It’s the End of the World as We Know it (and I Feel Fine)” cantavano i R.E.M. nel 1987 (la cover di Ligabue è del 1994).
Trentanni dopo “Marketign News” pubblica un articolo intitolato “The End of Retail (as we knew it)” e dal contenuto doesn’t seem they feel very fine.

Siccome quello che succede oltreoceano in larghissima misura poi si verifica da noi con un po’ di ritardo (mesi o anni, a seconda) credo sia interessante ragionare sui concetti principali dell’articolo.

Innanzitutto lo scenario: nei primi tre mesi del 2017 alcune tra le principali 5 catene americane di grandi magazzini, quindi non stiamo parlando della distribuzione alimentare, hanno perso vendite per 4,6 miliardi di dollari.
Stiamo parlando di Macy’s, Kohl’s, Dillard’s, J.C. Penney e Nordstrom. Le vendite di quest’ultima sono state le più basse dal 1972.
Sears, forse la più famosa catena di grandi magazzini americana, ha chiuso centinaia di punti vendita e nove aziende hanno dichiarato bancarotta, eguagliando in 3 mesi il totale di tutto il 2016.

Colpa di Amazon? Sicuramente sì, ma solo in parte.
Una ricerca rileva che:
- il 30% dei consumatori preferisce vedere dal vivo, toccare con mano (le cose) e provare le cose (l’abbigliamento) prima di comprare.
- al 49% piace portarsi a casa immediatamente quello che hanno comprato.
- Il 18% dice che gli piace ancora andare in negozio per la specifica esperienza d’acquisto.
- “Solo” il 7% dichiara di acquistare esclusivamente on-line.
Il fatto che con lo smartphone le persone abbiano il mondo in tasca ha certamente cambiato la società e quindi anche i comportamenti d’acquisto, non necessariamente cancellando i negozi fisici, ma sicuramente cambiando quello che le persone si aspettano quando ci entrano.
Un’altra ricerca rileva che i commessi non riescono a dare una risposta soddisfacente ai clienti nel 50% dei casi. Se la percentuale vi sembra incredibile significa che non siete mai andati a comprare nei negozi dei grandi mall americani. La prima volta che mi è successo, era il 1990 e cercavo con un amico un cronografo Hamilton, sono rimasto stupito e demoralizzato di come i commessi delle orologerie conoscessero a malapena quello che avevano in negozio in quel momento e non avessero idea del resto.

La mia impressione è che oggi questa de-specializzazione del personale si sia diffusa anche da noi.
Magari una volta il problema era minore perché anche il consumatore ne sapeva poco, ma oggi non è più così.
Un’altra ricerca ancora stima che il valore delle vendite off-line “generate” da dispositivi mobili nel 2016 siano state pari a 1.700 MILIARDI di dollari. Ossia poco più della metà di tutte le vendite al dettaglio negli USA.
Significa che le persone cercano quello che vogliono acquistare sui dispositivi mobili e poi vanno in negozio a comprarlo. Significa quindi che arrivano in negozio molto ben informati.
Non si fa menzione del trend inverso, apparso qualche anno fa, di andare a vedere il prodotto fisicamente in negozio e poi acquistarlo a prezzo inferiore on-line. Che sia dovuto a politiche di prezzo più accurate? Oppure all’abitudine oramai acquista negli acquisti on-line che ha reso superflua la necessità di toccare con mano il prodotto prima di comprarlo?
In contemporanea si prevede che gli acquisti realizzati da smartphone cresceranno ad un tasso di oltre il 20% all’anno da qui al 2021, raggiungendo un totale di 152 miliardi di dollari, pari al 24% di tutti gli acquisti on-line.

In questo scenario le catene di grandi agazzini americane hanno risposto cercando di rifugiarsi nei vecchi modelli, perseguendo maggior efficienza attraverso la riduzione dei costi, ma lo scenario riportato sopra dimostra una volta di più che l’efficienza senza l’efficacia non serve a niente.
La prima cosa da fare quindi è recuperare il gap digitale. Se la metà delle vendite off-line comincia dai dispositivi mobili, l’esperienza digitale (app, sito, ecc…) offerta alle persone da un negozio fisico deve essere almeno pari a quella offerta da un negozio on-line.
Come non mi stancherò mai di ripetere on-line ed off-line non sono due cose separate, ma fanno parte integrante ed integrale dello stesso mondo: il nostro.

E quindi, sempre nell’ottica del Marketing Totale, la P di Presenza che sostituisce quella di Place va vista sia coe presenza fisica che digitale.
Attenzione che la parità digitale per i negozi fisici non è un vantaggio competitivo, ma è un must competitivo. La condizione minima per la sopravvivenza su cui costruire il successo attraverso il coinvolgimento del cliente.
Quando e come agganciare i (potenziali) clienti, specialmente i nativi digitali?
Qui è utile il concetto di micro-momenti sviluppato da Google. Un micro-momento sono quei pochi secondi in cui le persone scelgono nel momento in cui decidono di guardare il proprio smartphone per fare, comprare o imparare qualcosa.
Dalle analisi di Google il 90% delle persone non aveva alcuna specifica marca in mente nei loro micro-momenti ed il 73% ha fatto la propria decisione d’acquisto in base a quale azienda fosse la più utile/accessibile durante i loro micro-momenti di ricerca di acquisto.
Gli affezionati lettori di questo blog forse ricorderanno che una delle implicazioni del mio concetto di marketing totale, nato dalle riflessioni sulle caratteristiche della società digitale, è che non sono più le aziende/marche a cercare i consumatori, bensì i consumatori a trovare le aziende/marche. E’ quindi necessario essere facili da trovare nel momento giusto. Da qui l’importanza di un’identità, chiara forte ed autentica.

A questo punto è il caso di fare qualche esempio.
Bonobos’ Guideshop, catena di negozi di abbigliamento recentemente acquistata da Walmart per 310 ilioni di dollari.
I negozi sono organizzati con un concetto di showroom, ossia nel negozio non ci sono gli stessi capi nelle diverse varianti di taglie e colori ripetuti, ma c’è un solo “campione” per tipo e taglia.
I clienti prendono appuntamento con il negozio tramite il web, così quando arrivano sono subito accolti da un commesso che li seguirà nell’acquisto, provano i vestiti per scegliere taglio e tessuto. Per quanto riguarda i colori che non sono presenti in negozio, il commesso fa delle foto ai clienti con il capo scelto e poi gli mostra le diverse varianti di colore applicando dei filtri all’immagine.
Il profilo del cliente viene registrato per aiutarlo a trovare la stessa taglia e lo stesso taglio alla prossima occasione.
Il cliente fa l’acquisto nel punto vendita e dopo due giorni riceve il capo a casa (evidente il risparmio di spazio nel negozio, quindi di costo di affitto del punto vendita).

Nordstrom si sta rilanciando inserendo zone pop-up nei negozi in modo da creare negozi temporanei all’interno dei negozi e così rinnovare continuamente l’assortimento, in modo rendere più divertente/interessante l’esperienza d’acquisto perché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Strategia in essenza non molto diversa da quella di Zara, che con il suo rinnovo rapido e continuo dell’assortimento ha superato il concetto di “collezione”.

Best Buy, catena di elettronica, sta aumentando le proprie vendite puntando sul divertimento nel processo d’acquisto permettendo ai clienti di provare gli articoli, quindi sostanzialmente di giocare, prima di acquistarli, ultimi arrivi compresi. Anche qui il modello si avvicina ad una showroom.
Per evitare di diventare una webroom e vedere i propri potenziali clienti andare a casa a comprare on-line l’articolo che avevano provato in negozio, Best Buy offre come garanzia di miglior prezzo, oppure rimborsa, rispetto a tutti i negozi fisici ed alcuni siti di e-commerce, Amazon compreso.
Il cliente quindi può giocare nel punto vendita, se gli piace lo compra al miglior prezzo del mercato e se lo porta a casa subito, senza dover aspettare che gli arrivi per corriere.

In sintesi bisogna sperimentare perché i vecchi modelli non reggono più ricordando che:
- C’è una quota di consumatori mobile only, una maggioranza mobile first, ed una quota (piccola e calante?) di mobile never.
- L’esperienza di consumo COMPLESSIVA è UNA SOLA ed è il risultato della somma (meglio se diventa una moltiplicazione) delle esperienze digitali e di quelle fisiche.
No, il commercio non è un paese per vecchi.

O2O trend (tendenza online-to-offline).

Biscomarketing vede e prevede.

Il 15 settembre 2014 scrivevo che nel 2024 (data presa come riferimento del futuro per una serie di interviste fatte da Marketing News a vari guru del marketing) “non sarà il cliente ad andare nel negozio, ma il negozio ad andare dal cliente”.

Una previsione che risultava sostanzialente dal ragionamento speculativo sulle conseguenze del cambiamento di visione della distribuzione come Place alla distribuzione come Presenza che avevo elaborato il 19 maggio del 2013 e che mi avevo organizzato ed articolato un anno dopo nel concetto di Marketing Totale, insieme al cambiamento della “P” di Promotion in Percezione (i link ai vari post non li metto, li potete facilmente trovare con la funzione di ricerca nel blog)

Questa nuova pre – visione della funzione distributiva aveva già trovato una conferma nel progetto Amazon Go di punto vendita senza casse, di cui avevo parlato tempo fa.

Adesso leggo Meininger’s Wine Business International di dicembre 2016 che:

- in Cina nel 2015 è cominciata la tendenza O2O, o Online to Offline revolution (essere stato più avanti dei cinesi un po’ mi fa piacere, un po’ mi fa paura).

- I due principali siti cinesi di vendita di vino on line, Yesmywine e 1919, hanno in programma per il 2017 di aprire dei negozi fisici per poter raggiungere ed essere raggiunti più facilmente dal consumatore (tenete presente che oggi Yesmywine è in grado di garantire la consegna nello stesso giorno degli ordini on line nelle maggiori città cinesi).

- In particolar modo 1919, che ha già 1.000 negozi fisici sparsi per la Cina, prevede di arrivare a 120 negozi nella sola Shanghai per la fine del 2017. In questo modo contano di raggiungere l’obiettivo di consegnare il prodotto tra i 19 e 30 MINUTI dopo avere ricevuto l’ordine.

Registrato il fatto mi vengono in mente almeno due corollari:

1) Per osservare i futuri trend di marketing conviene guardare alla Cina. Sarà pure capitalismo di stato, ma, nella mia esperienza, è uno dei più competitivi. Da una parte ci sono consumatori con aspettative (di servizio) elevate, dall’altra aziende che di fatto possono operare con la massia libertà da vincoli legali e/o sociali. Moltiplicate tutto con l’immensa dimensione del mercato e capite quanto premiante sia riuscire ad avere un vantaggio competitivo, anche piccolo, rispetto ai concorrenti.

2) L’e-commerce è e sarà sempre di più un lavoro da professionisti. Giustamente. Quindi le aziende che vogliono gestire direttamente il proprio e-commerce saltando gli intermediari commerciali è bene che valutino bene il valore della loro proposta per i loro consumatori obiettivo, che si dotino delle competenze e strumenti adeguati e si preparino ad un ambiente competitivo estremamente darwinistico.

Amazon GO: un’esempio di come la P di “place” è diventata la P di Presenza.

Negli ultimi due giorni sono stato a tenere una lezioen sull’impostazione del brand al Corso di Alta Specializzazione in Marketing Internazionale del Vino organizzato da Wine Job in collaborazione con lo IED di Firenze.

Abbiamo discusso anche del (mio) concetto di marketing totale e delle implicazioni che ha nell’interpretazione delle 4P, tra cui il passaggio della P di “place” (distribuzione) in P di “Presenza”.

In sintesi si tratta di vedere la distribuzione legata ai luoghi in cui le persone si trovano nel momento in cui sorge (o può sorgere) l’esigenza/voglia di acquisto e/o consumo.

Se la sintesi non vi basta qui trovate i link ai miei due post del maggio 2013, in cui formulo il concetto, e del settembre 2014, i cui lo approfondisco.

Tra le (tante) altre cose che ho detto, ho ripetuto più volte l’importanza di guardare il proprio business dal punto del benefit/servizio offerto alle persone e non dal punto di vista della tecnologia/processi che si utilizzano, pena la perdita di opportunità (nel migliore dei casi) o l’uscita dal mercato per l’arrivo di nuovi concorrenti che forniscono lo stesso servizio con modalità completamente diverse dal punto di vista tecnico, più efficaci ed efficienti. La storia dell’economia aziendale è piena di esempi.

Amazon GO (qui il link al video) per me è una conferma importante di entrambi i concetti.

In termini di visione del proprio business in termini di benefit offerto e non di tecniche usate dimostra infatti che Amazon non è un’azienda di vendita e distribuzione on line, ma un’azienda di distribuzione tout-court con l’obiettivo di fornire alle persone le migliori soluzioni per acquistare tutto quello che desiderano.

Questa visione corrisponde a quella che si è data l’azienda? In parte, anche perchè girando sul web ho trovato lo stesso  “statement” indicato a volte come vision ed altre come mission (a dimostrazione che il confine tra i due concetti è labile).

Prendo la versione più completa riportata da un articolo pubblicato lo scorso luglio sul sito del Panmore Institute che riporta visione e missione di Amazon:

Vision: Our vision is to be Earth’s most customer centric company; to build a place where people can come to find and discover anything they might want to buy online. (La nostra visione è di essere l’azienda che più di tutte le altre al mondo mette il consumaore al centro; vogliamo costruire un posto dove le persone possono venire per trovare e scoprire tutto quello che possono desiderare di acquistare on line. N.d.t.; N.d.a.; sempre io)

Mission: We strive to offer our customers the lowest possible prices, the best available selection, and the utmost convenience. (Noi ci impegnamo/sforziamo per offrire ai nostri clienti i prezzi più bassi possibile, il migliore assortimento e la massima praticità. N.d.t.; N.d.a.; sempre io)

La vision quindi è in realtà obsoleta rispetto al progetto Amazon GO e quindi sarebbe il caso di aggiornarla se si vuole che continui a svolgere quella funzione di guida/ispirazione dell’attività aziendale. In realtà sarebbe anche il caso di mettere ordine tra vision (che nel profilo fb di Amazon è definita come la mission) e, se fosse per me, farei un’unico “statement” che integra i due eliminado il riferimento limitativo all’e-commerce. Ma questa è un’altra storia.

In termini di interpretare la P del marketing legata alla distribuzione come Presenza, conferma la tendenza al “nomadismo locale” nella vita delle persone (si è eno a casa) e la conseguente opportunità/necessità di intercettarle nei percorsi dei loro tragitti verso le attività che gli interessano di più per fornirgli i servizi meno emotivamente interessanti.

Vedo già alcune implicazioni nella localizzazione logistica dei punti vendita con l’ulteriore declino dei grandi centri commerciali periferici, ma per oggi mi fermo qui ed auguro a tutti un Sereno Natale ed un Felice 2017.

Ci vediamo l’anno prossimo.