Amici, nemici e semplici conoscenti

Mi è scoppiato l’embolo politico e non si rimargina più.
Però siccome questo vuole rimanere un blog di marketing, non parlerò di Fioroni-Minetti-Polverini-Berlusconi-Fini-Squinzi per onestà intellettuale nei confronti miei e dei lettori.
Parlerò invece del numero di Dunbar, perchè la settimana scorsa ho letto un’intervista a Robin Dunbar su “Il Piccolo” di Trieste e mi stupisce sempre trovare conferme scientifiche e serie ad alcuni miei personali (nel senso che me li sono creati da solo) generici concetti antropologici e sociologici. Metafisica da portinai l’avrebbe chiamata Saint Exupery, affermazione che aasume tutta un’altra valenza da quando è stato pubblicato nel 2006 “L’eleganza del riccio” .
Robin Dunbar è un antropologo in glese che alcuni anni fa ha definito in circa 150 il numero massimo di amici, ovvero “relazioni umane significative”, che un individuo di specie umana può avere. Il cosiddetto numero di Dunbar.
Questo risultato è basato sia su ricerche paleo-antropologiche (tribù preistoriche di cacciatori, censimenti inglesi dell’alto medioevo) che su “conferme” (il virgolettato e mio, se c’è qualche scienzato in ascolto può dimostrare che vanno tolte) di neuro-fisiologia. Il numero di Dunbar infatti è legato allo spessore della corteccia orbitale frontale, dove vengono prese le decisioni di alto livello.
E’ quindi un numero specifico, nel senso che è legato alla specie umana, e non individuale.
Di conseguenza “… noi umani abbiamo una riserva limitata di emozioni da spendere. Possiamo consumarle in quantità minime, ma in molti rapporti. Oppure investirne in quantità cospicue, ma con pochi.”. Ed è qui che mi sono stupito perchè molti anni fa, tanti che oramai non ne parlo quasi mai, mi sono fatto l’idea delle emozioni di ognuno come di una superficie rettangolare data, in cui possono variare le lunghezze dei lati che rappresentano il numero e l’intensità delle relazioni. Quindi, geometria elementare, se aumenta la lunghezza del lato “intensità” deve per diminuire di conseguenza la lunghezza del lato “numerosità” e viceversa. Non mi ero posto la questione se questa superficie data e costante è individuale o specifica, adesso Dunbar mi ha dato la risposta.
Al di là che questo argomento sia, apparentemente, collegato ai social networks del web 2.0 (mentre in realtà lo è solo in parte), cosa c’entra con il marketing?
Secondo c’entra in base al tipo di rapporti che le marche vogliono stabilire con le persone. Secondo le parole di Dunbar, gli “amici” sono le persone con cui si stringe una relazione reciproca che include obblighi, fiducia e buonafede.
E’ indubbio che le marche di maggior successo nel lungo periodo sono sempre state quelle che sono riuscite a stabilire un rapporto di amicizia (volutamente senza vigolette, adesso che c’è una definizione a cui riferirsi) con i loro clienti. Ed è altrettanto indubbio che nella situazione di eccesso di offerta che contraddistingue moltissimi settori in moltissimi mercati, la capacità di costruire questo rapporto di amicizia diventi sempre di più un must piuttosto che un plus (per approfondimenti al concetto segnalo due miei vecchi post qui e soprattutto qui).
Allora (mi) consiglio di tenere sempre bene in mente che l’amicizia si basa sulla reciprocità di obblighi, fiducia e buonafede (repetita iuvant). Se l’avessero avuto chiaro anche i signori che si occupano della comunicazione di Parah non avrebbero organizzato la sfilata con la Minetti (ma qualcuno sa dirmi chi era l’agenzia, così evito di correre il rischio di lavorarci in futuro?).
C’è poi un’altra implicazione di marketing, legata al concetto del numero di Dunbar: se io come marca punto a costruire un rapporto di amicizia con i miei clienti, rientro anch’io nel numero massimo di rapporti che una persona può mantenere?
Secondo me sì, e questo implica un limite teorico al numero dei clienti. E’ vero che 150 amici è un numero tutt’altro che basso, però è anche vero che i social networks permettono di mantenere un numero maggiore di amicizie rispetto al passato.
Forse le marche potranno imparare da Bonvi e puntare a diventare, per i loro clienti, “semplici conoscenti”.