Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 6: le politiche di PERCEZIONE (già promo-pubblicità).

Anche il post di oggi parte in teoria un po’ in discesa perchè sul futuro di questa parte del marketing ho già riflettuto sempre lo scorso 19 maggio, quando ho introdotto le’evoluzione di “distribuzione” in “presenza” e “promo-pubblicità” in “percezione” (per amor di precisione ricordo che i termini inglesi originali nella teoria kotleriana classica sono “place” e “promotion”).

Dei due termini frutto delle riflessioni nate dalla voglia di mantenere la “4P” anche in italiano “Presenza” è quello che è sembrato generalmente più indovinato per descrivere i nuovi contesti di mercato, mentre “Percezione” è stato spesso giudicato più una forzatura formale per amor di “P” piuttosto che l’espressione di un diverso punto di vista.

Confesso che la cosa un po’ mi ha stupito perchè in realtà già il termine inglese “Promotion” mi è sempre sembrato il meno efficace dei quattro (pro memoria: gli altri tre sono product, price e place) per l’aderenza solo parziale alle attività che contiene.

Sempre seguendo l’enunciato del Kotler in “Marketing Management” all’interno di “Promotion” ci sono le attività di comunicazione che forniscono al consumatore ragioni d’acquisto, tipicamente pubblicità e PR+passaparola, le attività di promozione che forniscono al consumatore incentivi all’acquisto, promozioni di prezzo, concorsi, ecc…, e le attività di vendita diretta che argomentano l’acquisto con un mix di comunicazione e promozione, come le vendite telefoniche per esempio.

Proprio perchè “promozione” mi sembrava un termine riduttivo a rappresentare questa varietà di concetti strategici e tattici, io in italiano ho sempre utilizzato il (brutto) termine “promo-pubblicità”.

PERCEZIONE però e me è sembrato un sostanziale passo in avanti nel significare il risultato ultimo dell’integrazione di tutte le attività intraprese dalla marca, non solo quelle appartenenti alla funzione Promo-pubblicitaria.

Come ho già scritto in più di una occasione, tutti gli elementi che determinano la forza di una marca si possono ridurre e sintetizzare nelle due dimensioni della PERCEZIONE e del grado di CONOSCENZA che il mercato ha della marca.

E’ evidente l’influenza sulla percezione che ha dell’aspetto del prodotto/servizio nel suo senso più ampio che comprende materiali e forma della confezione, dell’etichetta, la caratterizzazione grafica e tipografica, ecc..

E’ altrettanto assodato il ruolo del prezzo nel far percepire l’esclusività e la qualità di un prodotto/servizio ed il conseguente ruolo delle promozioni, di prezzo e non, nel rafforzare o indebolire la percezione suggerita dal prezzo.

Forse meno evidente, ma sicuramente chiaro il peso che gioca nella percezione la scelta dei modi e canali distributivi. Il tipo di presenza suggerisce delle preconfigurazioni in termini di qualità, esclusività, accessibilità, ecc…

Da tutto questo preambolo deriva che le politiche di comunicazione/promozione, ossia Percezione, nel marketing futuro dovranno necessariamente tener conto dell’INTEGRAZIONE tra tutti gli elementi del sistema della marca (ok oggi ho deciso che parlo come quelli veri).

Ma perchè l’integrazione sia efficace è necessario che sia coerente nel tempo e nello spazio, ed il modo più efficiente per avere un’integrazione coerente è ESSERE (concetto che oramai, avrete capito, vedo alla base del marketing del futuro).

Pura teoria? Mica tanto, eccovi l’esempio di Fulvio Bressan, produttore vinicolo friulano di fascia alta.

Il 22 agosto del 2013 Fulvio Bressan fa un commento fortmente razzista sul Ministro Kyenge sul suo profilo facebook.

Immediatamente inizia la discussione sui social network tra sostenitori e detrattori di Bressan. Il giorno dopo la notizia viene coperta dai principali blog del vino italiadni e da alcuni in lingua inglese.

A questo punto la viralità diventa inarrestabile, la presa di posizione di Bressan su un tema politicamente caldo come il razzismo in generale e quello nei confronti del ministro Kyenge in particolare trova spazio in un articolo di “Repubblica” che viene poi ripreso dal Guardian e via via fino a testate negli U.S.A., Svizzera, Francia, Sudafrica, Nuova Zelanda, India.

La guida dei vini Slow Food, i cui valori sono “buono, pulito e giusto”, decide di non recensire il vini di Bressan per la suo prossima edizione e lo stesso fa Monica Larner, una delle principali e più seguite critiche enologiche statunitensi per i vini italiani.

Non ci sono notizie precise sulle reazioni di importatori/distributori/consumatori dei vini di Bressan.

Qui il link al post con la sintesi della vicenda pubblicata a suo tempo dal blog Intravino.

L’esempio è particolarmente interessante per la sua chiarezza dovuta a diversi aspetti:

- l’automatica coincidenza tra l’essere Fulvio Bressan e la marca Bressan, sia per la piccola dimensione aziendale sia per la voluta e ricercata identificazione del viticoltore ed enologo con i sui vini. L’essere è unico, senza distinzioni e separazioni tra il Bressan viticoltore, il Bressan enologo ed il Bressan che parla (scrive) ai sui amici (contatti) di facebook.

- di conseguenza la percezione è il risultato dell’integrazione della comunicazione nei diversi modi, tempi e stili dell’essere unico. Il pubblico tirerà le somme di eventuali distonie ed incoerenze, arrivando ad una percezione “netta” e su questa base si rapporterà con la marca.

- il contenuto, in questo caso il razzismo, è il principale fattore che determina l’interesse relativamente al messaggio, più che la sua forma/stile.

- l’estensione e la profondità che può raggiungere il passaparola tramite i social, che a loro volta rimbalzano sui mezzi di comunicazione ufficiali (tradizionali e non) rende sostanzialmente incontrollabile già oggi la diffusione della comunicazione. Per il futuro possiamo solo aspettarci una ulteriore riduzione della capacità/potere delle organizzazioni nel controllare il contesto comunicativo in cui operano.

Dite che questo esempio è da manuale proprio perchè relativo ad una realtà semplice, come una piccola azienda vinicola?

In realtà le stesse considerazioni si potevano fare relativamente alle dichiarazione di Guida Barilla e la presenza di famiglie gay negli spot della sua azienda (“mai uno spot con i gay”). Qui in realtà c’è un elemento nuovo: fino a che punto è giusto identificare l’essere del marchio Barilla con l’essere dei suoi azionisti?

Oppure si potevano fare riflettendo sull’effetto che ha avuto la morte dell’orsa Daniza nell’immagine del Trentino come ESSERE un  territorio vocato alla natura.

Allora la gestione efficace della percezione nel marketing del futuro dovrà partire da una profonda ed onesta introspezione che definisca in modo chiaro e condiviso l’essenza dell’organizzazione/marca.

Da questo sarà possibile sviluppare contenuti rilevanti perchè coerenti e forti perchè integrati in tutte le espressioni dell’organizzazione/marca.

Di conseguenza discenderanno anche gli stili, più che le modalità, delle diverse attività che veicolano la percezione.

Credo sia giusto sottolineare come questo processo abbia molto a che fare con l’interno dell’organizzazione/marca e pochissimo a che vedere con il consumatore o target market.

Parlando di marketing sembra strano, però non è voluto a priori: è semplicemente la conseguenza della linearità del ragionamento, ma probabilmente si giustifica pensando alla crescente frammentazione dei segmenti di mercato.

Nel momento in cui diventa difficile/impossibile definire le caratteristiche che identificano un segmento di mercato sufficentemente grande da avere un senso economico saranno più le persone ad intercettare le marche e non viceversa.

Concludo ricordando che se siamo, e lo siamo, tutti nel mercato dei contenuti più che di segmenti di consumatori, sarebbe opportuno parlare di audiences di ascoltatori. Ad ogni modo sempre di persone si tratta.

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 5: le politiche di PRESENZA (già distribuzione).

Ok il post di oggi è facile perchè il futuro delle distribuzione l’ho già presagito quando ho cambiato 2 delle 4 P del marketing, ribattezzando la “distribuzione” in “presenza” (qui il link al post del 19 maggio 2013, tempus fugit).

La distribuzione del futuro sarà quindi basata sulla presenza dei prodotti/servizi nei luoghi fisici e/o virtuali dove sono presenti i (potenziali) consumatori.

Gli esempi di scaffale virtuale parlano al presente (avanzato per carità) più che al futuro, visto che le esperienze di Tesco nelle stazioni della metropolitana in Sud Corea e Peapod a nelle stazioni del trasporto pubblico di Chicago sono rispettivamente del 2011 e del 2012.

Più che di ispirazione, siamo oramai nella fase di valutazione dei risultati ed adattamento della tecnologia per la sua diffusione, come spiega questo articolo sul cammino fatto da Tesco su questa strada.

La rivoluzionarietà del concetto è sintetizzata nella dichiarazione di Mike McNamara, group CIO di Tesco: “Il merchandising virtuale ci permette di caricare scaffali virtuali con prodotti virtuali semplicemente premendo un bottone. Non dovendo più fare il laborioso processo di allestire fisicamente nuovi assortimenti, adesso possiamo provare INFINITAMENTE più combinazioni di assortimenti e formati. Per i nostri clienti questo significa che possiamo adattare gli assortimenti dei nostri negozi alle richieste locali ed allo stesso tempo mantenere un’ottima gestione del planogramma, necessaria per avere un’operatività efficiente.

Visto  che ultimamente ho letto da più parti che l’evoluzione verso la società digitale sta indebolendo il concetto di “marca”, mi sembra utile sottolineare come la riconoscibilità ed il significato valoriale della marca siano cruciali in una situazione di scaffale virtuale. Bisogna però essere marca, come scrivevo lo scorso 24 agosto , perchè solo a chiacchere e distintivo non si va molto lontano.

Bene: sono in giro per i fatti miei, trovo uno scaffale virtuale, ho 5 minuti per fare la spesa, guardo i prodotti che mi interessanoe confermo l’acquisto facendo l’occhiolino. Poi come faccio ad averli fisicamente?

Ho già detto che non sono così convinto sul proliferare dei droni. E’ più una cosa di pelle, ma se devo cercare di razionalizzare forse è perchè il drone funziona se il cliente è in uno spazio preciso e facilmente accessibile (poi è sicuro che da qui al 2024 i droni saranno in grado di aprire le porte “digitando” la password a distanza).

Il futuro della società invece secondo me vedrà un aumento di mobilità. Questo apre l’opportunità ad intercettare il cliente nei sui percorsi che fa per i suoi scopi personali. Tesco, ancora loro, l’hanno capito e sono stati i primi ad organizzare un e-commerce su larga scala che prevede la possibilità di ritirare l’ordine in un punto vendita a scelta. Non sono costretto a stare a casa ad aspettare la consegna, sulla strada di casa passo a raccogliere l’ordine che ho fatto virtualmente. Le ricerche prima, ed i risultati poi dimostrano che circa il 50% delle persone preferisce questa formula a quella della consegna a domicilio.

Si sfruttano di più gli spazi fisici del negozio, dove la funzione di “deposito” diventa preminente su quella di esposizione della merce e si utilizza il personale, meno impegnato nella gestione degli scaffali. Come fossero tanti Amazon aperti al pubblico.

Per tutto quello acquistabile e fruibile on-line il concetto è il medesimo: non sarà il cliente ad andare nel negozio, ma il negozio ad andare dal cliente. In questo caso senza neanche i problemi di logistica per la consegna.

L’autentica realizzazione del regno del consumatore, liberato dalla schiavitù di dover ANDARE a fare la spesa.

 

 

 

 

 

 

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 4: le politiche di prezzo.

In questi giorni mentre pensavo a questo post (Daniele mi ha messo pressione) la domanda che mi è venuta spontanea è stata: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?

Non è stato il frutto di nessun raginamento razionale, è stata semplicemente la mia reazione istintiva, di pancia se volete, a cercare di immaginare come saranno le politiche di prezzo nel 2024.

Forse nasce dal fatto che il prezzo è la funzione di marketing messa più sotto pressione dall’avvento della società digitale. Non bastavano i discount, gli outlet, i category killer, le offerte last minute e le aste on line: adesso ci si sono messi anche i siti comparatori.

Da ricerche di un anno e mezzo fa (un’eternità al giorno d’oggi) risultava che il 50% delle persone intenzionate a fare un acquisto via internet cominciava la ricerca da un sito comparatore di prezzo. Da lì poi approfondiva le caratteristiche dei prodotti che riteneve più interessanti. Un esempio che tutti conosciamo sono i siti per la ricerca di biglietti aerei, ma con la crescita del e-commerce sono sorti un po’ in tutte le categorie merceologiche.

La combinazione di crescente commoditizzazione e crescente capacità di calcolo (che permette la rapidità e semplicità di raccolta e trasmissione delle informazioni) sta facendo diventare il prezzo l’ekemento di partenza nelle scelte d’acquisto delle persone (non fatevi ingannare dalla crisi economica che ha solo accellerato un processo già in atto e riscontrabile anche i paesi con economia in crescita).

Nel marketing del 2024 sarà sostanzialmente impossibile tenere separati i mercati con prezzi diversi. Sia che si tratti di mercati diversi dal punto di vista geografico, sia che si tratti di segmenti di mercato diversi nello stesso territorio.

Dubito che la strategia di prevedere prezzi diversi per prodotti con minime differenze, talvolta solo di packaging, avrà ancora diritto di cittadinanza nel mercato del 2024.

Le aziende produttrici quindi dovranno essere estremamente disciplinate nella gestione del prezzi applicati ai loro clienti perchè eventuali discriminazioni si paleseranno rapidamente, con i conseguenti problemi di confusione di coerenza delle strategie e dell’immagine in generale e dei rapporti con i clienti in particolare.

Questo significa che prezzi all’origine diversi saranno ammessi solamente se legati a situazioni effettivamente diverse in termini di condizioni di consegna, di quantitativo acquistato, di momento dell’acquisto, ecc ….

Un concetto di uniformità che sviluppato all’estremo porta ad un risultato apparentemente opposto: ogni transazione sarà oggeto di una specifica trattativa. Forse è questa la scomparsa del prezzo come riferimento stabile che conosciamo che ho immaginato all’inizio del post?

L’unica alternativa è avere contemporaneamente una marca/prodotto così da forte/innovativa da avere pochi o nessun sostituto ed un controllo diretto dei canali distributivi.

So che citare la Apple è banale, ma non posso farci niente. Come sanno quelli che sono andati negli USA, un prodotto Apple che in Europa viene venduto a 100 euro, in USA viene venduto a 100 dollari. Di fatto la Apple ha un suo tasso di cambio interno dollaro/euro di 1 a 1, quindi in Europa vende circa il 30% più caro. Pur con tutta la forza della marca, come ci riescano per me rimane comunque un mistero e sarò curioso di vedere se e come ci riusciranno in futuro.

Magari seguendo la strategia delle griffe della moda che oramai si stanno sviluppando ad un modello di distribuzione basato esclusivamente sui negozi monomarca e/o proprio e-commerce.

L’altra tendenza futura delle politiche di prezzo sarà quella del prezzo all’uso, collegata allo spostamento dal possesso all’uso dei prodotti. Bisognerà però che i prezzi d’uso diventino più concorrenziali nella percezione dei consumatori. Per fare questo si può operare riducendo i prezzo oppure aumentando il valore percepito, magari aumentando la tangibilità dei vantaggi derivanti dall’uso in confronto con il possesso.

10 euro al mese per avere Microsoft Office sono un prezzo giusto? E 69 euro all’anno? Qual’è il valore rispetto al pacchetto gratuito Open Office?

Perchè poi alla base di ogni previsione sul futuro del prezzo non si può prescindere dalla sostanziale gratutità di internet.

Allora chiudo come ho iniziato: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?

 

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 3: le politiche di prodotto.

Continuo ad ipotizzare il futuro del marketing secondo me e mantengo l’approccio kotleriano classico delle 4 P, cominciando dal Prodotto.

La prima considerazione è che sempre di piu’ nel futuro non ci sara’ spazio per i prodotti le cui performances non mantengono la loro promessa base.

Diventa quindi cruciale identificare qual’e’ il servizio che i clienti ricercano nell’utilizzo del prodotto. Ricordo, visto che il post dove lo spiegavo è sparito dal blog, che quello che acquistano i consumatori sono i benefici, ossia i servizi, che derivano dall’utilizzo delle caratteristiche di un prodotto e non le caratteristiche in sè e per sè. In sintesi nessuno compra mai prodotti, tutti comprano sempre servizi, incorporati o meno all’interno di un prodotto fisico.

Questo concetto è fondamentale perchè è quello che permette di identificare i nuovi potenziali concorrenti che possono arrivare da settori produttivi diversi da quello in cui si opera, fornendo soluzioni agli stessi problemi del consumatore con un prodotto (tecnologia) diversa.

E’ il concetto per cui se un marito/compagno vuole fare un regalo importante alla moglie/compagna (o viceversa: bisocmarketing promuove la parità tra i generi) le crociere sono in concorrenza con i gioielli.

Il concetto è particolarmente utile guardando al futuro poichè nel lungo periodo possono sorgere più facilmente nuove tecnologie per la fornitura degli stessi servizi.

La diffusione globale del progresso tecnologico, che migliora le performances del prodotto anche nei paesi con basso costo di manodopera, renderà possibile accontentare le aspettative crescenti dei consumatori. Il risultato sarà che per un prodotto, saper svolgere adeguatamente, anche in termini di durata, la funzione per cui e’ stato pensato sara’ un must, non piu’ un vantaggio competitivo.

I PLUS competitivi secondo me saranno altri e saranno legati principalmente all’evoluzione della societa’ in senso individuale (se anche individualista, lo lascio dire a voi).

1) Personalizzazione in serie: se volete un altro modo di esprimere il concetto del prodotto su misura per ogni cliente. Pero’ con efficenza industriale per ridurre i costi rispetto al processo artigianale.

E’ la strada gia’ intrapresa dall’industria dell’automobile con il moltiplicarsi delle opzioni tra cui poter scegliere (poi pero’ i tempi di attesa sono lunghi) e che diventera’ un vantaggio competitivo in tutti i settori.

Basta pensare al potenziale delle stampanti 3D, anche in settori di largo consumo come l’alimentare.

2) Estetica: dubito che le persone siano e saranno disposte a pagare di piu’ per un prodotto dalle performances equivalenti, solo piu’ bello.

Sicuramente pero’ tra due prodotti si performances equivalenti e prezzo uguale, sceglieranno quello piu’ bello.

L’estetica, intesa anche come comunicazione visuale, sara’ poi sempre piu’ anche un sottolineatore e rafforzatore della qualita’ intrinseca del prodotto.

Il narcisismo e’ figlio dell’individualismo.

3) Semplicita’ d’uso: un po’ per naturale pigrizia, un po’ per la crescente incompetenza, la capacita’ di un prodotto di semplificarci la vita sara’ sempre piu’ apprezzata.

Che sia la macchina che si parcheggia da sola, il telefonino che si sblocca con l’impronta digitale (massimo dell’individualita’) oppure la bottiglia di vino con il tappo a vite, l’estensione dei servizi offerti dal prodotto ne aumenta il valore.

Nota bene che la crescente incompentenza non e’ un giudizio di merito, e’ un dato di fatto generato dal continuo e rapido progresso tecnologico (che tra l’altro riduce/impedisce il trasferimento di competenze tra le generazioni).

4) Assistenza: è la medesima logica del punto precedento.

Quanto piu’ la vita si fa individuale e tanto piu’ si apprezzera’/pretendera’ l’aiuto da parte delle marche a cui abbiamo dato la nostra preferenza ed i nostri soldi.

5) Utilizzo vs. possesso: lo so che il concetto non è nuovo, ma fino ad oggi si è trattato soprattutto di episodi amplificati dai media.

Nel futuro, man mano che la proprietà degli oggetti diventerà più “faticosa” ed inefficente in termini finanziari, logistici, ecc…, la capacità di offrire un utilizzo pratico (ossia flessibile nel tempo e nello spazio) costituirà un vantaggio competitivo.

6) Parsimonia: in realtà non so se questa tendenza durerà fino al 2024 o si esaurirà prima. Quello che è certo è che c’è ancora troppo spreco in molti prodotti per caratteristiche che non aggiungono valore rispetto ai servizi ricercati, o utilizzati, dai consumatori.

La competizione che spinge a contenere i costi e l’attenzione alla eco-compatibilità da parte delle persone, premierà le aziende che sapranno operare con parsimonia.

 

La logica di fondo è sempre quella: pensare a come migliorare la vita delle persone.

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) – 2

Rinvigorito dalla pausa estiva, riprendendo il filo dell’argomento del marketing del futuro che avevo iniziato lo scorso giugno.

Concludevo la critica alla visione degli esperti interpellati dalla American Marketing Association nel post 1 giugno dicendo che il marketing del futuro dovrà essere basato più sull’ESSERE che sull’apparire ed il tema centrale di quello dell’8 era l’ipotesi dell’evoluzione che avrà la società digitale. Attenzione che l’avvento della “società digitale” riguarda tutta la società e non solamente quelle parti o quegli aspetti direttamente legati alle tecnologie digitali. E’ la stessa logica per cui in seguito alla rivoluzione industriale la società agricola è evoluta nella società industriale in cui anche l’agricoltura (ad esempio) ha caratteristiche diverse.

Ora, credo ci siano pochi dubbi sul fatto che da qui a dieci anni le persone avranno un maggior potere nel definire le proprie scelte di acquisto. Anche se la disponibilità di informazioni non dovesse aumentare, e possiamo star certi che aumenterà, il livello attuale ha già fatto le sue vittime tra le marche che non offrivano un reale valore aggiunto.

Basta pensare solamente al dato che il 50% delle persone che fanno un acquisto on line cominciano la ricerca da un sito comparatore di prezzi per capire come la rivoluzione digitale ha spostato il potere sul contesto competitivo dalle aziende ai consumatori.

Detto in sintesi, da qui a 10 anni saranno sempre di più le persone a sciegliere le marche/prodotti che non le marche/prodotti a proporsi.

In questo contesto secondo me la risposta efficace NON può essere il tentativo di recuperare/mantenere il potere di infleunzare le scelte attraverso il perfezionamento della targetizzazione e personalizzazione grazie all’uso sempre più raffinato del “big data“. Le persone si aspettano, consciamente o inconsciamente, più libertà dalle aziende non meno. Per usare una terminologia forse desueta, le persone vogliono essere soggetto e non oggetto del marketing aziendale. Per l’azienda pianificare di far arrivare la propria proposta alle persone precisamente nel momento e nel luogo in cui stanno “pensando” ad acquistare/consumare quel tipo di prodotto è in realtà un’approccio di commoditizzazione, che prospetta di per sè delle scelte basate solamente sulla contingenza del momento.

Viceversa l’azienda/marca/prodotto dovrà concentrarsi sugli aspetti che rimangono intrinsecamente sotto il suo controllo.

Uno dei principali, se non il principale, è la propria IDENTITA’.

Che è una cosa diversa dal posizionamento perchè ne è il prodromo (per chi non l’avesso fatto, consiglio di leggere questo mio vecchio post “Cos’è (e a cosa serve) il posizionamento”).

Interrogarsi su chi si è come organizzazione/azienda/marca/prodotto porta a definire perchè si è, quindi quali sono (devono essere) i nostri comportamenti.

Un’identità chiara è la base per costruire un posizionamento forte e differenziante. Un posizionamento forte e differenziante aumenterà le probabilità di farci trovare dalle persone e/o di stimolare il loro interesse anche quando non stanno cercando una specifica soluzione di consumo.

Dite che nel crescente marasma dell’informazione/comunicazione sarà sempre più difficile farsi notare/trovare? A parte che dall’identità derivano i tempi, modi e contenuti della comunicazione dell’organizzazione/marca/prodotto, io vedo che in un modo o nell’altro (sono convinto che c’è una spiegazione scientifica) le cose per me interessanti si mettono in evidenza nel mare magnum delle timelines, articoli, ecc… Ecco, se un’organizzazione/marca/prodotto ha dei reali contenuti sono convinto che si realizzi un meccanismo simile.

Se invece la vostra marca è solo chiacchere e distintivo, preparatevi a lavorare sull’efficenza produttiva perchè sarete misurati solo sul prezzo.

Ready for the GET-UP-AND-GO generation? Il marketing totale di easyJet.

Oggi ultimo post prima della pausa estiva. Lo so che sembra un po’ presto, ma ho l’impressione che parecchia gente sia già in vacanza o sia sul punto di partire.

Quindi un post in qualche modo legato ai viaggi.

Credo non ci siano dubbi che i voli low cost sono una delle cose che ha plasmato (sta plasmando) la società nel terzo millennio ed è evidente fin dal nome della categoria di prodotto che il principale criterio di scelta di una compagnia piuttosto di un’altra da parte del consumatore è il costo del biglietto.

Però è altrettanto evidente che con il proliferare delle compagnie low cost che servono le medesime tratte si viene a creare una competizione dove il prezzo riduce di molto, o perde del tutto, la sua forza di vantaggio competitivo differenziante. Dato il basso costo del biglietto come MUST, serve quindi una proposta di marca più articolata come PLUS.

Visto nell’arco di poco di un anno mi sono trovato due volte a fotografare pagine della loro rivista di bordo, direi che easyJet lo sta facendo ed anche piuttosto bene.

Questa è la copertina del numero di giungo di “Traveller” fotografata da me in volo, qui se volete trovate l’edizione on-line sfogliabile.
Traveller June 2014
Permettetemi di sottolineare alcune cose:
- La qualità della grafica non dice “rivista di bordo”, dice “rivista pubblicata da easyJet”. Intendo dire che l’impressione è di una rivista che ha una scopo “per sè”, indipendentemente dal fatto di essere distribuita su un aereo. Non siamo tutti nel business dei contenuti (ossia dell’editoria)? . In sintesi quando prendete in mano la vostra copia di “Traveller” il messaggio che ne ricevete è di un livello superiore rispetto alle altre compagnie aeree (non solo low cost, direi).
- La rivista (e quindi per estensione la compagnia aerea) ha un posizionamento riportato chiaro e forte sopra la testata: “A MAGAZINE FOR THE GET-UP-AND-GO GENERATION”. Le due passeggere anglo-mitteleuropee che avevo di fianco hanno sorriso sarcastiche nel leggerlo, forse perchè è una dichiarazione troppo esplicita, troppo autocelebrativa, perchè alle persone non piace la sensazione di essere oggetto di marketing (la miglior traduzione che mi è venuta dell’espressione inglese “to be marketd to” o semplicemente perchè non appartengono alla get-up-and-go generation.
Però , indipendentemente dall’esplicitarlo o meno, la definizione del posizionamento è la precondizione per dare una linea editoriale chiara e coerente alla rivista in termini di contenuti e di art direction. In sintesi è la guida che permette di dare personalità propria alla rivista. Personalità che dà significato e valore alla dichiarazione, più che un invito, “free to take home”. Nuovamente valore superiore.

Per avere successo però le promesse (di copertina) vanno almeno mantenute. Sfogliando Traveller, secondo i migliori principi del buon marketing, le aspettative del consumatore vengono superate.

Questo è l’indice:
Traveller indice.

Ora mi domando: quanti editori che piangono sulla perdita di lettori sono stati capaci di rinnovare il modo di presentare il contenuto delle loro riviste interpretando i nuovi/attuali meccanismi di fruizione delle informazioni?

La faccio breve: “Traveller” è un prodotto editoriale di avanguardia e di elevata qualità in termini di grafica e di contenuti.

Che sia un caso o il risultato di una precisa scelta strategica, easyJet ha colto l’importanza della rivista di bordo come elemento della complessiva esperienza di volo del cliente e ne sta sfruttando al massimo il potenziale per il proprio posizionamento competitivo.

Scoperta dell’acqua calda direte voi, considerando che è evidente che (quasi) tutti i passeggeri durante il volo sfogliano la rivista di bordo.

Vero, rispondo io. Però è anche vero che le riviste di bordo delle compagnie aeree sono tutte uguali come impostazione grafica e contenuti, indistinguibili se non dal logo di copertina. E tutte con articoli tendenzialmente banali. E tutte che dedicano troppo spazio alla compagnia aerea che le pubblica, per essere davvero un valore aggiunto (lo so che è un concetto contro-intuitivo, ma lo lascio così).

Dal positioning deriva il targeting. Ecco a pagina 11 la rubrica dell’Amministratore Delegato di easyJet Carolyn McCall (mentre l’editoriale del direttore di Traveller è in apertura di giornale a pagina 3, coerentemente l’autonomia della rivista)
Carolyn MacCall.

Il target dichiarato è …. tutti, grazie ad una promessa inclusiva: rendere viaggiare più facile. Mi ricorda l’intervento di Farinetti al nostro convegno sul quadrato semiotico dei wine lovers al Vinitaly 2014 .
Nel concreto lo scorso giugno questa promessa si realizzava con il lancio delle applicazioni che permettono ai passeggeri easyJet di ricevere le informazioni rilevanti relative al loro viaggio (nuovamente la visione complessiva dell’esperienza del prodotto, ossia il volo) e del programma “Family Promise” con servizi dedicati a facilitare chi viaggia con bambini. Questo mi ha colpito particolarmente perchè noto come i bambini vengano di fatto considerati un disturbo in un numero sempre più ampio di situazioni. Si è perso, o fortemente affievolito, il (ovvio?) sentimento di attenzione che portava comunque a naturalmente a trattare benevolmente i bambini e non si sono diffuse procedure/strutture che tengano conto delle loro esigenze.
Il risultato è che, anche con l’attuale invecchiamento della popolazione, l’offerta di servizi specifici per i bambini ed i loro genitori diventa un vantaggio competitivo fortissimo.

Prima di concludere il mio escursus sul numero di giugno 2014 di “Traveller” con la foto di questa pubblicità di servizi finanziari preentati quasi come un’agenzia di incontri. Non so se significa qualcosa, ma mi è sembrato curioso.
Puck3r up

Per finire, se proprio non sapete cosa leggere nel prossimo mese, questi sono gli ultimi libri che ho letto/sto leggendo:
- Acemoglu e Robinson: Perchè le nazioni falliscono, il Saggiatore.
- Alberta Basaglia: Le nuvole di Picasso, Feltrinelli.
- I.J. Singer: Yoshe Kalb, Adelphi.
- Paul Dirac: La bellezza come metodo, Indiana.

Passate una buona estate.

Per soddisfare la domanda mancano almeno altri 100.000 hl di Prosecco DOC vendemmia 2013!

Sembra un destino che io mi ritrovi a scrivere di Prosecco ogni volta che smetto di lavorare per una cantina.
E’successo nel 2011 quando ho lasciato Santa Margherita e mi sono occupato (principalmente) del Prosecco Superiore DOCG Conegliano-Valdobbiane con questo post.

Succede oggi che sto per lasciare Bosco Viticultori e trattero (principalmente) del Prosecco DOC.
Quindi questo sarà un post totalmente enologico, ma con concetti che riguardano la gestione delle Denominazioni d’Origine in generale, sia quelle degli altri vini che quelle di altre categorie di prodotto.

Sarà anche un post veramente lungo (… e se lo dico io), però anche veramente interessante (fidatevi).

Per permettere a tutti i lettori di capire e seguire l’analisi e le considerazioni che seguono è necessario una minima descrizione dell’antefatto, se però sieta già dentro alle dinamiche del comparto potete passare direttamente al fatto. Buona lettura.

Nel 2010 viene istituita la DOC del Prosecco che copre le province di Treviso, Venezia, Vicenza, Padova e Belluno in Veneto e quelle di Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste in Friuli Venezia Giulia. in questo modo la parola “Prosecco” non identifica più un’uva ma un territorio originato dal paese di Prosecco in provincia di Trieste. A chi non si occupa di vino o di prodotti DOC può sembrare una piccola cosa, che tra l’altro crea confusione, ma è un passaggio fondamentale che impedisce a chiunque produca vino utilizzando uve “glera” (nuovo nome dato alle uve utilizzate per produrre Prosecco DOC) ovunque nel mondo di chiamare il suo vino “Prosecco”. Detto in altri termini, protegge il consumatore che quando compra “Prosecco” si aspetta un vino con determinate caratteristiche di trovare proprio quelle caratteristiche e non altre.

Nel 2011, a fronte del forte incremento di nuovi impianti di vigenti di glera nell’area della DOC, le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, su richiesta del Consorzio di Tutela, decretano il blocco di ulteriori nuovi vigneti, fissando il limite di 20.000 ettari complessivi piantati a glera (16.500 Ha in Veneto e 3.500 Ha in Friuli Venezia Giulia).
Sottolineo, per l’importanza che avrà nell’analisi successiva, che questa misura rende fissa l’offerta di Prosecco DOC non solo per ogni anno di vendemmia, ma anche per gli anni futuri. Di conseguenza il prezzo di mercato sarà determinato unicamente dalla domanda.

A fine agosto 2012, sempre giustamente su richiesta del Consorzio di Tutela, la Regione Veneto di concerto con la Regione Friuli Venezia Giulia, dispone lo stoccaggio del 10% del Prosecco dell’imminente vendemmia 2012, in modo da “tener sotto controllo la gestione dei volumi di prodotto messi in commercio, mantenendo un livello dei prezzi accettabile e stabilizzando così il funzionamento del mercato dei vini rispetto ad un prodotto che ha dimostrato di essere abbondantemente apprezzato in Italia e all’estero.” (il virgolettato riporta la dichiarazione dell’assessore veneto all’agricoltura Franco Manzato indicata nel comunicato stampa n.1461 emesso dalla Regione Veneto il 27-08-2012). Non entrerò nell’interessante tema dell’impostazione sostanzialmente da commodity ottocentesca per la gestione di mercato (marketing non è proprio un sinonimo) di un grande marchio collettivo di diffusione mondiale, perchè sarebbe una parentesi troppo lunga e complessa (però mi piacerebbe molto).

A febbraio 2013 l’andamento positivo delle vendite di Prosecco DOC portano allo sblocco del 10% di Prosecco DOC precedentemente stoccato. Un precedente interessante nell’ottica dell’analisi che seguirà.

A fine agosto 2013, sempre giustamente su richiesta del Consorzio di Tutela, la Regione Veneto di concerto con la Regione Friuli Venezia Giulia, dispone lo stoccaggio del 20% del Prosecco dell’imminente vendemmia 2013, con l’esclusione dei vigneti a conduzione biolgica.

A gennaio 2014 la Regione Veneto comunica i dati consuntivi della vendemmia 2013 che indicano per il Prosecco DOC una produzione di 2.591.831,68 q.li, pari ad un incremento del 14,43% rispetto alla vendemmia 2012. Al netto del prodotto stoccato la disponibilità di Prosecco DOC della vendemmia 2013 è quindi sostanzialmente la stessa di quella dell’anno precedente (lo so che è spannometrico, ma non preoccupatevi poi arrivano i numeri precisi).

Ad aprile 2014 Valoritalia, l’ente incaricato di certificare la produzione e gli imbottigliamenti di numerosi vini DOC, tra cui il Prosecco, pubblica sul suo sito che gli imbottigliamenti del primo trimestre del 2014 sono del 22% superiori a quelli dello stesso periodo del 2013. Anche qui a spanne si può intuire che, se questa tendenza si dovesse mantenere anche nei mesi successivi, per soddisfare la domanda bisognerà sbloccare TUTTO il Prosecco stoccato (come si è già verificato nel 2013).

Il 7-05-2014 diverse testate pubblicano la notizia che durante la prossima assemblea generale dei soci del Consorzio del Prosecco DOC, il Consiglio di Amministrazione proporrà di estendere il blocco degli impianti di nuovi vigneti fino almeno al 2017 e di stoccare il 20% della produzione della vendemmia 2014 (ricordo che il 20% è la quantità massima stoccabile secondo l’attuale legislazione). Negli articoli si aggiungeva che non sivedeva necessità di calmierare il mercato sbloccando parte del Prosecco 2013 stoccato e che l’attuale aumento del 30% delle richieste di certificazione dimostrava la bontà della strategia adottata dal consorzio per stabilizzare i prezzi.

Il 9-05-14 durante l’assemblea generale dei soci del consorzio del Prosecco DOC vengono presentati i dati a sostegno della richiesta di mantenimento del blocco di tutti i 341.000 hl di prodotto stoccato. Sostanzialmente si considera che il Prosecco della vendemmia 2014 potrà essere già disponibile per l’imbottigliamento a partire dal 1 ottobre 2014 (mentre nel 2013 gli imbottigliamenti della nuova annata sono iniziati a novembre) quindi, prevedendo i volumi necessari da aprile a settembre 2014 sulla base della media dei 12 mesi da aprile 2013 a a marzo 2014 (quindi facendo previsioni basate sui dati consolidati del passato e non sulla tendenza in atto), l’attuale disponibilità di 1.800.000 hl totali di Prosecco DOC vendemmia 2013 viene ritenuta sufficiente.

Nel settore cominciano a manifestarsi situazioni paradossali di aziende vitivinicole, che svolgono l’intero ciclo produzione del vino sfuso-spumantizzazione-imbottigliamento, pur disponendo di prodotto stoccato non possono utlizzarlo e sono costrette a comprarlo sul mercato, con difficoltà a reperirlo (senza contare dell’aggravio dei costi per lo stoccaggio, l’acquisto del prodotto da terzi e l’impossibilità di garantire la medesima qualità rispetto al vino prodotto dai propri vigneti). Direi un chiaro segnale di carenza di Prosecco DOC rispetto alla domanda.

Dal 20-05 al 10-06, per quattro sedute consecutive, la borsa merci di Treviso non ha quotato il prezzo del Prosecco DOC. Segno inequivocabile della carenza di Prosecco DOC e del blocco del mercato causato dalle decisioni del Consorzio.

Il 12-06-2014 il Consorzio di Tutela pressato ha richiesto alle regioni competenti lo sblocco di oltre 100.000 hl di Prosecco DOC precedentemente stoccati. Dal comunicato stampa emesso in seguito: “Parte oggi dal Consorzio di tutela Prosecco doc la richiesta ufficiale di destoccaggio diretta alle Regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia sulla scorta della decisione assunta lo scorso giovedì 12 giugno dal proprio Consiglio di Amministrazione che ha deliberato lo svincolo di oltre 100.000 ettolitri di vino atto a divenire Prosecco DOC. La quota così liberata, pari al 5,1 % della produzione totale, in parte prudenzialmente stoccata con la vendemmia 2013, va a soddisfare la crescente domanda di prodotto e consentirà ai produttori di immetterla nel mercato come Prosecco doc con miglior remunerazione”.
Il presidente Stefano Zanette commenta così: “Si tratta di un’ulteriore conferma del trend positivo di vendita del Prosecco doc che spicca in un contesto di contrazione generalizzata dei consumi. Alla vigilia della vendemmia 2013 il pronostico più ottimistico auspicava l’assorbimento, da parte del mercato, dell’intera nuova produzione, tenendo conto che si prevedeva aumentasse nella misura di almeno il 10% rispetto all’annata precedente. Oggi possiamo dire che non solo l’obiettivo è stato raggiunto ma addirittura superato. Quindi circa un terzo (29,3%) del prodotto stoccato nella logica di gestire il delicato equilibrio tra domanda e offerta che determina il valore dei beni, viene svincolato a significare che le politiche di governance attuate dal Consorzio vanno nella giusta direzione”.

. Ora vorrei sottolineare come sia lo stesso Direttore del Consorzio ad indicare come la domanda di Prosecco DOC stia aumentando oltre il 10%, intuitivamente quindi sorgono già dei dubbi su come possa essere soddisfatta liberando solo il 5% (a meno che non entrino in gioco le scorte, ma, come già detto, tra un po’ metto in fila tutti i numeri).

Il 19-06-14 durante un convegno dedicato al comparto del Prosecco (DOC e DOCG) nell’am ito della manifestazione “Enovitis” a Ca’ Tron” viene presentato il dato tendenziale di +27% degli imbottigliamenti di Prosecco DOC nel 2014 rispetto al 2013.

FINE DELL’ANTEFATTO ED INIZIO DEL FATTO
Il fatto, dimostrato dai numeri, è molto semplice: sul mercato c’è carenza di Prosecco DOC rispetto alla domanda, quindi mantenre lo stoccaggio (di parte) del Prosecco DOC della vendemmia 2013 è una misura, inutilmente costosa, distorsiva del mercato e strategicamente rischiosa per l’affermazione e lo sviluppo del prodotto sui mercati.

Ecco il calcolo della disponibilità e dei fabbisogni di Prosecco DOC a partire da novembre 2013 (inizio degli imbottigliamenti con la nuova annata) fatto sulla base dei numeri forniti dal Consorzio di Tutela:

DISPONIBILITA’ PROSECCO DOC A NOVEMBRE 2013 (dati in hl)
giacenza Prosecco DOC vendemmia 2012 al 31-10-2013 (dati Consorzio) 85.000
produzione vino atto a prosecco DOC vendemmia 2013 (dati Consorzio) 2.141.000
vino stoccato decreto Regione Veneto n.35 del 22-08-2013 (dati Consorzio) -341.000
vino liberato con decisione Consorzio del 12-06-14 100.000
disponibilità vino atto a prosecco DOC vendemmia 2013 1.900.000
TOTALE DISPONIBILITA’ PROSECCO DOC A NOVEMBRE 2013 1.985.000

PREVISIONE FABBISOGNI PROSECCO DOC IMBOTTIGLIAMENTI NOVEMBRE 2013 – SETTEMBRE 2014 (dati in hl)
imbottigliamenti novembre 2013 -marzo 2014 (dati Consorzio) 801.000
tendenza imbottigliamenti 2014 su 2013 (convegno Enovitis 19/06/14) 27%
imbottigliamenti aprile-settembre 2013 (dato Valoritalia) 933.560
stima imbottigliamenti aprile-settembre 2014 1.185.621
TOTALE PREVISIONE FABBISOGNI FINO A SETTEMBRE 2014 1.986.621

DIFFERENZA DISPONIBILITA’ – FABBISOGNI FINO A SETTEMBRE 2014 (dati in hl) -1.621

I conteggi non sono niente di sofisticato (aritmetica elementare: “+”,”-”, “/”, “x” e “%”). L’unica differenza rispetto all’analisi fatta dal Consorzio è che i fabbisogni aprile-settembre 2014 sono stati calcolati secondo un approccio da “aspettative razionali”, incrementando il dato dello stesso periodo del 2013 in base alla tendenza attuale e non applicando in modo lineare la media del passato.

A prima vista il risultato dell’analisi può dare l’impressione che il comparto sia in sostanziale equilibrio, come l’ha data a me la settimana scorsa. Ma effettivamente una disponibilità di 1.621 hl inferiore alla domanda (sempre che questa non accelleri ulteriormente durante l’estate) in un comparto come quello del Prosecco DOC significa una grandissima tensione sul mercato. Nessuno penserebbe di portare la propria cantina a scorta zero; immaginare di portarci l’intero comparto è … impensabile.

Innazitutto bisogna considerare che non stiamo parlando di mercato di prodotti finanziari ma di un prodotto fisico, quindi per incontrare domanda ed offerta bisogna che effettivamente tutto il vino disponibile nelle oltre 1.000 cantine vinificatrici si sposti nelle oltre 300 cantine di frizzantatura/spumantizzazione.

Questo non succederà perchè i 100.000 hl liberati sono frammentati nella varie cantine vinificatrici nell’ordine del 5,1% della loro produzione 2013. Considerato che un’autocisterna trasporta 300 hl, non sarà nè tecnicamente possibile nè economicamente conveniente ritirare i 10, 15, 20 hl che si sono liberati. Inoltre le cantine che realizzano entrambe le fasi potranno decidere di non vendere il vino sfuso eccedente ai loro immediati fabbisogni per evitare il rischio di non poter fronteggiare un aumento della domanda da parte dei loro specifici clienti oppure per sfruttare il vantaggio competitivo, artificiosamente creato, di poter disporre del prodotto.

Ma anche se succedesse, chi vorrà essere la cantina che dovrà dire ai propri clienti che gli mancano 1.621 hl (ossia 216.000 bottiglie). Nessuno. Ecco quindi che il prezzo del Prosecco DOC sfuso crescerà man mano che ci si avvicinerà al 30 settembre, o all’esaurimento della disponibilità di prodotto (si tratta di una modifica dell’utilità marginale del prodotto per il produttore, ma non voglio diventare troppo teorico).

Se lo scenario descritto fin qui vi sembra abbastanza fosco, io vedo un rischio ancora maggiore: è tecnicamente impossibile imbottigliare Prosecco DOC spumante annata 2014 a partire dal 1 ottobre 2014!

La vendemmia del prosecco è prevista per fine agosto, per produrre un prosecco spumante sono necessarie almeno 4 settimane a cui ne va aggiunta un’altra per le procedure di certificazione. Di conseguenza, anche facendo partire la spumantizzazione da mosto (su questo punto torno tra un attimo) non si potrà avere il prodotto pronto per l’imbottigliamento prima del 6 di ottobre. Tenuto conto che una cantina organizzata efficentemente programma gli imbottigliamenti con un certo anticipo, quindi dei vini che è sicura di poter imbottigliare, quest’anno le cantine di spumantizzazione dovranno decidere se trovarsi senza Prosecco per due settimane oppure programmare l’imbottigliamento “alla cieca” con l’eventualità di trovarsi senza vino da imbottigliare se la fermentazione o la certificazione richiedono qualche giorno in più del previsto.

“… anche facendo partire la spumantizzazione da mosto”: frizzantare o spumantizzare Prosecco DOC da mosto anzichè da vino è previsto dal disciplinare di produzione, ma è l’eccezione piuttosto che la norma tra le cantine produttrici. Di conseguenza le politiche di stoccaggio adottato dal Consorzio stanno forzando le cantine ad adottare una pratica non tradizionale, su cui possono avere esperienza e competenza limitate. Meno male che in Italia vige l’economia di mercato basata sulla libera concorrenza, perchè nei fatti a me questa situazione ricorda tanto il dirigismo dei piani quinquiennali sovietici. E non voglio nemmeno considerare la teorica forzatura ad accorciare i tempi di spumantizzazione, con relativo impatto sulla qualità del prodotto finito, perchè mi fido della serietà delle cantine produttrici.

Aggiungo che tutti questi ragionamenti, i miei come quelli del Consorzio, sono fatti partendo dal presupposto di anticipare il cambio annata di un mese rispetto a quanto avvenuto nel 2013. Questo anticipo non è giustificato da un anticipo della venedemmia, che sarà realizzata sostanzialmente nello stesso periodo dell’anno scorso, e crea una carenza di Prosecco DOC nel periodo più critico dell’anno. Nel 2013 settembre ed ottobre sono stati i mesi con i maggiori volumi di imbottigliamento dopo luglio, quando le cantine imbottigliano le scorte per le spedizioni del mese di agosto, con circa oltre 180.000 hl al mese. Oltre al rientro dalle vacanze, per il mese di settembre, questo è dovuto al fatto che sono i mesi in cui si realizzano le spedizioni sui mercati esteri per le vendite di fine anno (ricordo che il Giorno del Ringraziamento quest’anno cade il 13 ottobre in Canada ed il 27 novembre negli U.S.A.).

Canada, USA, Cina o Regno Unito non sono mercati dove si possa operare con la stessa flessibilità logistica dell’Italia.

Invito a riflettere sulle conseguenze nell’affermazione del Prosecco l’effetto che può avere costringere una catena di supermercati americana a cancellare la promozione del Prosecco prevista per il Giorno del Ringraziamento (non voglio nemmeno considerare la pazzia di pianificare la promozione e poi non avere il prodotto sugli scaffali) o un importatore cinese a non avere il prodotto disponibile per fine anno.

Segnalo che stimando un volume di imbottigliamento di Prosecco DOC in ottobre 2013 di 185.000 hl e applicando l’attuale trend di +27% si può prevedere un volume di imbottigliamento per ottobre 2014 di circa 235.000 hl, pari al 97,5% dell’attuale stock di Prosecco DOC annata 2013. La mia stima dell’imbottigliamento complessivo di Prosecco DOC da novembre 2013 ad ottobre 2014, periodo fisilogicamente corretto di imbottigliemento dell’annata, sarebbe quindi di 2.200.000 hl.

Dalle voci di mercato pare la decisione di anticipare il cambio annata risponda all’obiettivo di “consumare” una quota maggiore di Prosecco vendemmia 2014 nell’anno in corso, in modo da equilibrare la maggior produzione prevista quest’anno. Anno in cui anche i vigneti piantati per ultimi raggiungeranno il massimo produttivo consentito dal disciplinare.

Vediamo quindi quant’è la produzione MASSIMA 2014 prevista dal Consorzio, utilizzando sempre i dati presentati durante l’assemblea generale dei soci dello scorso 9 maggio:

Totale Prosecco DOC: ettari: 20.000 ettolitri: 2.720.000

Veneto+ superi DOCG: ettari: 16.500 ettolitri: 2.088.000 produzione media per ettaro: 126,5 hl

Friuli Venezia Giulia: ettari: 3.500 ettolitri: 466.000 produzione media per ettaro: 133,1 hl

Complementari: ettari: 1.400 ettolitri: 166.000

Ora, tralasciando il fatto che non mi spiego la differenza di produzione media/ettaro tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, applicando alla produzione MASSIMA prevista per il 2014 lo stoccaggio del 20% già deciso si ottiene una disponibilità di Prosecco DOC pari a 2.176.000 hl.

Si tratta di una quantità inferiore alla mia previsione di 2.200.000 hl imbottigliati tra novembre 2013 ed ottobre 2014 spiegata in precedenza. Ecco quindi che un semplice MANTENIMENTO degli attuali volumi di vendita sarebbe sufficiente ad assorbire tutta la produzione 2014, al netto dello stoccaggio.

Ricordo che la produzione massima rimane per definizione un valore teorico che non può mai essere effettivamente raggiunto, quantomeno per le fallanze di piante in vigneto e per la superfice coltivata a biologico che non raggiunge i livelli produttivi massimi previsti dal disciplinare.

Se poi qualcuno mi spiega i motivi della differenza di resa per ettaro tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, mi toglie un tarlo che da qualche parte in tutta la mia analisi ci sia una falla che non riesco a vedere.

Basta? No non basta, perchè quando si adottano misure così drastiche e distorsive della concorrenza come lo stoccaggio del prodotto bisogna misurarne anche i costi e gli svantaggi.

Il declassamento a vino bianco da tavola dei 214.000 hl di Prosecco DOC 2013 ancora stoccati implica un costo per il comparto di oltre 19.000.000 di euro. Ecco il conteggio:

Prezzo medio 2014 euro/litro Prosecco DOC Borsa Merci Treviso: 1,15
Stima prezzo euro/litro vino bianco da tavola: 0,35
Perdita euro/litro vendita vino atto Prosecco DOC come bianco tavola: -0,80
Hl vino atto Prosecco DOC 2013 stoccati: 241.000
Perdita complessiva vendita vino atto Prosecco DOC 2013 come bianco tavola (euro):-19.280.000

Con i dati a disposizione si può anche calcolare qual’è il prezzo medio a cui si sarebbe dovuta vendere tutta la produzione della vendemmia 2013 per ottenere lo stesso incasso totale per il comparto. Per brevità vi risparmio il conteggio: il prezzo medio è di 1,06 euro/litro, ossia il 7,8% in meno rispetto al prezzo che siè verificato durante il 2014 (ho anche calcolato il valore di elasticità del prezzo all’offerta che porta al verifivarsi di questo prezzo, ma questo lo spiego solo se me lo chiedete).

Oltre alla perdita netta, il declassamento a vino bianco da tavola di 241.000 hl di vino atto a Prosecco DOC ha un’altra importante implicazione strategica: crea la base produttiva per 32.133.333 bottiglie di vino spumante/frizzante con un costo di produzione inferiore di circa il 35% rispetto al Prosecco DOC, ma con le stesse caratteristiche organolettiche.

Si tratta di un volume pari al 12,6% del Prosecco DOC 2013 totale che qualche turbativa di prezzo in qualche mercato la creeranno sicuramente.

QUINDI, CHE FARE?
Non sarebbe serio avervi tenuto tutto questo tempo a seguire un’analisi critica delle strategie di governo del comparto del Prosecco DOC senza proporre SINTETICAMENTE delle soluzioni.

Secondo me bisogna:

1) liberare subito almeno altri 100.000 hl di vino atto a Prosecco DOC per calmierare effettivamente il mercato (io personalmente libererei tutto per dimostrare la forza del comparto). Fino ad oggi il Consorzio si è preoccupato che il prezzo del vino sfuso non scendesse troppo, ma adesso c’è il rischio che salga rapidamente. Consideriamo anche il ritardo di 3/4 settimane con cui il mercato recepisce le variazioni di disponibilità del prodotto e rischiamo di trovarci a ridosso della vendemmia con prezzi elevati. Ricordo che nel 2011 prezzi intorno ad 1,40 – 1,50 eruo/litro hanno portato il prezzo a scaffale del Prosecco DOC frizzante nei discount tedeschi oltre il prezzo psicologico di 1,99 euro/bottiglia, causando un crollo delle rotazioni perchè i consumatori, oltre un certo differenziale di prezzo, hanno sostituito il Prosecco DOC con vini frizzanti generici/IGT.

2) realizzare delle ricerche che determinino il comportamento e gli atteggaimenti dei consumatori nei confronti del Prosecco DOC nei principali mercati di sbocco. Nell’ottobre 2011 ho pubblicato un post con il link alla ricerca svolta da Bosco Viticultori sull’atteggiamento del consumatore USA nei confronti del Prosecco DOC. Ad oggi è l’unica ricerca quantitativa sul consumatore riguardante il Prosecco DOC che abbia mai visto (il che non è positivo). Tra le indicazioni più significative risultava che oltre il 50% dei consumatori che conosceva il Prosecco anche solo per nome lo consumava. E’ una % elevatissima rispetto ad altri vini che conferma il grande appeal del prodotto. Risultava anche che solo il 50% dei cosnumatori di vino americani conosceva, anche solo per nome, il Prosecco, prefigurando un grande potenziale per le attività di comunicazione.

3) sulla base delle ricerche del precedente punto 2, concentrare le risorse consortili in un piano di comunicazione al consumatore in uno o pochi mercati obiettivo alla volta, per creare le basi che permettano di collocare l’intera produzione degli anni a venire e ne rafforzino il posizionamento d’immagine, sia per slegarne la percezione dall’eventuale basso prezzo di vendita che per ridurne la sostituibilità con prodotti concorrenti. Grazie ai fondi europei 700.000 euro negli USA diventano 1.400.000 ed è già una cifra che permette di fare un sacco di cose.

4) prevedere di valutare lo sblocco di una parte, anche solo il 2-3%, del prodotto stoccato nel primo trimestre del 2015 in modo da poter valutare le valutazioni sulla reazione del mercato ed intervenire in modo più graduale.

Questo in due parole il cosa, per il come io non ho più forse e, credo, neanche voi. Però dal 1 di settembre io sono disponibile come consulente.

Grazie, davvero, dell’attenzione.

Peculiarità del marketing dei prodotti con denominazione d’origine.

Questo fine settimana ho passato un po’ di tempo ad analizzare i dati pubblici relativi al Prosecco DOC perchè nella realtà del mercato non mi pare di vedere quell’equilibrio di mercato, riscontrato invece da tutte le istituzioni coinvolte nella gestione del comparto dopo la richiesta di sblocco di 100.000 hl di vino che erano stati stoccati al momento della vendemmia 2013. Ricordo che la borsa merci di Treviso non ha quotato il prezzo del Prosecco DOC nelle 4 sedute dal 20/05 al 10/06 2014.

Ammetto che la mia analisi mi porta a risultati simili (mancherebbero per arrivare ad ottobre circa 1.600 hl di vino, una bazzecola pari allo 0,08% della produzione totale), però durante i miei anni da ricercatore ho sempre seguito il principio che se c’è una discrepanza tra la realtà e la teoria (analitica), è quest’ultima che probabilmente sarà sbagliata o parziale.

Voglio quindi prendermi dell’altro tempo per verificare se non c’è qualche buco nei miei ragionamenti e/o nei dati.

Lo voglio fare anche perchè non credo che l’appriccio migliore per tutelare ed incrementare il valore generato da quello che è un marchio di rilevanza mondiale sia trattarlo come una commodity ottocentesca focalizzandosi sul sostegno dei prezzi del vino sfuso attraverso la riduzione dell’offerta (misura che determina sempre una perdita oggettiva del valore complessivo).

Per questo facendo queste considerazioni ho sentito il bisogno di tornare alle basi e sono andato a rileggermi un articolo che pubblicai sulla rivista Medit nel lontanissimo 1996. Qui trovate il link a “Peculiarità del marketing dei prodotti con denominazione d’origine”. Lo so che è lungo, ma vi consiglio veramente di leggerlo perchè dimostra come il massimo delle capacità si raggiunga intorno ai trent’anni (nel 1996 io ne compivo 33). Tutto quello che ho fatto e scritto fino ad oggi non è che la brutta copia di quanto sono stato capace di sviluppare allora.

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) – 1.

QuintanaTrieste, domenica 1 giugno 2014: 5 minuti dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia vinto da Nairo Quintana la giornata di sole scintillante si trasforma in un temporale tropicale.

Fuggi-fuggi generale degli spettatori verso il riparo più vicino (Teatro Verdi, Palazzo della Borsa, Galleria Tergesteo) e nel giro di 15/20 minuti appaiono i venditori ambulanti con il loro assortimento di ombrelli. Ottimo esempio di capacità di soddisfare con rapidità ed efficenza i mutati desideri del mercato, che fino a pocom prima richiedeva cappellini, occhiali da sole, ecc… (dove tenessero gli ombrelli per poterli fornire così rapidamente, per me rimane un mistero).

Secondo gli esperti intervistati da Marketing News ad inizio anno, ed i cui interventi ho sintetizzato nel post della scorsa settimana, se la stessa situazione si ripetesse tra dieci anni tutti ordinerebbero su Amazon un ombrello grazie ai loro GoogleGlass e nel giro di 15/20 minuti uno stormo di droni consegnerebbe gli ombrelli alla cliente, precisamente localizzato tramite GPS.

Al di là della vaghezza del concetto “precisamente localizzato” in una folla accalcata sotto un portico, mi chiedo dova sta il valore aggiunto.

La cosa che più mi ha sorpreso degli interventi degli opinion leaders è che gli scenari prospettati partivano soprattutto dalle possibilità che offrirà alle aziende il progresso tecnologico, invece che da un (tentativo di) ipotesi sull’evoluzione della società. E’ sbalordente vedere (presunti) esperti di marketing, partire dall’azienda invece che dal cliente/consumatore/persona. In altre parole è sbalordente vedere (presunti) esperti di marketing, usare un approccio di anti-marketing.

Data questa premessa diventa invece ovvio che per la gran parte di loro, il marketing del futuro sembra basato su strategie e tattiche di push (tipiche dell’approccio di vendita) piuttosto che di pull (tipiche dell’approccio di marketing).

Il “cosa” del marketing del futuro non sarà determinato dal “come” le aziende potranno fornire i loro prodotti/servizi alle persone per soddisfare meglio i loro bisogni e desideri palesi (visione degli esperti di Marketing News) ma dal “perchè” le persone troveranno soddisfazione ai loro loro bisogni e desideri palesi attraverso determinati prodotti/servizi piuttosto che altri.

Per tentare di prevedere come sarà il marketing tra 10 anni (tema sui cui giro intorno da qualche anno), bisogna innanzitutto tentare di di capire come sarà la società tra dieci anni.

Secondo me la società tra dieci anni sarà come l’aveva (inconsciamente) prevista Quino una quarantina di anni famafalda 2.0. Perchè la rivoluzione digitale sta annullando le distanze di tempo e di spazio, e credo che il senso di straniamento riguarderà sia digital immigrant come me che i nativi digitali come le mie nipoti, solo con intensità diversa.

La logica del “tutto disponibile subito e sempre” che sottende all’era della mobilità digitale individuale (in pratica smartphone, tablets e tutti gli ibridi che si svilupperanno) si inserirà in un mercato dove la maggior parte dei consumatori saranno nati e cresciuti esposti in modo continuo e costante ad un eccesso di offerta da parte delle aziende/marche sia in termini di messaggi che in termini di prodotti/servizi. Consumatori per i quali l’esperienza di acquisto non avviene in uno spazio ed un tempo determinato, separato dal resto, ma è sempre presente, integrato in tutte le attività. In altre parole persone che fin dalla nascita sono trattate come consumatori dalla società in cui vivono e quindi molto più esperte nel rapportarsi con le aziende delle generazioni precedenti. Non solo saranno molto più esperte, ma avranno anche gli strumenti informativi per sfruttare al massimo le loro competenze.

Per interagire con successo con questi consumatori le aziende dovranno tornare all’etica (o ambizione) originaria del concetto di marketing che essenzialmente è quella di raggiungere i propri obiettivi migliorando la vita delle persone (clienti).

Se questo “miglioramento della vita delle persone” sia rappresentato da status, gratificazione sociale, autograficazione personale (piacere sensoriale o spirituale), risparmio economico relativo e/o assoluto, semplificazione/riduzione della complessità, ecc… dipenderà dalle diverse combinazioni persona/situazione di consumo (intesa come mitivazione e quindi combinazione di momento+occasione+moodalità).

Sicuramente nel marketing del futuro si sfumeranno ulteriormente i confini tra i “beni ricerca” ed i “beni esperienza”, distinzione tanto cruciale quanto sottostimata nel capire il comportamento del consumatore. Ora, come mi sta capitando forse con troppa frequenza, la definizione di “beni ricerca” e “beni esperienza” che uso io è un po’ diversa da quella classica elaborata nel 1970 da Philip Nelson (praticamente opposta).

Sintetizzo dal secondo capitolo dalla mia tesi di dottorato di ricerca del 1994 (da cui si deduce che i miei vizi sono vecchi):
I beni ricerca sono quelli quelli per cui il consumatore si trova nella situazione di dover risolvere un problema esteso (extended problem solving) che giustifica quindi lo sforzo dedicato a ricercare informazioni relative alle caratteristiche di prodotti alternativi in grado, potenzialmente, di soddisfare le sue esigenze. In altre parole la percezione di un alto costo collegato alla decisione sbagliata giustifica l’investimento (in tempo, energie e denaro) per acquisire le informazioni necessarie a ridurre l’incertezza.
Viceversa i “beni esperienza” sono quelli per cui il costo percepito per una decisione di acquisto sbagliata, sia in assoluto che nel confronto tra i diversi prodotti/servizi potenzialmente concorrenti, è basso (limited problem solving) e quindi il consumatore non ritiene necessario/opportuno effettuare una ricerca valutativa prima dell’acquisto, ma decide piuttosto di fare una valutazione a posteriori in base all’esperienza di consumo del prodotto.
E’ evidente che questa distinzione tra “bene ricerca” e “bene esperienza” non è dicotomica, ma si manifesta in un continuum (mid-range problem solving) i cui confini in un determinato momento variano per ogni categoria di prodotto/servizio da persona a persona e per ogni persona possono anche variare nel tempo
.

E’ evidente come la fiducia in una marca sia un elemento che riduce la percezione del rischio di acquisto spostando il comportamento verso le situazione di limited problem solving e quindi di “bene esperienza” anche per categorie di prodotti/servizi ad alevato impatto emotivo e/o economico (due fattori chiave nel determinare situazioni di extended problem solving).

Come dicevo prima, nei prossimi 10 anni questi confini si sfumeranno perchè da una parte si ridurrano sempre di più i costi di ricerca delle informazioni per confrontare prodotti/servizi alternativi, giustificando quindi la “ricerca” anche per acquisti di minor impatto emotivo e/o economico, e sarà sempre più diffusa la condivisione di esperienze di consumo, riducendo quindi la ncessità di ricercare informazioni oggettive sulle caratteristiche dei prodotti/servizi alternativi potensodi basare sulla diretta esperienza di consumo di fonti credibili.

Ora, adesso dovrei passare alla descrizione di come l’evoluzione della società nei prossimi dieci anni modificherà le 4P del marketing. Però, al di là della lunghezza già raggiunta da questo post, poco fa mia moglie vedendomi particolarmente concentrato mi ha chiesto:
- “Stai scrivendo il blog?”
- “Sì, mi sa che il post di oggi è piuttosto denso.”
- “Quando leggo il tuo blog ogni tanto i post sono così densi che arrivo a metà e poi rinuncio ad andare avanti. Mi sa che con quello di oggi arriverò si e no ad un quarto.”

Allora mi fermo qui, ricordandovi quello che diceva un mio Vice Presidente “Non bisogna preoccuparsi per i problemi grossi. Si può mangiare anche un elefante: basta tagliarlo a fettine sottili, non avere fretta e masticare bene.”

Le 4P del futuro alla prossima puntata.

Il marketing nel 2024 secondo gli opinion leaders dell’AMA a me sembra già vecchio.

La lettura delle riviste dell’American Marketing Association è sempre stata per me fonte di ispirazione, talvolta con la soddisfazione di trovare conferme rispetto a cose che avevo già realizzato in azienda e/o teorizzato in questo blog.

Durante le mie recenti vacanze in Brasile ho approffittato del tempo libero per leggere “Marketing News” dello scorso gennaio, dove 11 opinion leaders mondiali erano stati intervistato su come vedevano il marketing nel 2024 (lo so, considerare “Marketing News” una lettura da omrellone spiega molte cose, nel bene e nel male).

Ora io non so se con l’età sono divantato un vecchio brontolone cinico, se mi sono bevuto completamente il cervello in un delirio di onniscenza dopo aver modificato 2 delle 4 P o se le moltissime ore passate in macchina a pensare mi hanno portato effettivamente a raggiungere livelli di marketing strategico estremamente avanzati.

Comunque sia i miei appunti a margine dell’articolo contengono quasi solo punti di domanda ed un solo punto esclamativo.

Jonathan Becher, CMO di SAP crede che una marca dovrà sembrare un editore ed un editore dovrà sembrare una marca, intendendo con questo che la gran parte delle marche dovrà comunicare attraverso contenuti di intrattenimento in modo da fornire informazioni senza annunci pubblicitari. Non sto a tediarvi linkando il mio post di inizio anno (credo) dove riprendevo un articolo apparso in un’altra rivista dell’AMA che diceva che siamo tutti nel business editoriale. Concetto che avevo espresso anche in (almeno) un post precedente citando come esempio la Volvo e la sua credibilità nell’ambito della sicurezza stradale, ancora prima dell’era digitale. Jonathan, se questa è la tua previsione del marketing del futuro, fidati, è già successo. Aggiungo che, citando Caparezza, sono fuori dal tunnel del divertimento e quindi non condivido la previsione che i contenuti delle marche si appiattirabbo sul divertimento (se qualcuno di voi ha mai usato SAP, saprà che SAP+divertimento è un ossimoro).

Rohit Bhargava, autore di Likeonomics prevede che i consumatori cederano l’accesso ai loro profili social in cambio di “micro-incentivi” (risparmi, migliori offerte, ecc…). Cito testualmente “Se possiamo avere il messaggio giusto, per la persona giusta, nel momento giusto e l’abilità di fornirlo cambieremmo completamente il nostro modo di commerciare. Non dovremmo più comprare impressions perchè saranno inutili. Ed avremmo tassi di conversione vicini al 100%.” Ora, nessuno ha mai sostenuto che il marketing attuale debba essere monodirezionale dall’azienda ai consumatori (se lo trovate sul Kotler, vi pago da bere). E’ una deriva che hanno preso le aziende e che sembrava sulla via di essere scardinata dal maggior potere che la rivoluzione digitale ha dato alle persone (consumatori). Invece qui torniamo all’azienda che continua a calare dall’alto le sue proposte, solo con maggior precisione grazie alla “perfetta” conoscenza dei consumatori acquisita attraverso i loro profili social. Domanda banale: se non si acquistano più “impressions” il 100% di concersioni a cosa si riferisce?

Su una linea simile la visione di Pete Blackshaw, capo del digitale e social media della Nestlè, secondo cui nei prossimi 10 anni si assisterà una convergenza tra un maggior controllo del consumatore (sigh!) ed una più accurata capacità del marketing di soddisfare bisogno non soddisfatti o inespressi. “Nuove forme di analisi dei dati, alimentate volontariamente dai consumatori, contribuiranno a nuovi livelli di precisione nelle attività di marketing”. Il dubbio che le persone sfuggano/rifiutino i prodotti disegnati appositamente per loro a loro insaputa, c’è a fine dell’intervento, ma non è tale da generare uno scenario diverso rispetto al perfezionamento del marketing monodirezionale di precisione.
Blackshaw ricorda anche come oggi i consumatori comincino (???? n.d.a.) ad utilizare i codici QR per andare oltre l’etichetta e questa trasparenza da qui a 10 anni si troverà ad ogni passo del processo di acquisto. Io il primo codice QR l’ho messo su un vino nel 2011, e non ero nemmeno un pioniere perchè alcuni concorrenti l’avevano adottato già l’anno prima. La trasparenza già oggi sta già passando da PLUS a MUST e prevedo che l’utilizzo dei codici QR diminuirà (se non è già successo) se il valore aggiunto delle informazioni non compensa la fatica richiesta.

Glen Hiemstra, autore di Turning the Future into Revenue: What Business and Individuals Need to Know to Shape Their Future, apre il suo intervento dicendo: “I confini tra il mondo analogico e quello che consideriamo oggi come mondo digitale spariranno. Saremo on line ed off line allo stesso tempo”. OK bene: è dal 2007 che sostengo e pratico che non c’è separazione tra on e off line in quanto tutto succede nella mente delle persone, che è una.

Sulla visione di Rita J. King, Direttore di business development della società di consulenza Science House, sono quasi d’accordo. Vede un superamento della divisione tra i creativi e la funzione marketing delle aziende (in seguito alla necessità delle aziende/marche di comunicare contenuti). Prevede però la responsabilità di creare i contenuti rimarrà a carico delle agenzie. io personalmente sono convinto che per assicurare autenticità, credibilità e coerenza la creazione dei contenuti e, soprattutto, la gestione delle relazioni debba essere eseguito dall’azienda. E’ (perchè anche questo è un cambiamento già in atto) quindi necessario che le funzioni marketing si dotino di competenza creative o che coordinino strettamente in modo strategico il lavoro delle agenzie.

L’intervento di Gerd Leonhard, Amministratore Delegato della società di consulenza Svizzera The Futures Agency è forse quello che mi ha lasciato più attonito. Comincia così: “il marketing come l’abbiamo conosciuto nel passato era un’attività diversa dalla produzione e dalla Ricerca & Sviluppo, il che sostanzialmente significa che ci sono persone che inventano cose e persone che le vendono”. E’ vero che ho iniziato questo blog tanti anni fa prorpio partendo dalla constatazione della crisi in cui era caduta la funzione marketing nelle azienda, ma mai avevo pensato che fossimo messi così male. Prosegunedo si trova questa perla “Stiamo finalmente arrivando al punto nel quale il marketing non è l’arte (??? n.d.a.) di vendere qualcosa a gente che non vuole niente (??? n.d.a). Sta diventando più la cura/organizzazione di un “ambiente”: io curo l’immagine (“picture” nel testo originale) che tu vedrai e che tu vuoi vedere”. Vertice di monodirezionalità, mi viene da scusarmi a me con Kotler da parte sua.

Andrew Markowitz, Direttore della Global Digital Strategy alla General Electric rientra nel filone della perfetta targettizzazione grazie all’uso del big data. “Tu quasi non saprai che ti stanno commercializzndo (“you’re being marketed to” nel testo originale) perchè ci saranno dati fantastici, versioni (“versionining” nell’originale) fantastiche, esperienze fantastiche che realmente cancelleranno alcune delle barriere che esistono oggi. …… vedo un’ incredibile personalizzazione. Se non hai qualcosa che sia su misura, perderai.” Pare proprio che il futuro sia basata sull’uso del Santo Graal digitale.

Il primo punto esclamativo l’ho messo di fianco all’intervento di Gwen Morrison, Amministratore Delegato della società di consulenza The Store, parte del gruppo multinazionale di comunicazione e marketing WPP. Partendo anche lei dal presupposto che le gente richiede personalizzazione sostiene che tutto è a richiesta (“on demand” nell’originale): i contenuti, il commercio, ecc… Conseguenza è che alla gente piace interagire con altre persone. Io mi spingo oltre dicendo che per soddisfare un mercato in cui tutto è a richiesta (spesso) non sono sufficienti attività di push, per quanto perfette grazie all’analisi del big data, ma (ad un certo punto) è necessaria la possibilità dell’intervento di una persona in grado di interagire efficacemente con i clienti attuali e/o potenziali.

Chris Nurko, Global Chairman della società di consulenza londinese FutureBrand, fa un ragionamento lineare: la popolazione mondiale cresce rapidamente – più persone significa più contenuto e più connettività – connettività e contenuto saranno regolate dalle norme relative alla privacy ed alla proprietà intellettuale in Europa e Nord America – la proprietà intellettuale e la privacy saranno assolutamente la questione n.1 nel 2024 (nel testo originale “the biggest zeitgeist change”). Lasciamo perdere il club di Roma e le sue previsioni sui rischi dell’eccessiva crescita di popolazione, lasciamo perdere anche i trend demografici che vedeno l’invecchiamento (ed il successivo calo) della popolazione europea al netto dell’immigrazione), che dire di quelli che nel 2024 avranno tra 20 e 30 anni cresciuti in un ambiente in cui è normale che tutti sappiano tutto di tutti. E’ stato Mark Zuckerberger a dire che la privacy non esiste, mica io. Vero che magari la sua non è l’opinione più indipendente del mondo, però come visione del futuro un po’ di credibilità di base ce l’ha. Riguardo poi alla centralità del mondo occidentale, direi che c’è un bel po’ di miopia di marketing rispetto al ruolo che nei prossimi 10 anni giocheranno, oltre ai BRICS, le nazioni del centrafrica.

Concludo con J. Walker Smith, executive chairman della società londinese The Future Company. I miei appunti sul suo intervento vedono un punto esclamativo ed un punto di domanda. il punto esclamativo sta di fianco alla frase “Gli algoritmi e la sperimentazione rimpiazzeranno la psicologia e la visione come cuore del marketing”. Il punto esclamativo è doppio per la rilevanza ed originalità dell’osservazione e perchè, finalmente, si tratta di qualcosa che effettivamente si realizzera da qui a 10 anni. Il punto di domanda (a matita) sta di fianco all’affermazione “Alla fine il mercato del futuro avrà la forma di sempre. All’informazione segue il controllo, quindi man mano che le tecnologie digitali passive mettono più informazione e conoscenza nelle mani degli operatori di marketing, questi riguadagneranno più controllo”.

Finita la parte facile delle critiche, verrebbe quella difficile delle proposte. Però è tardi ed il post è già abbastanza lungo e denso.

Rimando quindi le proposte su come immagino il marketing del futuro alla prossima settimana. Per non lascivi del tutto all’oscuro anticipo che in estrema sintesi credo che per il marketing del 2024 sarà necessario ESSERE piuttosto cher apparire. Detto così sembra una banalità, però le implicazioni sono numerose e profonde.

Cosa ho visto ad Expovinis 2014 San Paolo.

Rio de Janeiro, dopo una settimana di lavoro puntavo ad un giorno di spiaggia ma piove. Cosa di meglio da fare se non condividere quello che ho visto a San Paolo alla fiera Expovinis 2014?

Dai francesi ci sarebbe sempre da imparare (volendo) ……
Non è che sia una novità. A tutte le fiere i francesi si presentano belli compatti, occupano uno spazio unico con un’immagine paese forte chiara ed unitaria sotto il coordinamento di Ubifrance
Francia 1
Francia 3
Francia 4

Da notare le colonne bianche e rosse e blu; il vantaggio di fare marketing delle nazioni: uno non deve sforzarsi di identificare o definire i propri colori istituzionali. Sembra semplice ma tra un po’ vedremo che non è sempre facile.

Quali i vantaggi di una presenza unitaria?
- i visitatori trovano tutti i vini e le cantine francesi in un’unica zona, quindi è più facile che trovino quelli che gli interessano e magari qualcuno che non prevedevano.
- ergo i visitatori tendono prima ad “esaurire” l’area francese e poi a passare agli altri stands, compatibilmente con il tempo che gli rimane.
- si può ricavare un’area per le degustazioni/master class (la foto non l’ho fatta, ma c’era fidatevi).
- si possono dare informazioni sulla viticoltura a livello del paese: Francia 2
- si può distribuire una catalogo che descrive dettagliatamente le cantine francesi presenti e la loro distribuzione in Brasile
Francia 6
Non mi dilungo oltre perchè pochissimo è cambiato dal novembre 2012 quando il blog Vino al vino di Franco Ziliani ha gentilmente ospitato un mio intervento centrato su questo argomento.
Aggiungo solo che non ho visto bandiere europee e diciture che si trattava di un’attività finanziata con i fondi comunitari ai sensi del regolamento XY, però dubito fortemente che non abbiano attinto ai finanziamenti dell’OCM vino. Centralizzazione=semplificazione.

…… e qualcuno in effetti impara.
Gli spagnoli copiano, più o meno bene, dai francesi.
Quasi compatti (uno stand separato per i vini della Castilla-La Mancha, però vicino allo stand collettivo), programma di degustazioni guidate, catalogo degli espositori con informazioni sul settore vitivinicolo spagnolo.
Spagna 1
Spagna 3
Spagna 2
Spagna 4
Non è tanto del sorpasso in termini di quantità prodotta che dovremmo preoccupareci.

Italia: creatività o confusione?
Una volta ho sentito dire che i francesi sono degli italiani incazzati. Se è vero noi potremmo puntare ad essere dei francesi allegri.

Per il momento mi sembra che regni la confusione dell’individualità:
- stand del chianti (andate in giro per il mondo a spiegare che il chianti classico è una cosa ed il chianti “semplice” è un’altra: auguri) senza alcun riferimento nazionale.
Italia 2

- Area Italia dietro allo stand del Chianti con logo “bandiera” a forma di cuore e scritta Italia in rosso (non chiedetemi gestita da chi perchè non l’ho capito).
Italia 3

- Zona Italia a fianco dello stand del Chianti gestita dalla Camera di commercio Italo-brasialina di Rio de Janeiro con logo “Spazio Italia” in nero + tricolore “a nastro” e payoff “vino, tradizione e passione”.
Italia 5

- Area “Piemonte: land of perfection” all’altro lato dello stand del Chianti con logo con elegante scritta Italia tono su tono (la vera eleganza non si fa notare) sottolineata da tricolore “a coriandolo”
Italia 1

- Area “Emilia-Romagna Wine: what an experience”, davanti allo stand del Chianti con logo come quello dell’area Piemonte ma (almeno) la scritta Italia in bianco su fondo nero si legge bene
Italia 4

- Stand dell’ ATI (Associazione Temporanea di Imprese) Italian Concept Export Brasil con qualche bandiera italiana in vista
Italia 6

Non ho la foto del bel stand centrale della Cooperativa “La Spiga” di Montalcino, dove il riferimento all’Italia era la dichiarazione dell’utilizzo dei fondi comunitari con relativa bandiera italiana riprodotta sulle pareti dello stand (fidatevi).

Ecco dimostrato che il marketing delle nazioni puà sembrare semplice, ma non è facile.

Ora anche qui non mi dilungo. Come si diceva durante l’ultimo Vinitaly chiaccherando con Fabio Piccoli e Giacomo Acciai (dobbiamo riprendere il discorso) il marchio unitario del vino italiano esiste già ed è già ben conosciuto: è appunto “Vinitaly”. Facilmente comprensibile nelle principali lingue del mondo, unisce efficacemente vino e Italia.
il Vinitaly ha già in buona parte la struttura e parte delle competenze necessarie per essere l’equivalente di Ubifrance, senza diventare una copia dell’ICE (con tutto il rispetto per i funzionari che cercavano di darsi da fare). Invece di investire risorse umane e finanziarie per organizzare i Vinitaly tour all’estero, che restano sempre appuntamenti minori e parziali nei diversi paesi, prenda l’incarico di definire quali sono le fiere chiave a cui deve partecipare il vino italiano ed di organizzare la relativa “Casa Italia”. Conseguentemente obbligo per tutte le aziende, ATI e i consorzi di partecipare alle fiere all’interno di questo spazio.
Mi spingerei perfino a dire che i fondi OCM per partecipazione a fiere possono essere destinati solamente alla partecipazione attracerso il Vinitaly.
Per il resto vale quanto scritto nel mio post pubblicato su Vino al Vino di cui sopra.

Il Portogallo è messo peggio di noi in quanto ad immagine
Se può consolare c’è chi fa peggio. Il Portogallo con una dimensione ed eterogeneità del sistema vitivinicolo di gran lunga inferiore alla nostra riesce ad essere (almeno) altrettanto confuso.

Vari stand, sparsi per la fiera (che, per precisione, copriva un unico padiglione), con due loghi e due pay off diversi:
Portugal 1
Portugal 2
Portugal 3
Portugal 4
Portugal 5

Concludo parlando, stranamente, di due vini:

Reserva Casillero del Diablo Devil’s Collection di Concha y Toro:
Casillero devil collection
Con questo vino ha vinto il Top Ten di Expovinis 2014 come miglior rosso del Nuovo Mondo. Quando ho chiesto alla gentile signorina che lo faceva degustare quale fosse l’uvaggio, mi ha risposto che si tratta di un uvaggio di tre varietali ma l’enologo ha voluto mantenere il segreto sia su quali sono che sulle loro proporzioni.
Partendo dal fatto che Casillero del Diablo è una delle poche vere marche mondiali di vino (ricordo che è uno degli sponsor del Manchester United) l’iniziativa di marketing è curiosa, anche se non sono sicuro di come questo mistero potrà funzionare rispetto alla tendenza globale verso la trasparenza.
Personalmente dopo averlo degustato non ho avuto un grande interesse a scoprire il segreto.

Salton Geracoes Josè “Bepi” Salton :
Come avete già intuito dal cognome e dal nome siamo di fronte all’emigrazione veneta dei primi del 900 (precisamente da Cison di Valmarino). Questo spumante metodo classico 50% Chardonnay e 50% Pinot Noir fa un minimo di 4 anni sui lieviti e mi è proprio piaciuto.
Difficile, se non impossibile, che arrivi in Italia e non un concorrente per il Prosecco italiano (ci pensano già i prosecchi brasiliani), ma un concorrente serio per i metodi classici che volessero andare in Brasile.

Questo è tutto per oggi. Ha smesso di piovere e vada a farmi almeno due passi.

Alcune cose che ho imparato dal quadrato semiotico dei wine lovers.

Adesso che il tourbillon del Vinitaly è alle spalle e mi sono reso conto dell’ambaradam che ho messo in piedi con il quadrato semiotico dei wine lovers, pubblico convegno Vinitalyposso fermarmi un attimo e capire cosa ho imparato da questa esperienza?

Resistenza all’innovazione
Il quadrato semiotico dei wine lovers ha suscitato molto interesse nel settore ed è stato ripreso da parecchie testate, non solo riguardanti il vino (al convegno hanno assistito 70 giornalisti). Eppure ci sono stati diversi opinion leaders che lo hanno ritenuto una cosa di scarso interesse (in ambito vinicolo). Purtroppo per loro (e per noi) le centinaia di persone che hanno fotografato il quadrato allo standa di Bosco Viticultori, dimostrano che si sbagliavano.
quadrato wine lovers allo stand.

Malgrado Steve Jobs, le ricerche quantitative mantengono il loro fascino
Steve Jobs diceva di non appiattirsi sui risultati dei focus group (tecnica qualitativa) perchè le persone non sono in grado di descrivere/richiedere quello che non possono neanche immaginare (esempio i-pad). Più prosaicamente e restando nell’alimentare, le leggende del marketing narrano che tutte le ricerche quantitative dimostravano come non ci fosse mercato per il “Kinder Sorpresa” ne per il “Gatorade”. Feargal Quinn, fondatore dei supermercati irlandesi Superquinn, partecipava personalmente ai focus group organizzati con i suoi clienti prechè diceva che nessun questionario poteva raccogliere l’indicazione di quell’unica persona che aveva ragione (meno quantitativo di così, impossibile). E come faceva a sapere che quell’indicazione era quella giusta? Secondo me perchè conosceva la propria identità, quindi la propria missione, quindi i propri punti di forza e la propria strategia.
Eppure nel diffondere il quadrato semiotico dei wine lovers da più parti è arrivata la richiesta di dare un peso ai quadranti, cosa che secondo me è inutile ed impossibile.
Inutile perchè il quadrato semiotico fornisce una mappa per sviluppare percorsi strategici di medio-lungo periodo, tempo durante il quale gli eventuali pesi possono cambiare. Inutile soprattutto perchè il successo di questi percorsi strategici si basa principalmente nella coerenza tra l’identità della proposta di marca/prodotto e le decodifiche che ne le persone (i consumatori). Detta più semplice, anche ipotizzando che gli enosnob siano la maggioranza avrebbe poco senso rivolgersi a loro se la mia identità è incoerente con i loro codici. Inutile infine perchè la produzione vinicola è talmente frammentata che comunque un’azienda dovrebbe crescere almeno 10 volte prima di trovarsi (forse) con il problema di aver esaurito l’audience.
Impossibile perchè la ricchezza informativa dell’analisi semiotica in cui i comportamenti sono un continuum lungo gli assi e le diagonali, necessaria per guidare le strategie di medio lungo, viene giocoforza ridotta dall’aggregazione che richiede una ricerca quantitativa.
Secondo me, se proprio si vuole avere un riscontro quantitativo, sulla base degli insight qualitativi si definisce una proposta di vendita che viene testata in termini quantitativi. Comunque è un processo che rischia di essere datato, visto che Samsung adotta già un approccio di trial-and-error per cui non fa ricerche, ma lancia sul mercato i prodotti e poi decide se e come continuare in base ai risultati di vendita.

Il target tutti
Oscar Farinetti, stupor mundi, ha colpito l’attenzione, e suscitato qualche perplessità da parte di chi lo ritiene un vecchio volpone, dichiarando che il suo obiettivo è il “target tutti”.
Io sottoscrivo la sua visione per due motivi:
1) ha colto chiaramente che il quadrato semiotico dei wine lovers non individua vini ma atteggiamenti e codici che le diverse persone associano al consumo di vino. Per questo è possibile perseguire il suo obiettivo di vendere vini di vendere “vini naturali e liberi”, codice che appartiene al quadrante “Radical” ai consumatori “Pane al pane”. Basta rivolgeri a quelle persone con i codici di comunicazione corretti e, dettaglio non da poco, avere un’immagine di marca abbastanza ampia ed articolata da rendere credibile la proposta in modo trasversale.
Un aspetto del quadrato semiotico dei wine lovers che forse non è stato sufficentemente evidenziato nelle varie discussioni è che TUTTI i consumatori che sono rappresentati sono wine lovers e sono tutti interessati alla qualità del vino, però la valutano secondo aspetti diversi.
2) Mi ha ricordato il concetto di marketing democratico, concetto definito ed approfondito (anche se magari non così diffuso e consolidato) di cui ho trattato qui in un vecchio post.

Obiettivi poetici, strumenti matematici
Sempre Farinetti ha espresso questa bellissima sintesi. Io che sono prolisso continuo a parlare di mission/positioning statement come l’ho definito in questo post dello scorso novembre, da cui discende la gerarchizzazione degli obiettivi che diventa sempre meno poetici e sempre più matematici man mano che si scende verso l’operatività. Fino ad arrivare alla granularità degli obiettivi di vendita per singola referenza per singolo punto vendita.

Di nuovo complimenti a tutti quelli che mi hanno aiutato in questo lavoro e di nuovo grazie ad Oscar Farinetti (che è poetico e visionario, però parte sempre dai numeri: guardatevi il video del suo intervento al convegno, che merita).

Ejarque demolisce il brand “Fvg live”.

Il titolo di questo post riprende il titolo a tutta pagina de “Il Piccolo” (6 colonne, come si sono ristretti i giornali signora mia …), quotidiano di Trieste, di sabato 15 marzo 2014.
Il sommario era “Pronto il piano del turismo del guru catalano. Stroncate le vecchie strategie. Reti d’impresa e filosofia slow per il rilancio”

Anche se non è una notizia dell’ultima ora, per non smentire la tradizione “fredda” di questo blog, l’articolo fornisce di versi spunti di marketing strategico (soprattutto) ed operativo.

Anche perchè il nuovo piano della società che ha vinto il piano quinquiennale 2014-2018 per la promozione del turismo del Friuli Venezia Giulia stronca ed abbandona la strategia seguita negli ultimi 4 anni.

Ora il caso vuole che il 2 giugno 2010 pubblicassi un post che si faceva beffe (ogni tanto anche a me girano le scatole) della campagna di presentazione della campagna pubblicitaria dell’Agenzia Turismo Friuli Venezia Giulia – Turismo FVG per la promozione turistica della regione (lo so che sembra contorto, ma non è colpa mia se questi fanno la pubblicità della pubblicità).

Il post si intitolava “Voilà, la pubblicità col bignami” perchè la pubblicità della nuova strategia di promozione turistica era centrata sullla spiegazione del logo “FRIULI VENEZIA GIULIA” che era, riporto testualmente, “un timbro indelebile nella mente del turista che unisce idealmente tutta la Regione in un unico messaggio: vivi il Friuli Venezia Giulia e Il Friuli Venezia Giulia dal vivo.

Ora in quel vecchio post mi ero limitato a sottolineare l’intrinseca debolezza di un campagna rappresentata da un logo e da un claim che aveva bisogno di essere spiegato, senza dilungarmi sul fatto che un’operazione simile era stata fatta dall’ufficio del turismo sloveno con il logo “I feel SLOVENIA” e che la struttura della proposta turistica, nonchè la realtà socio economica, del Friuli Venezia Giulia appariva incoerente con quel posizionamento. Detto in altro modo: non ha molto senso promuovere Lignano come fosse Jesolo, sia perchè non lo è ne lo sarà, sia per la vicinanza geografica.

Dovrei quindi essere contento del cambio di rotta verso una strategia slow, però non lo sono perchè penso allo spreco di denaro pubblico speso nel tentativo di affermare un marchio e mi chiedo se veramente quel logo non abbia lasciato traccia nei target a cui è stato comunicato. Banalmente, prima di buttare via un rilevante stock di invetimenti fatti durante 4 anni, mi sarebbe piaciuto vedere una verifica oggettiva del suo “non valore”.

Tanto più che nella relazione della società Four Tourism del signor Josep Ejarque, che ammetto di non conoscere si dice che “una corretta strategia di marketing non si deve focalizzare esclusivamente sugli slogan perchè hanno vita breve e non si prestano ad una strategia vincente.”

DISSENTO TOTALMENTE. Lo slogan, o il claim se preferite, di una strategia di marketing deve essere la sintesi del suo positioning statement strategico (anzi io spesso cerco di far corrispondere le due cose) e quindi non può avere vita breve ed è il fondamento per lo sviluppo e la realizzazione di una strategia vincente.

Il posizionamento è la mano invisibile che allinea tutti i comportamenti e quindi è ancora più importante per un Agenzia regionale che deve svolgere una funzione di indirizzo e di valorizzazione “indiretta”.

Approfondisco e chiarisco per punti:
- Definire il posizionamento serve per migliorare l’efficienza e l’efficacia con cui opera l’azienda, fornendo una linea che guida l’azienda nella scelta di quali possibilità perseguire e come. In altri termini l’utilità del posizionamento sta nell’indicare cosa l’azienda può/deve fare e come.

- Se non è in grado di assolvere questa funzione, la definizione del posizionamento si riduce ad un formalismo che crea confusione nei processi interni e distorsione nella percezione esterna.

- Il posizionamento definisce cosa l’azienda VUOLE rappresentare per il mercato, dove il termine vuole indica la tensione con cui la realizzazione del posizionamento va perseguita continuamente in tutte le attività aziendali.

- La definizione del posizionamento non è la somma di come percepiscono l’azienda le diverse funzioni/persone, ma ne è la SINTESI.

- Il posizionamento definito come somma delle percezioni rischia di risultare generico e quindi debole rispetto alla capacità rappresentare e differenziare l’azienda all’interno ed all’esterno.

- Una volta definito il posizionamento, dovrà essere utilizzato in modo da far convergere le percezioni delle diverse funzioni/persone all’interno dell’azienda e per rappresentarla all’esterno.

Discorsi di lana caprina? Forse, però qualche altro dubbio mi viene considerando che lo stesso Josep Ejarque era stato Direttore Generale di Turismo FVG dal 2006 al 2008 (anni in cui la REgione Friuli Venezia Giulia al BIT di Milano aveva lo stand più grande e più costoso di tutti) e soprattutto considerando che la Four Tourism ha vinto la gara grazie al ribasso del 35% rispetto alla base d’asta di 50.000 euro. Il punteggio più alto dal punto di vista tecnico era stato infatti attribuito al progetto presentato dall’associazione temporanea d’impresa Ambrosetti-Tognoni.

Mettendo in fila un po’ di numeri, il Friuli Venezia Giulia:
- nel 2011 era la 16ma regione italiana per arrivi alberghieri;
- nel 2011 era la 13ma regione italiana per presenze turistiche ogni 1.000 abitanti;
- nel 2011 aveva 18.109 lavoratori dipendenti impiegati nel settore turistico;
- nel 2012 gli arrivi turistici sono stati oltre 2 milioni per quasi 9 milioni di presenze, di cui 5,5 milioni nelle località balneari (50% dall’Italia, 50% dall’estero con maggiori crescite da Russia e Brasile).
- il bilancio di previsione di Turismo FVG già approvato per l’anno 2014 è di 25.006.048,96 euro, il che porta all’astronomica cifra di 12,5 euro ad arrivo (sempre che si riescano a confermare i numeri del 2012) ed il risparmio per aver scelto il progetto peggiore allo 0,068% del bilancio.

A rendere un po’ più attuale questo post, oggi è uscita la notizia che la strategia di rilancio del turismo in Friuli Venezia Giulia vedrà protagoniste le 236 (sottolineo 236) Pro Loco regionali ” …. utilizzando sempre di più prodotti tipici regionali di provenienza locale nelle sagre e festeggiamenti per aumentare i flussi di turismo enogastronomico”. Vedo già i charter di russi che atterrano direttamente alla sagra del frico, file di brasiliani per degustare le diverse interpretazione della gubana e pullman di tedeschi in coda per venire alla sagra de la serdela, da anni appuntamento clou dell’estate triestina.

Assessore Bolzonello, visto che per farla ho utilizzato solo dati disponibili in rete, in una logica di spending review io questa analisi io glieLa regalo.

Ho coniato il “Marketing Totale”. Adesso devo capire che cos’è!

La settimana scorsa alla fine del post sul futuro del marketing mi è uscito il “marketing totale”, più come termine che come concetto. E’ stata una cosa inaspettata, nel senso che io quando comincio a scrivere un post ho più o meno in testa i vari punti, però domenica scorsa il marketing totale è nato da solo come termine per significare la differenza tra i profili social di Katy Perry e Milla Jovovich, o se volete tra il marketing presente ed il marketing futuro.

Però mi è sembrato subito una verbalizzazione che rendeva bene l’idea e quindi l’ho messa già nel titolo. Ma quel’è l’idea?

Questa settimana ci ho riflettuto e le risposte stanno venendo dal basso, nel senso che il termine/concetto “marketing totale” riesce a creare una relazione logica, quindi un sistema, tra diversi concetti che fino ad oggi sembravano sparsi.

Mercoledì un amico e professionista della pubblicità mi ha chiesto la mia visione in quanto cliente di dove andrà/sarà il futuro delle agenzie pubblicitarie. Evidentemente non segue biscomarketing con la dovuta costanza e quindi gli ho fatto una sintesi dei post “Quale futuro per le agenzie pubblicitarie” e “Quale futuro per la pubblicità“. Per spiegarmi meglio gli ho sintetizzato anche il post “L’evoluzione del (bisco)marketing: la P di Place diventa PRESENZA e quella di Promotion diventa PERCEZIONE“.

Lui ha trovato molto valida e giusta la prima (modifica all’enunciato kotleriano), meno brillante la seconda. Gli ho detto che aveva ragione, anche perchè alla trasformazione da promotion a percezione avevo dedicato meno sforzo (leggete il post e capirete). Avevo torto.

Mi rendo conto oggi che alla base dell’evoluzione di entrambi i termini c’è lo stesso concetto e questo concetto è il marketing totale, inteso come l’approccio che guida le strategie aziendali (di marketing) nell’attuale contesto in cui le esperienze del mercato con la marca sono diffuse e perpetue.

Siccome non ha senso re-inventare la ruota, ho cercato dei riferimenti bibliografici e web-o-grafici che mi aiutassero nella definizione del concetto di marketing totale o che magari l’avessero già formulato.

A parte riferimenti al marketing globale in senso geografico ed agenzie che si chiamano total marketing, nell’archivio dell’American Marketing Association ho trovato un solo riferimento che conteneva il termine “Total Marketing” ed era riferito all’AMA 1980 Achievement Award consegnato alla Walt Disney Production.

Estraggo dall’articolo le parole di E. Cardon Walker, al tempo Presidente ed Amministratore Delegato di Walt Disney Production, per i più pigri:
Il total marketing system cominciò nel 1930, due anni dopo il primo cartone animato di Topolino “Steamboat Willie”……. “Con questo sistema sinergico i cartoni animati di Topolino aiutano a vendere il merchandise di Topolino ed attirano lettori alle strisce a fumetti di Topolino ed allo stesso tempo merchandise e strisce a fumetti supportano i cartoni animati.

Chi mi conosce può immaginare il sincero piacere che provo a ritrovarmi in un fumetto ed a ben pensarci era ovvio che sia stato Walt Disney a sviluppare il concetto del marketing totale perchè da sempre la marca Walt Disney cerca di avere un rapporto totalizzante con le persone (i consumatori).

La differenza oggi rispetto al 1980 (per non dire del 1930) è la perdita del controllo da parte dell’emittente (per esempio Walt Disney) dei tempi e dei modi di diffusione dei messaggi e fruizione delle esperienze che le persone avranno con la marca.

Quando dico che le esperienze che le persone hanno con una marca sono diffuse intendo sia in senso geografico che di modalità. Non è che il passaparola prima non esistesse, ma oggi ha un’estensione in termini di forza e rapidità di diffusione e di possibilità di modificare/distorcere il messaggio originario senza paragoni. Già nel 2007 a tre mesi dal lancio ci siamo trovati uno dei video virali di Keglevich in una trasmissione della televisione russa sui video più divertenti della rete (il fatto che i video fossero muti NON era casuale).

Attenzione però a ridurre tutto al solo digitale: anche uno che a carnevale si mette un “chiodo” con l’immagine del teschio sulla schiena e la maschera di Pippo in testa rende l’esperienza della marca più “diffusa”, esponendo un determinato numero di persone ad una diversa/distorta esperienza della marca. Se poi qualcuno con il telefonino lo fotografa e lo posta ecco che il tutto viene moltiplicato dalla forza del digitale.

Digitale che è invece l’elemento determinante della perpetuità dell’esperienza della marca visto che lo spot virale Keglevich è ancora su youtube e continua a ricevere nuove visite.

Ecco perchè l’evoluzione in contemporanea verso i concetti di Presenza e Percezione è stat inconscia, ma non credo sia stata casuale. Ed ecco come il concetto di marketing totale chiarisca l’importanza di un identità solida, sviluppata coerentemente nel tempo.

Il filone del marketing totale è appena iniziato. Aspettative altre puntate.

Alla prossima.

Il futuro del marketing spiegato da Katy Perry e Milla Jovovich, ovvero il marketing TOTALE.

A Natale mi chiama un’amica ed ex-collega per farmi gli auguri, chiaccheriamo del più e del meno e lei ad un certo punto mi fa “Lorenzo ti dò uno spunto per un post: esiste ancora il marketing?”

L’argomento è monumentale e quindi ho deciso di affrontarlo dal lato pop. Il bello è che avevo deciso titolo e taglio del post già da una settimana e questa mattina sul sito de “La Stampa” mi trovo la notizia che Katy Perry è la prima persona a superare i 50.000.000 di followers su twitter. Fortuna o segnale che sono ancora in grado di cogliere lo zeitgeist?

In realtà la questione di se e come esista ancora il marketing l’ho già affrontata in diversi post nel corso degli anni. Ho provato qui sotto a fare una bibliografia sintetica: mi sono venuti i brividi accorgendomi che alcuni risalgono al 2007 e che non trovo più quelli scritti nel 2006, tra cui il primo che era il fondamento del blog.
Teoria e tecnica della comunicazione digitale; 05/01/2013
Quale futuro per la pubblicità? 28/10/2012
Marketing marketing myopia; 3/06/2011
Terapie contro la marginalizzazione del marketing; 19/09/2010
La marginalizzazione del marketing non ha toccato il fondo; 14/09/2010
(Quando) imploderà il marketing? 28/02/2010
A che punto è la notte? 4/11/2009
Kotler marketing for results n.5 e ultimo; 16/12/2007
Il rinascimento del marketing? 24/07/2007.

Torniamo a Katy Perry che, secondo me, rappresenta (un ottimo) marketing presente.
Il posizionamento trasmesso dai video nel corso di questi 5 anni è stato attuale, originale, e differenziante. I video comunicano un’immagine di Katy Perry un po’ freak, meno omologata rispetto ai soliti artisti pop, ma sostanzialmente innuocua (si tratta pur sempre di un prodotto di consumo di massa). Guardate e ditemi se siete d’accordo “Hot N Cold”, “U r so gay” “California Gurls” “Roar – lyrics video”.
Soprattutto è un comportamento confermato da Katy Perry nelle sue apparizioni pubbliche. Qui poco importa che sia dovuto al fatto che Katy Perry abbia abbastanza controllo sullo show business per fare quello che vuole, oppure al fatto che lo show business abbia trovato condivisibile il modo di essere di Katy Perry o, infine, che Katy Perry sia una grandissima attrice che recita benissimo una parte (io comunque propendo per la prima ipotesi; riuscirò anch’io a tornare a vivere come se fossi un cartone animato!).
Fin qui tutte cose fatte bene, ma niente di nuovo.
La principale lezione da imparare è che il marketing oggi è digitale o non è. Affermazione quasi banale, ma, soprattutto in Italia, temo ancora necessaria. Nel 2006, praticamente preistoria, ai tempi del lancio del sito YourFun per Keglevich cercavo di spiegare al mio Amministratore Delegato che era sbagliato e fuorviante distinguere tra reale e virtuale perchè tutto poi succede nella testa della persona, che è unica. Molto meglio utilizzare i termini on e off line e solamente per distinguere le specificità operative dei diversi ambiti piuttosto che quelle strategiche (con la stessa logica per cui si fanno distinzioni su base geografica).
La ragione è presto detta: oggi Katy Perry può mandare un messaggio a 50.000.000 di persone a costo zero, disinteressandosi di pianificazione media e comunicati stampa. Per di più 50.000.000 di contatti tutti in target al 100% (come dite? Che tenendo conto dei fake il numero effettivo è più basso? Perchè credete che durante i breack pubblicitari tutte le persone rilevate dall’auditel siano sedute sul divano a guardare lo schermo?).
L’implicazione del mondo digitale, dove vivono persone digitali, è che il marketing oggi è personalizzato (dopo Nutella, si stanno diffondendo gli imitatori di Coca Cola nella personalizzazione di prodotti di largo consumo). Le tecnologie lo permettono ed i consumatori se lo aspettano.
E’ questo che permette di stabilire i famosi legami emotivi tra le marche e le persone.
Il limite del marketing di Katy Perry oggi, dico io, è nei contenuti sostanzialmente istituzionali della comunicazione. Se guardate il profilo facebook trovate quasi esclusivamente aggiornamenti di stato che comunicano concerti, uscita del disco e vari eventi legati alla cantante Katy Perry. Pochissimi riferimenti alla persona.
Su twitter si trova qualche notizia/opinione/impressione personale in più, ma la sostanza non cambia. Tra l’altro io NON sono d’accordo di tenere twitter separato da facebook (concordo invece sul tenere facebook separato da twitter), se non altro per la forte sovrapposizione dei contatti tra i due social.
Sembra quasi che la persona Katy Perry sia più evidente nelle sue apparazioni fisiche che nella presenza on-line. Potrà continuare così o dovrà evolvere verso il futuro del marketing?
Il futuro del marketing è Milla Jovovich!
- Perchè il futuro si basa tutto sui contenuti e quindi bisogna avere qualcosa di interessante da dire.
- Perchè il futuro si basa si basa sulla definizione chiara e completa della propria identità in modo che i consumatori (le persone) a cui interessa se ne accorgano quando li incrociamo.
- Perchè il futuro si basa su una perdita del controllo (del contesto) della marca, gestibile solo con un’identità che sia anche solida perchè autentica.
- Perchè il futuro si basa su legami paritetici tra marche e persone, ossia tra persone e persone.

Tutto questo lo trovate nel profilo facebook di Milla Jovovich.
quando l’ho visto sono rimasto stupefatto. Sembra il mio, nel senso che sembra quello di una persona qualunque con le foto dei bimbi, della settimana bianca, dei colleghi di lavoro.
Dà veramente l’impressione che come me e voi Milla Jovovich utilizzi facebook per condividere pezzi di vita con i suoi amici, non importa che poi li vedano anche gli oltre 3.000.000 di fans. Anzi li fa diventare davvero “amici” ad un diverso livello di amicizia.

Io davvero non mi spiego come sia riuscita a far accettare alle case di produzione ed i colleghi la pubblicazione di tutte le istantanee del “dietro le quinte”.

Non credo che oggi ci siano aziende in Italia (e forse anche nel mondo) in grado di accettare e praticare una simile trasparenza.

Il bello è che molto probabilmente vedere Milla Jovovich cadere in moto nelle prove del film non toglie mistero al film, ma anzi aggiunge curiosità nel vedere alla fine come è venuta la scena.

Il futuro del marketing quindi è il marketing totale, ossia quello in cui l’esperienza della marca mantiene sempre le promesse, in ogni luogo ed in ogni momento.

Per tornare alla domanda iniziale: il marketing totale è ancora marketing? Ognuno si risponda da sè, se ritiene che la risposta abbia importanza.

P.S. Prima di essere accusato di scrivere post sessisti, eccovi il profilo facebook di Justin Bieber. Direi da marketing presente più che futuro.