Melegatti batte Bauli 4 a 0 (almeno in quantità)

Lo so che avevo già fatto gli auguri e chiuso per ferie, ma poi sono andato a fare la spesa e vedere dal vivo le teorie messe in pratica mi affascina sempre.
Cosa ci fanno 4 pandori Bauli sull’espositore (si fa per dire) di quelli Melegatti?

Se aggiungo che nel piccolo supermercato Essepiù di Trieste – Roiano gli espositori di Bauli si trovavano vicino all’entrata, sono, con ogni probabilità, i pandori lasciati lì dai clienti che hanno cambiato la loro scelta di fronte all’espositore Melegatti che hanno trovato più avanti.

Sono i consumatori che hanno deciso che tra la marca Bauli a 3,49 euro/pezzo e la marca Melegatti a 2,49 euro/pezzo, la seconda era un’opzione migliore. Senza contare quei consumatori più diligenti (ci sono) che dopo aver cambiato scelta sono tornati a rimettere il pandoro Bauli al proprio posto.

I marketing delle due aziende a fine gennaio guarderanno i dati di vendita confrontando le rotazioni nei punti vendite dove erano presenti le due marche ai diversi livelli promozionali e vedranno se le loro strategie avranno raggiunto i risultati previsti. Magari saranno contente entrambe le aziende, Melegatti per l’aumento della quota di mercato e Bauli per la redditività (1 euro in più a questi livelli di prezzo non è poco).

Quello che a me è sembrato interessante è stato vedere nella pratica quanto gioca la tattica per prodotti fortemente stagionali come il pandoro. D’altra parte già quando lavoravo in Stock, i numeri della promozione natalizia di Limoncè dipendevano anche dal gradimento della grafica dell’astuccio di metallo realizzato per quell’anno (oggi, dopo un paio d’anni di astucci di cartoni, la bottiglia di Limoncè si presenta sullo scaffale “direttamente nuda”, ma questa è ancora un’altra storia).

Tornando a Bauli e Melegatti ed alla combinazione “immagine di marca+convenienza” vale anche la pena di ricordare le strategie pubblicitarie delle due aziende.
Bauli, che gode di un maggior “stock” di comunicazione dagli anni passati e dagli altri prodotti venduti nell’arco dell’anno continua ad utilizzare lo stesso spot da diversi anni, e se questo arriva a diventare argomento delle battute della Litizzetto a “Che tempo che fa” forse è arrivato il momento di chiedersi se non sia il caso di investire per rinnovare e rinforzare l’equity della marca (soprattutto se si vuole/deve sostenere un posizionamento di prezzo del 30% superiore ai concorrenti).
Melegatti invece propone un posizionamento completamente diverso con uno spot che mi ricorda quello di Illy a fine anni ’80 (quello di mio papa diceva qui si offre solo il meglio”. Anche in questo caso lo spot si svolge in una famiglia di italo-americani, allo stesso tempo custodi ed ambasciatori dell’eccellenza alimentare italiana.
Anche lo spot Melegatti non è nuovo, però appare sicuramente meno datato (anche in termini di messaggio) di quello di Bauli.
Che strategie ci attendono per l’anno prossimo? Bauli cercherà di recuperare quote investendo in comunicazione o in promozione? Melegatti cercherà di alzare il proprio posizionamento di prezzo sostenendolo con più pubblicità oppure tornando all’utilizzo del concorso a premi?
Magari si presenterà qualche nuovo competitor con un prodotto diverso.
Uno dei ricordi dei miei Natali bambino è quello del pandoro (Melegatti ovviamente, non c’era altro) portato apposta per me, unico a cui non piaceva il panettone per via di canditi ed uvette. Adesso è il contrario: quando e perchè c’è stato il sorpasso del pandoro sul panettone?

Mangiate quello che volete e passate un lieto Natale.

Non c’è più Limoncè.

Quando faccio la spesa dedico una particolare attenzione al reparto dei vini e liquori per ovvie ragioni professionali. Ieri ho notato con sconcerto la nuova bottiglia di limoncè, che vedete nella foto qui sotto (non a caso di fianco a Limoncetta di Sorrento).
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Conoscendo bene la storia strategica e di risultati di mercato di Limoncè per averlo “frequentato” 7 anni e gestito circa 4, ho mentalmente ripercorso l’evoluzione dei pack: da qui lo sconcerto.
In ordine cronologico, questo era la versione precedente (in realtà questa è l’immagine del prodotto al momento del lancio nel 1997, poi negli anni il tappo di sughero è stato sostituito da un tappo a vite, la scritta Stock sulla capsula sul collo della bottiglia è stata sostituita da una ripetizione del logo che è evoluto graficamente ammorbidendosi come lo si vede oggi) e sotto si vede il Limoncè ’83 inserito nel contesto competitivo dei limoncelli nel 1997, prima del lancio di Limoncè come lo conoscono tutti.

Ora non entrerò nei dettagli perchè rischio di scrivere non un post ma un blog intero.
In sintesi nel 1997 Stock con Limoncè 83 era già il leader di mercato dei limoncelli grazie alla sua forza distributiva, ma,notando un forte potenziale di mercato inespresso, decide di uccidere quel prodotto (leader di mercato sottolineo una volta di più) per lanciarne uno in grado di dare contemporaneità alla categoria di prodotto.
Limoncè diventa così uno dei più grandi successi nel mercato dei liquori e distillati degli ultimi quindici anni grazie ad una strategia pensata e realizzata con chiarezza e precisione (la fortuna, chissà come mai, accompagna sempre queto tipo di operazioni, mentre scarseggia in quelle strategicamente deboli).
Uno dei principali elementi di differenziazione che hanno costruito l’immagine della marca è stato il packaging sia in termini di forma della bottiglia ovale e allungata, che in termini di logo, in cui l’elemente del limonè diventa parte integrante di una grafica che va in direzione opposta a quelle utilizzate fino a quel momento (anche da Stock).
In poche parole Stock crea il nuovo stile del limoncello, oggi si sarebbe detto un esempio di blue ocean strategy (però il libro non era ancora stato pubblicato).
Con questa modifica di packaging l’attuale management della Stock, dopo l’insulsa campagna TV di due anni fa e l’inutile lancio del liquore Limoncè, fa abdicare la marca al proprio ruolo di leader una volta di più e quindi le dà un ulteriore spinta verso il declino.
I ghirigori su bottiglia e capsula vogliono rimandare ad una generica tradizione (e ricordano stranamente l’immagine liberty del Limoncè 83) ed indeboliscono il logo. Il limone del logo ripetuto sulla capsula è diventato una (confusa) spirale di bucce e su capsula e bottiglia si trovano due frasi diverse ma simili che reclamano la genuinità del prodotto: “Solo Limoni italiani” e “Liquore naturale di limoni”. Excusatio non petita,accusatio manifesta.

Nel frattempo il pack di Limoncetta, da anni il principale concorrente, si è raffinato unendo simpatia ed eleganza nel comunicare il suo plus intrinseco: essere prodotto con limoni di Sorrento IGP.

In sintesi Limoncè ha perso la sua leadership innazitutto concettuale e di stile e si propone con un immagine che va nella direzione di Limoncetta di Sorrento, puntando, goffamente ed inutilmente (visto che è già contenuto nel logo), sul limone quale ingrediente principale della ricetta. Carta che risulterà sempre perdente nei confronti di Limoncetta che in etichetta dichiara nell’ordine “Liquore di limoni di Sorrento”, “l’Originale”, “Ricetta tradizionale per infusione”. Ho solo un appunto da fare ad Averna, proprietari del marchio “Limoncetta” (cosa credavate? Che lo facessero le suore cieche di qualche monastero della costiera amalfitana?): sul sito c’è ancora la foto del pack vecchio.

Se penso che nella proposta che avevo raccomandato per l’aggiornamento del marchio Limoncè nel 2006 il marchio diventatava l’immagine del limone+c’è, forse capite un po’ meglio il mio sconcerto.

Inversioni di marketing: Keglevich + Limoncè

Quando ho visto la promozione della foto qui sotto mi è venuto in mente un, oramai, vecchio libro di Domenico Barili, ai tempi Direttore Marketing di Parmalat.
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Questo sia per il titolo, “Inversioni di marketing” appunto, che pensando al percorso fatto dall’azienda di Collecchio. Va detto per onor di cronaca che, a quanto ne so, Barili non è mai stato coinvolto in alcun modo nelle vicende del crack Parmalat.
Per correttezza aggiungo anche che ho ovviamente un occhio particolarmente attento per marche come Keglevich (che ho gestito per 7 anni prima da Group Brand Manager e poi da Direttore Marketing) e Limoncè (che ho gestito per tre anni e mezzo da Dir. Mktg) e credo si possa intuire la mia limitata stima per l’attuale gestione di quella che era la Stock di Trieste.
Tutto ciò premesso, la domanda è semplice: cosa c’entra la Keglevich con Limoncè? A voler scendere dal livello di marca a quello di prodotto: cosa c’entra la Keglevich Vodka Classica con il nuovo Amaro Limoncè?
Tanti anni fa un mio chairman mi disse che le brand-extension funzionano solamente se si rivolgono allo stesso target occupando un diverso momento/modalità di consumo oppure se si rivolgono ad un target diverso e nuovo rispetto all’esistente. In questi casi sostanzialmente si annullanno i rischi di cannibalizzazione e le prospettive di aumento del volume d’affari possono compensare il rischio, sempre difficile da valutare, di diluzione dell’immagine della marca.
A prima vista qui potremmo ricadere nel caso del diverso momento di consumo, visto che il target per l’Amaro Limoncè si assume per definizione il medesimo Della Keglevich Classica utilizzando lo strumento promozionale del gift on pack.
Il punto però è che qui non si tratta di una brand extension, ma dell’abbinamento tra due brand diversi, leader di due categorie affini (liquori da dopopasto e distillati da cocktail), quindi con un’immagine ed una personalità forte e chiara.
Allora che interesse può avere il consumatore di Keglevich Classica, che avrà tra i 20 ed i 30 anni (massimo) e la utilizza per un consumo miscelato a provare un amaro, categoria di prodotto tradizionale, che si consuma liscio, a marchio Limoncè? Dell’ascesa e declino del marchio Limoncè, se volete parliamo un’altra volta, altrimenti questo post rischia di diventare troppo lungo ed antipatico.
Secondo me l’interesse è minimo, mentre l’indebolimento per l’immagine di Keglevich è elevato.
Di base poi io non credo per niente al concetto dell’Amaro Limoncè perchè ho visto le ricerche di dieci anni fa che dimostravano come Limoncè fosse un marchio estremamente forte, evocativo, ma stretto che non ammetteva estensioni al di fuori del limone (nomen omen) ed ho visto l’esperienza, negativa, del Limoncè Mint.
Qualcuno potrà dirmi che in dieci anni sono cambiate tante cose (ovvio), io però ricordo sempre quello che mi disse un giorno un filibustriere titolare di una media agenzia pubblicitaria del nord-est: le ricerche bisogna saperle leggere. B U G I A: LE RICERCHE BISOGNA SAPERLE SCRIVERE. Ne parliamo sul prossimo post.