Il termine “millennials” è una dimostrazione della forza evocativa che ancora possiedono le parole.
Peccato però che in questo caso l’evocazione sia sbagliata. Infatti suggerisce che si tratti delle persone nate negli anni 2000, mentre ufficialmente indica i nati tra il 1981 ed il 1996.
Questo implica che il termine “millennials” nel parlare comune (anche di “prestigiosi” mezzi di comunicazione) sia usato a sproposito e, soprattutto, che i millennials abbiano oggi tra i 38 ed i 23 anni.
Nella fascia di età più alta quindi non proprio dei ragazzini.
Si potrebbe aggiungere che forse una persona di 38 anni ha più cose in comune con una di 43 che non con una di 23, ma questo è il brutto delle segmentazioni basate sui parametri demografici. Soprattutto nei segmenti più giovani, perché poi andando avanti con gli anni lee fasi del ciclo di vita delle persone si appiattiscono (un po’).
Questa è la ragione per cui non amo le segmentazioni demografiche, preferendo quelle sui valori e sui vantaggi (benefits) ricercati ed attesi dalle persone. Indubbiamente però le caratteristiche socio-demografiche sono necessarie per definire come raggiungere le persone, soprattutto per le politiche di percezione e di presenza (termini che nella mia teoria del marketing totali sostituiscono rispettivamente promotion e place; oramai non lo spiego più, se siete curiosi basta cercare uno dei tanti post passati in cui tratto l’argomento).
Probabilmente l’ennesimo caso di eterodossia da parte mia, visto che sostanzialmente tutti da qualche anno parlano dell’importanza dei millennials per il futuro delle marche.
Mi arrendo quindi all’ortodossia (quasi) e, siccome la vita è una ruota, sintetizzo di seguito le indicazioni fornite dalla ricerca sulla Generazione Z realizzata lo scorso giugno dal JWT Intelligence e Snapchat.
L’impressione è che la presenza di Snapchat distorga leggermente la visione rispetto all’utilizzo di altre piattaforme, ma visto che Facebook è sempre equivalente al diario del liceo (nomen omen), quindi di chi al liceo scriveva sul diario cose che andavano oltre la scuola, Instagram il posto dove pubblicano quelli più “smart” di facebook e su TikTok sono arrivate perfino Barbara D’Urso e Caterina Balivo, forse la visione distorta è la mia.
Come spesso accade nell’adozione di un termine per indicare una “generazione”, l’origine del nome (cosa di cui ci interessa poco) e l’intervallo demografico che comprende non sono definiti in modo univoco e preciso.
Il Pew Research Centre comprende i nati tra il 1997 ed il 2012. Lo studio di JWT ha preso in considerazione il segmento compreso tra i 13 e 22 anni.
Quelli che una volta si sarebbero chiamati gli adolescenti, per cui non stupisce più di tanto che nella ricerca condotta in Usa e Regno Unito a maggio di quest’anno su 1.208 adolescenti che usano lo smartphone almeno una volta al giorno, la grandissima maggioranza indicasse come lo slogan della propria generazione “sii te stesso”. Parlate con qualsiasi psicologo dell’età evolutiva e vi dirà che l’adolescenza è una fase dello sviluppo caratterizzata dalla definizione del (nuovo) sé.
Ma basta banalizzare tutto. Passo a descrivere le principali indicazioni contenute nella ricerca (il report completo di 70 pagine lo trovate qui, gratis, basta registrarsi).
Creatività trilingue.
Anni fa tra i 100 trend per l’anno individuati sempre da JWT c’era il “parlare per immagini” (speacking visually). Per la Generazione Z questo è la norma perché ci sono cresciuti dentro.
Se per i Millenials si parlava di nativi digitali, qui possiamo parlare di (visual) social digitali.
A questo si aggiunge la creatività per cui le immagini sono spesso manipolate con effetti speciali, musiche e testi.
Tutto questo permette alla Generazione Z di esprimere pensieri complessi in maniera molto ricca, ed allo stesso tempo di mostrare in modo molto diretto le proprie emozioni.
Per capire cosa dicono bisogna quindi sapere lo stesso linguaggio ed ancora di più per “parlarci”. Se pensate ad una comunicazione (che dovrà essere) più povera solo perché non leggono i libri e non scrivono, rischate di fare molta poca strada.
C’è tutto, è qui ed è adesso.
Se ci penso attentamente quello scritto sopra è un concetto che a me fa venire le vertigini (ed infatti cè una vecchia vignetta di Mafalda che mostra proprio questo), ma per la Generazione Z è la situazione normale in cui sono nati e cresciuti.
Lo smartphone mette letteralmente il mondo in mano, quindi sono abituati al fatto che le cose che trovano in partenza sono (sembrano) tutte uguali. Così non hanno preconcetti nel mescolarle per ricrearle e condividerle. Fondono i confini estetici e culturali.
Esplorano diverse identità senza apparente contraddizione, il che non poi così sorprendente trattandosi di persone il cui cervello è letteralmente ancora in via di formazione anatomicamente e fisiologicamente. Chiunque ha degli adolescenti in casa sa esattamente cosa intendo.
Sono autentici, anche quando si contraddicono.
Anche nelle molteplici identità che possono esplorare, il loro comportamento è sempre orientato alla verità.
Le foto pulite, filtrate, perfette come in un set sono roba da (relativamente) vecchi. Chi mette più #nofilter tra gli ashtag di Instagram?
Le manipolazioni delle immagini e dei video non sono fatte per renderle più “belle”, bensì per renderle più emotivamente autentiche. Per esprime in modo più chiaro e compiuto cosa provano veramente.
Spontaneità vs. posa.
I principali motivatori sono il divertimento e l’intrattenimento.
Anche questa non proprio una scoperta clamorosa se ricordiamo che stiamo parlando di adolescenti (se dico “sbarbati” c’è qualcuno che mi capisce).
Sarebbe sbagliato però scambiare questi atteggiamenti con il disimpegno. Piuttosto si tratta degli approcci usati per far arrivare il messaggio, sia lo si mandi agli amici oppure all’universo mondo (web).
Le questioni sociali sono importanti.
Cresciuti nell’internet dell’odio, dove tutti giudicano tutti, la Generazione Z usa sfacciatamente la propria portata social (social reach) per creare comunità in cui dialogare rispetto alla loro fluidità (nuovamente caratteristica dell’età).
Ridefiniscono le identità di genere, i canoni di bellezza, ecc… in una logica inclusiva che va oltre i tutorials ed i selfies per stabilire personalità multiforme.
Online ed offline hanno pari importanza.
Proprio grazie al fatto di essere cresciuti in una società in cui il web ed i social erano già maturi, La Generazione Z è assolutamente cosciente dei pro e dei contro dei social media.
Per esprimere la propria creatività possono realizzare indifferentemente attività online o offline. Poi ovviamente pubblicheranno sul web le prove del loro gruppo musicale o il proprio disegno. Facilmente integreranno analogico e digitale per creare qualcosa di ancora diverso.
Perché comunque le app social gli danno una libertà di espressione praticamente infinita.
Ultima nota importante, visto che questo rimane un blog di marketing e la maggior parte delle organizzazioni che realizzano attività di marketing sono aziende for-profit: la Generazione Z ha un potere d’acquisto superiore a quello che hanno avuto in passato i loro pari età.
Una ricerca del 2013 stimava solo negli USA una capacità di spesa di 44 miliardi di dollari. Già quella volta si trattava una delle stime più prudenziali, e sono già passati 6 anni.
Tempus fugit.