Perchè i consumi di vino in Italia continueranno a calare (e di quanto): un’analisi degli ultimi dati ISTAT.

Lo scorso 16 aprile l’ISTAT ha pubblicato la consueta indagine “Uso e abuso di alcol in Italia” relativa ai dati del 2014.

In sintesi l’indagine evidenzia che i consumatori di vino continuano a calare sia come numero assoluto che come penetrazione sul totale della popolazione. Inoltre continua lo spostamento da comportamenti di consumo elevato a quelli di consumo sporadico e si conferma (ovviamente) che i consumatori alto consumanti si concentrano nelle fasce di età più avanzate (“più vecchie” mi pareva brutto, sarà perchè mi ci sto avvicinando.

I dati Istat sono già stati ampiamente ripresi e commentati su numerose testate on line ed off line. Questi i link agli articoli di Carlo Flamini sul “Corriere Vinicolo” e di Marco Baccaglio su “I numeri del Vino”

Io però oggi voglio spremere al meglio i dati ISTAT ed utilizzarli per fare un’analisi previsionale, che ritengo utile e non ho trovato nella letteratura esistente.

Un’analisi di questi tipo prevede di articolare l’esame dei dati e di fare alcune ipotesi per integrare le informazioni mancanti. Vi chiedo quindi un po’ di attenzione per seguire i ragionamenti (niente di difficile comunque: mi limito all’aritmetica elementare delle 4 operazioni + la %).

La mia analisi si basa sulla tavola 24 SEGUE dell’indagine ISTAT, che riporta il numero assoluto di consumatori di vino e birra, suddivisi per classi di età e per modalità di consumo (le tavole sono scaricabili dal sito dell’ISTAT al link di cui sopra e poi metterò il link al file con le mie elaborazioni).

Questo perchè la suddivsione per classi di età permette di fare previsioni nel tempo affidabili, secondo il principio a me caro che i dati demografici descrivono un futuro che è già successo. In parole più semplici, ad esempio, i consumatori che nel 2014 erano nella fascia 45-54 anni saranno sostanzialmente quelli che nel 2024 costituiranno la fascia 55-64 anni  (al netto di mortalità, flussi migratori e cambiamenti di comportamenti di consumo, ed è qui che entrano in gioco le ipotesi).

La combinazione delle fasce di età con le modalità di consumo permette di “pesare” il numero dei consumatori rispetto ai loro consumi pro-capite (ed anche qui bisognerà fare delle ipotesi).

Vado nel concreto evidenziando alcune rilevanti informazioni di base:

- Il totale dei consumatori di BIRRA supera il totale dei consumatori di VINO in tutte le fasce di età 11-15 anni, 16-17 anni, 18-19 anni, 20-24 anni, 25-34 anni, 35-44 anni (se vi sembra strana la presenza di consumatori sotto i 18 anni, ricordate che l’indagine riguarda l’uso e l’abuso di alcol).

- I consumatori quotidiani di BIRRA superano quelli di VINO delle fasce di età 11-15, 16-17, 18-19 e sono molto vicini (168.00 persone vs. 170.000) nella fascia 20-24.

- I consumatori totali di VINO superano quelli di BIRRA in tutte le altre fasce, ossia: 45-54, 55-59, 60-64, 65-74, oltre 75 anni.

- Medesimo ragionamento vale per il confronto VINO-BIRRA nel consumo quotidiano per fasce di età rispetto a quanto evidenziato poco sopra.

- E’ quindi evidente una polarizzazione del consumo di BIRRA nelle fasce di età più giovani e di VINO in quelle più anziane, che già fa capire qualitativamente le tendenze che ci attendono.

- Le modalità di consumo pro-capite di VINO riportate nella tavola sono 3, ma la somma dei consumatori delle 3 modalità non dà il totale. L’arcano mi è stato chiarito dalla dottoressa Bologna dell’ISTAT, che ringrazio per la tempestività della risposta, segnalandomi la tavola non comprende la modalità “consumo solo stagionalmente. Le modalità di consumo di vino quindi di fatto sono 4, le prime tre indicate nelle tavola, mentre la quarta l’ho calcolata io per differenza rispetto al totale.

  • oltre 0,5 litri al giorno,
  • 1-2 bicchieri al giorno,
  • più raramente,
  • solo stagionalmente (calcolata per differenza rispetto al totale).

- L’indicatore “consumo vino solo stagionalmente” che ho calcolato è quindi un indicatore inedito e particolarmente interessante, anche perchè è l’unica modalità di consumo in complessivamente in crescita nel 2014 rispetto al 2013 (sarebbe poi interessante capire qual’è la stagione del consumo del vino e quanto dura. A logica si può suppore che sia la stagione invernale, ma ho la sensazione che sia una realtà su cui le supposizioni rischiano di trasformarsi in cantonate).

A questo punto per creare una base su cui fare le ipotesi di scenario dei consumi a 10 anni sono necessari altri due dati: la stima del numero di consumatori per classi di età e modalità di consumo al 2024 e la stima del consumo annuo pro capite per le diverse modalità di consumo.

Stima del numero di consumatori di vino per classe di età e modalità di consumo al 2024.

Questa stima è relativamente semplice:

- Le attuali classi di età da “25-34″ a “oltre 75″consumatori vengono spostate linearmente in avanti di 10 anni e diventano quindi le classi di età dai “35-44″ a “oltre 85 anni” (segnalo che in base alle tavole ISTAT di mortalità per l’anno 2013 la speranza di vita degli uomini a 75 anni era di 11,25 anni, mentre per quelli di 85 anni era di 5,69 anni).

- Si vengono così a definire tre nuove classi: “70-74″, “75-84″ e “oltre 85″.

- Le classi di età da “11-15″ a “25-34″ sono state ricostruite partendo dalla popolazione residente al 1 gennaio 2014 da 1 a 24 anni ed applicando l’attuale penetrazione di consumo di vino sulla popolazione totale. Questo per tener conto dell’entrata nel consumo del vino con il crescere dell’età.

- La scelta di posizionare la “frontiera” tra la classe “25-34″ è quella “35-44″ è stata fatta in base all’osservazione della penetrazione del consumo del vino per le diverse classi di età, dove tra “20-24″ e “25-34″ si nota un salto dal 40,4% al 52,1%, mentre per la “35-44″ la penetrazione è 54,6%. Una variazione limitata, riconducibile a diversi stili di consumo piuttosto che alla variabile dell’età.

 

Stima del consumo anno procapite per le diverse modalità di consumo.

In questo caso le ipotesi si basano su ragionamenti più arbitrari rispetto alle classi di età.

Innazitutto si è stimato che un bicchiere contiene 0,125 litri (6 bicchieri a bottiglia).

Poi ho fatto un’ipotesi sui consumi pro-capite per le diverse modalità di consumo, che chiamerò “Consumo pro-capite A”, pari a:

- consumo dichiarato “oltre 0,5 litri/giorno: 6 bicchieri/giorno, pari 0,75 l.

- consumo dichiarato “1-2 bicchieri giorno”: 1,8 bicchieri/giorno, pari a 0.23 l.

- consumo dichiarato “più raramente”: 0,86 bicchieri/giorno (6 bicchieri a settimana, ipotizzando consumo prevalente nel fine settimana), pari a 0,11 l

- consumo dichiarato “Consuma solo stagionalmente”: 0.86 bicchieri/giorno, pari a 0,11 l, limitatamente a 6 mesi all’anno.

Utilizzando queste ipotesi di cosnumo pro-capite per le diverse modalità di consumo si può stimare il consumo complessivo moltiplicando i valori di cui sopra per il numero totale di consumatori nelle diverse classi di età/diverse modalità di consumo rilevate dall’ISTAT nel 2014, senza necessità di separare gli uomini dalle donne (questo implica ipotizzare che il consumo di uomini e donne sia il medesimo all’interno della stessa modalità di consumo, o, detto in altro modo, che il consumo pro-capite ipotizzato rappresenti la media ponderata degli uomini e e delle donne compresi nella stessa modalità di consumo).

Dalla moltiplicazione si ottiene un valore del totale dei consumi di vino in Italia per il 2014 pari a 17.332.755 hl.

Si tratta di un valore molto distante dalla stima dei consumi interni italiani per l’anno 2013 fatta dall’OIV pari a 21.700.00 ed ancora più bassa rispetto alla previsione dei consumi interni italiano per il 2014 fatta da Vinexpo a 26.800.000 hl (da notare l’ampia differenza del dato fornito da due fonti, comunque autorevoli, che dimostra la difficoltà nel misurare il fenomeno).

Sia per questa differenza che per l’ampia letteratura che dimostra come le persone tendano a sottostimare i propri comportamenti quando devono rispondere a domande eticamente controverse come il consumo di vino ed alcolici in generale, ho quindi realizzato un’altra ipotesi di consumo procapite, che chiamerò “Consumo procapite B”, modificando i parametri come segue:

- consumo dichiarato “oltre 0,5 litri/giorno: 7 bicchieri/giorno, pari 0,88 l.

- consumo dichiarato “1-2 bicchieri giorno”: 2 bicchieri/giorno, pari a 0.25 l.

- consumo dichiarato “più raramente”: 1.29 bicchieri/giorno (9 bicchieri a settimana, ipotizzando consumo prevalente nel fine settimana), pari a 0,16 l

- consumo dichiarato “Consuma solo stagionalmente”: 1.29 bicchieri/giorno, pari a 0,16 l, limitatamente a 6 mesi all’anno.

Con questa nuova ipotesi il consumo complessivo stimato per l’anno 2014 è pari a 21.794.834 hl, in linea con la stima OIV. Di conseguenza questa è l’ipotesi di consumo pro capite che utilizzerò per stimare i consumi nel 2024.

 

Valutazione delle distorsioni insite nelle ipotesi di base e, soprattutto, della loro direzioni.

Moltiplicando i dati ricavati dalle ipotesi di base sul numero dei consumatori e sul loro consumo pro capite si può stimare il consumo complessivo italiano annuo nel 2024. Questa stima lineare sarà la base per definire degli scenari previsionali.

Prima di entrare nei numeri però è utile evidenziare quali sono le distorsioni che le ipotesi portano alla stima e la loro direzione.

Cominciamo col dire che le ipotesi sono state costruite in modo che il modello SOVRASTIMI i consumi al 2024. Di conseguenza in caso scenari previsionali che prevedano un aumento dei consumi, questo aumento sarà massimo, mentre nel caso in cui gli scenari prevedano un calo, questo calo sarà quello MINIMO.

L’applicazione delle attuali penetrazioni di consumo di vino per le diverse modalità di consumo nelle classi di età da “11-15″ a “25-34″ porta ad una sovrastima perchè le rilevazioni degli ultimi anni rilevano un costante calo di penetrazione di consumo ed uno spostamento dalle modalità di consumo quantitativamente più elevate a quelle più basse.

Il trasferimento lineare nel tempo di 10 anni delle altri classi di età in numero di consumatori e loro distribuzione per modalità di consumo porta ad una sovrastima per due ragioni:

- le rilevazioni degli ultimi anni rilevano un costante spostamento dei consumatori all’interno delle clasi età verso le modalità di consumo più sporadico.

- non considera riduzione di numero dei consumatori (per morte, motivi di salute legai all’età/cambiamento degli stili di consumo).

Questa doppia distorsione si può apprezzare considerando che la previsioni del numero dei consumatori al 2024 applicando le ipotesi descritte prima risulta di superiorie a quello del 2014 di  3.039.000 persone, malgrado il numero di consumatori nelle classi da “11-15″ a “35-44″ cali di 2.300.000 di persone.

Il modello di stima lineare ha un’altra importante caratteristica che va sottolineata: l’utilizzo dei medesimi parametri fa si che le distorsioni insite nelle ipotesi di base si trasferiscano dalla stima dei consumi italiani complessivi nel 2014 a quella nel 2024 come delle costanti.

Di conseguenza non vanno ad influenzare l’entità delle differenze che si calcolano confrontando i consumi complessivi al 2024 derivati dall’applicazione dei diversi scenari alla stima lineare con la stima di consumi complessivi al 2014.

In questo senso la stima lineare costituisec una base solida e chiara nelle sue caratteristiche su cui applicare le diverse ipotesi di scenario, che saranno le uniche responsabili delle variazioni.

Questo permette sia di ragionare con più trasparenza sugli scenari che si andranno ad ipotizzare e di mantenere la direzione SOVRASTIMANTE del modello, di cui si dovrà tener conto qualitativamente nell’analisi dei risultati previsionali.

Ecco i motivi per cui si è scelto di non inserire correttivi alla stima lineare.

 

Gli scenari previsionali e le stime di consumo di vino in Italia nel 2024.

La stima lineare di consumo complessivo di vino in Italia nel 2024 che si ottiene applicando l’ipotesi di “consumo pro-capite B” alla stima del numero di consumatori descritta in precedenza è pari a 23.765.100 hl, a dimostrazione della tendenza sovrastimante del modello.

Rispetto a questa stima lineare ho applicato 3 diversi scenari:

Scenario 1:

-10% nella classe di età “65-69″

- 15% nella classe di età “70-74″

- 20% nella classe di età “75-84″

- 30% nella classe di età “oltre 85 anni”

 

Scenario 2:

-10% nella classe di età “65-69″

- 15% nella classe di età “70-74″

- 30% nella classe di età “75-84″

- 40% nella classe di età “oltre 85 anni”

 

Scenario 3:

-15% nella classe di età “65-69″

- 20% nella classe di età “70-74″

- 40% nella classe di età “75-84″

- 50% nella classe di età “oltre 85 anni”

 

La previsione dei consumi complessivi in Italia nel 2024 in base ai 3 scenari sono le seguenti:

- Scenario 1: 21.650.559 hl, pari a - 144.276 hl.

- Scenario 2: 20.996.834 hl, pari a - 798.00 hl

- Scenario 3: 20.136.775 hl, pari a - 1.658.059 hl

Ricordo una volta di più che il modello tende a sovrastimare i consumi al 2024, quindi a SOTTOSTIMARE la perdita, soprattutto considerando che gli scenari ipotizzati intervengono solo nelle classi di età da “65-69″ in avanti.

La perdita stimata è quindi largamente MINIMA.

Sottolineo poi che si tratta della perdita puntuale della stima dei consumi nel 2024 confrontata con la stima dei cosumi nel 2014, quindi anno su anno. Non della perdita cumulata che si verificherebbe nel decennio, ma mano che le ipotesi descritte sopra andranno  a verificarsi.

Perchè trattandosi di ipotesi demografiche, ANDRANNO  a verificarsi, nel senso che i bambini da 1 a 14 anni residenti in Italia sono già nati (concedetemi in quest analisi di aver tralasciare i flussi migratori) ed i 35 – 44 enni invecchieranno. Ahimè non è un’ipotesi.

A questo punto ci vorrebbe il paragrafo delle conclusioni e delle raccomandazioni sulle azioni da intraprendere per invertire questa tendenza (di consumo, non demografica; che su quella c’è poco da fare). Però io sono stanco e voi lettori credo che pure.

Vi lascio digerire l’analisi e torno con le conclusioni e raccomandazioni la prossima settimana. Così magari qualcuno mi segnalerà delle sviste nei numeri che cambiano tutto e rendono lo scenario più roseo.

Perchè adesso come adesso la perdita prevista dal mio scenario 2 supera le esportazioni italiane del 2014 verso il Canada (4° mercato di esportazione del vino italiano a volume) e quella dello scenario 3 supera le esportazioni verso Canada+Svizzera+Giappone+Danimarca (rispettivamente 4°, 5°, 6° e 7° mercato di esportazione del vino italiano nel 2014).

Questo il link alle tavole dello studio ISTAT:  l’uso e l’abuso di alcol in italia 2014 – ISTAT

(La gran parte) dei dati utilizzati per questa mia analisi e l’analisi stessa la trovate nelle tavole “tavola 24″ “tavola 24 segue” e “stima consumi 2014 ip 2″.

Buonanotte.

Le conseguenza della crisi economica: occupazione e disoccupazione in Italia – 1.

Confesso che questo post continuavo a rimandarlo perchè l’argomento contiene in sè una dose di tragedia che rende difficile e cinico trattarlo con la necessaria astrattezza.

Però mi è sembrata la naturale conclusione della serie di considerazioni sulle conseguenze della crisi economica, visto che il calo dei consumi in un economia consumistica non può che portare ad un calo dell’occupazione. Quindi, per una (strana) forma di onestà intellettuale mi sembrava scorretto sottrarmi a questo post.

C’è poi un altro motivo che mi ha portato a riflettere sull’argomento: se c’è una questione per cui si arriverà a cercare e formulare il nuovo paradigma economico di cui si parla del 2008, questa è quella del lavoro.

Riguardo alla vergogna di dire delle stupidaggini su un tema cruciale per la vita di tante persone, ho quanto meno la tranquillità che non potrò far peggio dei docenti di Harvard teorici della regola che un debito oltre al 90% del PIL frena la crescita delle nazioni: uno studente di dottorato ha dimostrato che il loro studio si basa su dati lacunosi e sbagliati per gli errori nel definire l’intervallo delle celle in alcune somme del foglio excel utilizzato nei calcoli (chiedo scusa se i riferimenti sono in spagnolo, ma ovviamente la stampa italiana era troppo occupata a tessere le lodi dell’abilità negoziatoria che ha permesso di formare il governo più golpista della storia repubblicana per occuparsi di notizie così marginali).

Comincio allora dai freddi numeri, cercando di fare attenzione.

Secondo quando riportato dallo studio dell’Istat sulle serie storiche di occupati e disoccupati in Italia dal 1977 al 2012 durante questi 35 anni:
- il numero medio degli occupati annui è cresciuto di oltre 3 milioni (da 19.551.000 a 22.899.000).
- il tasso di occupazione era del 54,6% nel 1977, ha raggiunto il minimo del 52,5% nel 1995, il massimo con il 58,7% nel 2008 ed era del 56,8% nel 2012.
- il numero dei disoccupati è cresciuto nel periodo di circa 1,5 milioni di persone (non è in contrasto con l’aumento degli occupati, perchè dipende dal numero di persone in cerca di lavoro) da 1.340.000 nel 1977 a 2.744.000 nel 2012.
- il tasso di disoccupazione (misurato sul totale della forza lavoro e non della popolazione) era del 6,4% nel 1977, ha raggiunto il massimo nel 1998 con 11,3%, il minimo nel 2007 con il 6,1% ed era del 10,7% nel 2012.
- il numero della popolazione inattiva tra i 15 ed i 64 anni è diminuito di circa 600.000 persone, passando da 15.000.000 a 14.386.000. Questo è il risultato di due tendenze contrapposte: aumento degli uomini inattivi e calo delle donne inattive.
- la % di lavoratori dipendenti è cresciuta dal 68,8% al 75,2%, fenomeno interamente riconducibile al lavoro dipendente femminile aumentato dal 66,9% all’81,7%, mentre per gli uomini l’aumento è inferiore all’1%.
- in termini territoriali il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 5,8% al 7,4% al Nord, dal 5,5% al 9,5% al Centro e dall’8% al 17,2% al Sud (dato prevedibile ma non per questo meno grave).
- la disoccupazione giovanile a livello nazionale è cresciuta dal 21,7% al 35,3% (tra l’83 e l’87 oscillava comunque intorno al 32%-34%). Anche qui grandi le differenze territoriali con il dato 2012 che vede il 26,6% al Nord, 34,7% al Centro ed il 46,9% al Sud.

Questi quindi i trend di lungo periodo, quali quelli a breve?

Il dato più aggiornato disponibile è quello relativo al IV trimestre 2012, confrontato con lo stesso periodo dell’anno precedente.

Riporto integralmente dal dosumento dell’Istat

Il mercato del lavoro nel IV trimestre 2012 (dati grezzi)
- Nel quarto trimestre 2012 il numero degli occupati (dati grezzi) diminuisce di 148.000 unità rispetto a un anno prima. Il risultato sintetizza il nuovo andamento negativo dell’occupazione maschile (-196.000 unità), a fronte del moderato incremento di quella femminile (+48.000 unità). Peraltro, al persistente calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni si contrappone l’aumento di quelli con almeno 50 anni.
- La riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-246.000 unità) si accompagna alla crescita di quella straniera (98.000 unità). In confronto al quarto trimestre 2011, tuttavia, il tasso di occupazione degli italiani segnala una riduzione di 0,3 punti percentuali e quello degli stranieri di 0,9 punti percentuali.
- Nell’industria in senso stretto si accentua la flessione avviatasi nel primo trimestre 2012, con un calo tendenziale del 2,5% (-117.000 unità), concentrato nelle imprese di media dimensione. Continua la riduzione degli occupati nelle costruzioni (-4,6%, pari a -81.000 unità). Il terziario continua a mostrare una crescita dell’occupazione (+0,5%, pari a +76.000 unità), dovuta all’aumento delle posizioni lavorative sia dipendenti sia autonome.
- L’occupazione a tempo pieno continua a diminuire (-2,3%, pari a -441.000 unità), soprattutto tra i dipendenti a carattere permanente. Gli occupati a tempo parziale aumentano ancora in misura sostenuta (+7,9%, pari a 293.000 unità), ma si tratta nella quasi totalità dei casi di part-time involontario.
- Si arresta la crescita dei dipendenti a termine, cui si accompagna la diminuzione dei collaboratori (-4,8%, pari a -20.000 unità rispetto a un anno prima).
- Il numero dei disoccupati manifesta un ulteriore forte aumento su base tendenziale (+23,0%, pari a 559.000 unità). L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa entrambe le componenti di genere e in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita è dovuta in un caso su due a quanti hanno perso la precedente occupazione.
- Il tasso di disoccupazione trimestrale (dati grezzi) è pari all’11,6%, in crescita di 2,0 punti percentuali rispetto a un anno prima; per gli uomini l’indicatore passa dall’8,7% del quarto trimestre 2011 all’attuale 10,7% e per le donne dal 10,8% al 12,8%. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 39,0% (6,4 punti percentuali in più nel raffronto tendenziale), con un picco del 56,1% per le giovani donne del Mezzogiorno.
- Si riduce la popolazione inattiva (-3,2%, pari a -465.000 unità), principalmente a motivo della discesa di quanti non cercano e non sono disponibili a lavorare. All’aumentata partecipazione delle donne e dei giovani si accompagna la riduzione degli inattivi tra 55 e 64 anni, presumibilmente rimasti nell’occupazione a seguito dei maggiori vincoli introdotti per l’accesso alla pensione.

Integro il “cibo per la mente” con alcune citazioni:
da “L’Internazionale” del 22 marzo 2013 l’estratto di un discorso di Enrico Berlinguer (il fatto che fosse per storia e cultura uomo di apparato e lo ritenga il legittimatore della partitocrazia, non significa che tutto quello che ha detto fosse sbagliato)
“L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi.

Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata. (…)

L’austerità, a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione, può essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della società, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola, come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate”.

Enrico Berlinguer, 15 gennaio 1977. Conclusioni al convegno degli intellettuali, teatro Eliseo di Roma.

Gianroberto Casaleggio: “La vita non è lavorare 40 ore alla settimana in un ufficio per 45 anni. Stavano meglio gli irochesi e i boscimani che dovevano lavorare un’ora al giorno per nutrirsi.”

Elsa Fornero, quando era Ministro del lavoro e delle politiche sociali: «Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro lavori. L’attitudine della gente deve cambiare. Il lavoro non è un diritto; dev’essere guadagnato, anche con il sacrificio»

Le conseguenze della crisi economica: l’evoluzione dei canali distributivi in Italia – 1.

Continuo la serie delle conseguenze della crisi economica. Come buona norma, partiamo dai freddi numeri.

Secondo la rilevazione ISTAT a dicembre 2012 delle vendite del commercio al dettaglio lo scorso anno le vendite al dettaglio a prezzi correnti (quelli pagati dai consumatori in sostanza) sono diminuite del -2,2% con un -0,9% per la GDO ed un -3,1% per le piccole superfici. L’alimentare è calato del -0,8% ed il non alimentare del -2,8%.
In termini di canali gli ipermercati hanno fatto -1,6%, i supermercati +0,1%, i discount alimentari +1,6%, i grandi magazzini -2,5% (tecnicamente la categoria è “imprese non specializzate a prevalenza non alimentare”), i category killer -1% (tecnicamente “imprese specializzate”). Questa è la sintesi, consiglio comunque di guardare il flash ISTAT linkato per una visione più completa.

Questi numeri mi hanno ricordato il 2007 quando in Stock analizzando i dati Nielsen sulle vendite della GDO si evidenziava un calo degli ipermercati, una tenuta dei supermercati, la crescita dei superstore (tipologia di punto vendita introdotta in Italia sostanzialmente da Esselunga, con una metratura tra i 1.500 ed i 3.500 m2, che quindi nella rilevazione ISTAT può ricadere o nei super o negli iper) e la crescita del discount.

Uno scenario non molto diverso da quello attuale, a conferma che la crisi economica sta soprattutto intensificando tendenze che erano già in atto, legate ad altri fattori. Quali?

Secondo me il calo dell’iper è dovuto al fatto che è diventato un formato di negozio troppo faticoso. E’ faticoso da raggiungere, è faticoso farci la spesa dentro perchè troppo dispersivo, è faticoso gestire una famiglia in un ambiente così grande ed è faticoso, a causa dell’ampiezza dell’offerta, controllare la spesa complessiva, anche se i prezzi sono/fossero mediamente più convenienti rispetto ad altri formati.
Visto in termini più “sociologici”, l’iper è un formato che si basa sul concetto di “andiamo a passare il pomeriggio al centro commerciale” e quando per l’evoluzione socio-demografica questo concetto diventa spesso un incubo, l’iper entra in crisi. Non voglio dilungarmi troppo in approfondimenti e spiegazioni, ricordo solo che una delle cose che caratterizzano le società occidentali e la carestia di tempo.

Il supermercato viceversa è diventato il punto vendita di prossimità sia in termini fisici che di “esperienza di acquisto (semplicità degli assortimenti, conoscenza del personale, ecc…) , sostituendo in questo i negozi tradizionali che sono andati via via sparendo. In più ha intensificato la convenienza di prezzo con lo strumento delle promozioni, strumento che ha acquistato più forza in seguito alla banalizzazione delle marche e quindi alla parcezione da parte del consumatore di una determinata categoria di prodotto come sostanzialmente omogenea. In altre parole ogni settimana il consumatore può trovare una merendina, un prosciutto, un vino, un olio, ecc. in offerta.

Il discount abbandona la marca (quello italiano non del tutto) per spingere al massimo sul convenienza, grazie anche ad un assortimento ridotto (che significa anche semplicità) ed una praticità della localizzaizone dei punti vendita simile al supermercato.

In questa situazione, che ripeto esisteva già nel 2007, si inserisce la crisi economica e la risposta praticamente di tutte le catene distributive e di tutti i formati è quella di puntare esclusivamente sulla convenienza, con i deludenti risultati che abbiamo visto.

La ragione di questo insuccesso si potrebbe ricondurre alla perdita di senso di cui parlavo in questo blog nel 2008 analizzando le strategie dei produttori.

Secondo me però c’è qualcosa di più profondo ed è il fallimento della visione aziendale guidata dalla finanza e sostenuta dalle vendite che ha caratterizzato le aziende negli ultimi 5-10 anni.

Ne ho già parlato nel 2010 in una serie di post inziata a settembre e terminata ad ottobre, però nel nuovo scenario attuale vale la pena di approfondire.

Oggi ho pubblicato un post che aveva nel titolo il termine autismo. Prima di usarlo ho fatto un brevissimo approfondimento su wikipedia per essere sicuro che fosse attinente. con tutto il dovuto rispetto per chi veramente soffre della malattia, ragionando in senso lato in ambito socio-economico mi ha colpito la descrizione di due sintomi: l’ecolalia, ossia la ripetizione di parole, suoni o frasi sentite dire, senza che queste si trasformino in apprendimento da utilizzare in modo costruttivo in situazioni diverse da quelle in cui sono state generate, e la marcata resistenza al cambiamento, consegfuenza dell’importanza per l’ordine.

Ecco, sempre senza voler mancare di rispetto a chi è malato, credo che per descrivere spiegare l’incapacità di rispondere all’attuale afasia economica (termine rubato ad un amico) sia necessario andare oltre al concetto già noto di “miopia di marketing” e conio il termine di “autismo di marketing”.

Rispetto al tema questo post non è nemmeno a metà, però è già tardi ed è il secondo in un giorno. La mente si sta sfuocando e quindi rimando ad una prossima puntata. Non garantisco quando, perchè il prossimo fine settimana c’è il Vinitaly. salute!

Le conseguenze della crisi economica: il calo dei consumi in Italia.

Se la settimana scorso il rischio di dire banalità era alto, con il titolo di oggi diventa una sicurezza. Se non altro, come dico da molti anni e sicuramente avrò già scritto in qualche post, le banalità hanno il pregio avere un gran fondamento di verità.

La prima, vera, banalità l’ha detta mio papà mercoledì sera a cena. Quando al telegiornale hanno riportato la notizia che in base all’indicatore di Confcommercio il calo dei consumi di gennaio porta i consumi al livello del 2004, il suo commento è stato “Perchè nel 2004 stavamo male?”. Ovvio che si tratta del commento di una persona anziana (quest’anno saranno 84) che confronta la situazione di oggi in una prospettiva quasi storica, probabilmente considerando più o meno consciamente è cresciuto in una casa dove non c’era praticamente niente di quello che ha oggi (telegono, televisore, lavatrice, riscaldamento, divani e poltrone, ecc..). Attenzione per i più giovani: non è che la sua fosse una famiglia povera, era una famiglia normale. Anzi abitando in città aveva più comodità di chi, la maggioranaza della popolazione, viveva in campagna.

Oppure più banalmente considera che stava meglio quando aveva solo 74 anni.

Ad ogni modo è una percezione probabilmente condivisa da un discreto numero di persone, considerando che gli italiani con più di 65 anni sono il 20,8%..

Al di là delle percezioni, quali sono i fatti?
L’indicatore Confcommercio a gennaio 2013 rileva consumi in calo a valore del 2,4% rispetto allo stesso mese dell’anno prima. Dato che porta la media mobile a tre mesi dei consumi allo stesso livello del 2004 (tecnicamente una cosa un po’ diversa da dire “i consumi sono tornati al livello del 2004″, ma la sostanza del discorso non cambia).
Disaggregando, i servizi hanno fatto -3,7% ed i beni hanno fatto -2%. Beni e servizi per la mobilità hanno fatto segnare -10,1%, alimentari-bevande-tabacchi -3,9%, abbigliamento e calzature -3,9%. In positivo, come già successo nel 2012, solamente i beni e servizi legati alle telecomunicazioni che hanno segnato un +5,7% sul gennaio 2012.

Un paio di banali considerazioni. Quante macchine ci possono stare ancora sulle strade italiane (perchè nei garages non c’è più posto già da tempo)? Nel 2010 (ultimo dato disponibile) in Italia c’erano 61 auto immatricolate ogni 100 abitanti, record europeo. Crisi economica o meno forse si poteva prevedere che il parco automobilistico italiano si sta avvicinando al livello di saturazione e quindi il mercato si sarebbe bloccato. Leggete questo articiolo sulla crisi del mercato dell’auto ed i relativi commenti, un esempio perfetto di miopia di marketing da parte degli operatori del mercato dell’auto. Come dice Bisio i politici sono espresione del Paese e quindi lo scollamento con dalla realtà riguarda ahimè tutte le classi dirigenti, non solo quella politica.
Evito il cerchiobottismo di citare i benefici relativi alla diminuzione dell’inquinamento, perchè non ho trovato dati chiari di correlazione, ma chi vuole farsi un’idea può guardarsi questo rapporto dell’OMS aggiornato al 2010.

Riguardo ai dati su alimentari-bevande-tabacchi, la categoria mi sembra un po’ troppo eterogenea ed allora faccio riferimento ad alcuni dati riportati nel numero di febbraio della rivista GDO Week:
- secondo i dati Istat la vendita di alimentari in valore nei primi 11 mesi del 2012 è calata dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il discount però è cresciuto dell’1,6%. Di conseguenza il trende delle vendite a volume è migliore, però non ci sono dati quindi può essere calato meno, rimasto costante o, addirittura cresciuto.
- sempre da fonte Istat il dato che il peso medio degli italiani sta scendendo e nell’ultimo triennio il numero delle persone sovrappeso è calata dell0 0,5%. Effetto del fatto che si mangia meno e si cammina/pedala di più? E questi comportamenti quanto sono effetto della crisi e quanto di cambiamenti di stili di vita, anche per maggiore informazione sui mezzi di comunicazione come questi recenti esempi su Corriere e Gazzetta? Oppure anche in questo caso è una conseguenza degli andamenti demografici?
- secondo una ricerca SWG la metà dei consumatori italiani ha messo in atto strategie per ridurre gli sprechi, ma o nono sono abbastanza oppure non sono abbastanza bravi se si crede alle stime del Barilla Center secondo cui le famiglie italiane buttano il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane ed il 16% della frutta e verdura. E’ evidente che se riduco gli sprechi spendo meno senza consumare meno.
- secondo i dati di SymphonyIRI Group nel canale super-iper-discount sono in crescita farina, uova, burro, fette biscottate, caffè, miele, confetture. Un riscontro oggettivo delle ricerche che indicano un ritorno in cucina rispetto al passato (a furia di guardare gente che cusina in televisione e comprare milioni di libri di ricette…). Questa tendenza ha portato anche ad un aumento degli elettrodomestici da cucina, necessaria quegli 11 milioni di italiani che si preparano in casa regolarmente pane, yougurt, gelati, gelati, conserve, biscotti e dolci. Conseguenza della crisi economica o della voglia/ricerca di genuinità/sicurezza/relax/creatività? Attenzione che cucinare di più è anche un modo per ridurre gli sprechi. Emblematica questa ricetta di marmellata di bucce d’arancia di una vecchia amica ricercatrice diventata food blogger. E’ evidente che se compro gli ingredienti e cucino io la torta spendo meno rispetto a comprarla già fatta, senza ridurra i consumi.
- cucinare di più e sprecare di meno sono alla base anche del crescente numero di persone (pare che occasionalmente siano 7,7 milioni e regolarmente 3,7 milioni) che al lavoro mangiano un pranzo portato da casa. Anche qui quanto è l’effetto della crisi e quanto voler sapere cosa si mangia? Per tornare poi al post della settimana scorsa, il fatto di pranzare potendo scegliere ogni giorno tra 3 primi, 3 secondi, frutta e dolce è un lusso che ho sempre apprezzato come tale.

In conclusione mi sono reso conto che più o meno questi discorsi li avevo fatti già postati nel 2008 in due post intitolati “Sviluppo(?) sostenibile(!)” (li trovate qui e qui).

Questo conferma due cose:
- che probabilmente la crisi è strutturale perchè gli stessi fenomeni sono ancora in corso 5 anni dopo.
- che probabilmente i cambiamenti strutturali sono appena iniziati e non saranno nè facili nè semplici.
- che diventando vecchio mi ripeto.

Dopo i consumi, la prossima settimana analisi sugli effetti della crisi sulla produzione (e quindi sull’occupazione).

percezione più diffusa sembra comunque essere quella di insoddisfazione