Su “Il mio vino” di oggi è uscito il mio articolo sul concetto di terroir. Benchè sia, ovviamente, focalizzato sul settore vitivinicolo molte considerazioni valgono per i prodotti a denominazione d’origine in generale.
Qui sotto trovate il pezzo in versione integrale, senza i tagli necessari per farlo rientrare negli spazi del giornale (niente di criciale, però probabilmente così scorre un po’ più fluido). Qualche piccolo privilegio per i lettori di biscomarketing.
Ul lato negativo è che, essendo l’articolo già uscito, non ha senso pubblicarlo qui in due puntate, come la lunghezza e densità dell’argomento avrebbe consigliato. Comunque niente vi impedisce di leggerlo a pezzi, anche perchè sabato parto per la Cina e quindi forse il blog avrà una pausa più lunga del solito.
Il mio professore di marketing management in Canada diceva che un problema mal risolto è un problema mal definito almeno nel 50% dei casi. Alla luce dell’esperienza di quasi vent’anni di professione in diverse aziende del settore agro-alimentare mi sento di dire che se sbagliava, forse era nella percentuale che secondo me è ancora più alta.
Ecco perché sono un convinto assertore della necessità di definire chiaramente i termini delle questioni che si presentano nella pratica della gestione aziendale. La chiarezza deriva innanzitutto dalla condivisione del significato delle parole da parte di tutte le persone coinvolte, perché questa è la precondizione per sviluppare poi soluzioni il più possibile efficienti nell’uso delle risorse ed efficaci nel raggiungimento dei risultati. Viceversa si rischia di definire percorsi che portano in luoghi diversi da quelli previsti (i risultati) o ci arrivano con percorsi più lunghi/tortuosi e quindi costosi di quelli che si sarebbero tracciati con una più corretta comprensione del problema.
Per fugare ogni dubbio che si tratti di un discorso un po’ troppo teorico e fumoso aziendale, vorrei utilizzare l’esempio della terminologia nautica, la cui conoscenza precisa da parte di tutti quelli che sono sulla barca è essenziale per navigare in sicurezza secondo la rotta stabilita.
Operando nel settore vitivinicolo confesso che mi sento sempre un po’ in “pericolo” quando si affrontano questioni legate al concetto di terroir.
Io ho iniziato ad occuparmi di terroir nel 1992, che è stato l’anno di promulgazione dei primi regolamenti UE sui prodotti alimentari DOP ed IGP da cui è derivato il modello utilizzato poi recentemente anche dall’OCM vino. Al tempo stavo facendo il dottorato in Università ed ero tra i componenti di un gruppo di ricerca pan-europeo guidato, ovviamente, da ricercatori francesi.
Il concetto di terroir che ho imparato quella volta dalla cultura che l’ha creato, corrisponde sostanzialmente con quello che si può trovare sull’edizione francese di Wikipedia (la libera traduzione e mia e mi scuso in anticipo per le eventuali imprecisioni): il terroir è uno spazio geografico delimitato, definito a partire di una comunità umana che nel corso della propria storia ha costruito un insieme di tratti culturali distintivi, di saperi e di pratiche. fondati sull’interazione tra l’ambiente naturale ed i fattori umani. Il saper fare così sviluppato rivela una originalità, conferisce una tipicità e permette di riconoscere i prodotti o servizi originari di quel determinato spazio e dunque provenienti dalle persone che lì vivono. I terroirs sono degli spazi viventi ed innovatori che non possono essere assimilati alla sola tradizione.
Detto in altre parole un terroir è il risultato della combinazione con cui si sono sviluppati nel corso della storia di elementi geoclimatici e socioeconomici presenti in una determinata zona
Sempre Wikipedia francese sottolinea come spazi con potenzialità e limiti fisici uguali (o simili) diano luogo a terroir diversi, a seconda delle civiltà che ci si sono insediate, sottolineando così il ruolo qualificante della dimensione culturale del terroir.
Se riferendosi ai francesi è tutto chiaro, le cose cambiano per la definizione di terroir data dalla versione di Wikipedia italiana: Il terroir può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un prodotto specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità. Il terroir definisce anche l’interazione tra più fattori, come terreno, disposizione, clima, viti, viticoltori e consumatori del prodotto. Il terreno, la sua composizione geologica, le varie erosioni intervenute per fattori chimici, fisici e biologici, i microrganismi, la macrofauna, la concimazione minerale in aggiunta alla concimazione organica, la topografia del terreno con i diversi approvvigionamenti idrici, i diversi tipi di clima e di conseguenza le diverse temperature, ventilazioni, esposizioni solari ed umidità, fanno si che un vitigno, impiantato in diversi terroir possa produrre uve con caratteristiche diverse e di conseguenza vini molto differenti tra loro nella struttura e negli aromi. Con terroir, quindi, si intende un concetto molto vasto che riassume tutti i criteri che contribuiscono alla tipicità di un vino.
Si nota infatti come la componente socioeconomica sia considerata in modo estremamente sfumato, citando viticoltori e consumatori, a cui si contrappone una caratterizzazione delle uve e del vino legata esclusivamente agli aspetti pedoclimatici. In realtà questa definizione si riferisce più ad un territorio che ad un terroir. Colpisce anche che il concetto di terroir sia implicitamente riferito esclusivamente al vino.
A questo punto conviene allora vedere cosa intende per terroir vitivinicolo l’O.I.V. (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino con sede, si badi bene, a Parigi. La definizione ufficiale di terroir vitivinicolo adottata nel 2010 recita: il terroir vitivinicolo è un concetto che si riferisce ad uno spazio (geografico) sul quale si è sviluppato un sapere collettivo dall’interazione tra un ambiente fisico e biologico identificabile e le pratiche vitivinicole applicate, fino a conferire delle caratteristiche distintive ai prodotti originari di quel determinato spazio (geografico).
In questa definizione gli aspetti socioeconomici hanno un peso maggiore, però sono considerati in un’ottica sostanzialmente statica per cui le pratiche vitivinicole si fossilizzano nelle forme raggiunte attraverso il processo storico di apprendimento e consolidamento. Diventa così impossibile trovare quell’equilibrio tra storia ed innovazione che permette alla tradizione di evolversi per non tradire se stessa.
Concludendo questa lunga premessa teorica credo sia giusto ricordare che dell’ambiente socio-economico fanno parte anche i consumatori, o co-produttori come direbbe Petrini, attraverso l’adozione e diffusione dei prodotti provenienti da un determinato terroir. Se già in passato ci sono esempi di separazione geografica tra il terroir di produzione ed i suoi consumatori (come sarebbe evoluto il terroir Bordeaux senza il mercato inglese?), oggigiorno questo è la norma più che l’eccezione. Confrontarsi con un’eterogeneità di consumatori, appartenenti a culture diverse, richiede da parte delle componenti produttive del sistema del terroir una particolare attenzione alla propria identità essenziale.
Fin qui solo teorica, ma in pratica? In pratica una interpretazione del concetto di terroir chiara e condivisa da tutti gli operatori è indispensabile per gestire con successo le Denominazioni d’Origine.
L’esempio dell’importanza del ruolo delle componenti socio-economiche nella definizione e nel successo di un terroir appare evidente nel caso della Franciacorta.
Si tratta infatti di uno spazio geografico senza tradizione vitivinicola, che nell’arco di 50/40 anni è diventato per tutti il terroir di eccellenza delle bollicine italiane. Eppure, pur non essendo un esperto in agronomia ed ampelografia, dubito si possa dire che dal punto di vista pedoclimatico presenti delle condizioni migliori e più omogenee rispetto a zone di maggior tradizione come, ad esempio, Asti, Trentino o L’Oltrepo Pavese.
Quello che ha permesso al Franciacorta di diventare il successo che è oggi è stata l’interpretazione originale, direi pure la scoperta, di una specifica visione dell’enologia applicata ad un determinato territorio.
Ancora più interessante notare come in Franciacorta questa interpretazione del territorio sia partita da alcune cantine e si sia poi diffusa tra i nuovi produttori che man mano entravano ad operare nella zona, che consolidavano così quella cultura vitivinicola su cui si basa la creazione del terroir.
E un fenomeno unico nella realtà italiana dove normalmente ad una denominazione forte corrispondono marchi aziendali deboli e viceversa. In Franciacorta invece la coesione dei produttori nell’adottare un’interpretazione omogenea del territorio determina una sinergia in cui il riferimento delle cantine di eccellenza ricade su tutto il territorio, stimolando comportamenti di emulazione, più che di imitazione, in un circolo virtuoso che rafforza ulteriore la cultura, l’identità e quindi l’immagine del terroir.
In sintesi nell’eccellenza che sta alla base del successo del Franciacorta il fattore umano gioca un ruolo almeno altrettanto determinante dei fattori pedoclimatici (se non di più). Tralasciare questa componente nella gestione di una denominazione comporta sicuramente un indebolimento dell’identità che impedisce al terroir nel suo complesso di mantenersi dinamico ed allo stesso tempo coerente con la propria storia.
La conseguenza è oscillare tra i due estremi della fossilizzazione in una tradizione fine a se stessa o l’inseguimento di consumi congiunturali attraverso scelte che rischiano di disperdere in pochi anni una reputazione costruita nel corso di decenni, quando non di secoli.