La tonnara del social media marketing.

La scorsa settimana esprimevo i miei dubbi sul fatto che la comunicazione sui social media creasse più coinvolgimento di quella classica, concludendo però con la certezza che i social media diano migliori risultati per portare le persone direttamente a comprare qualcosa on-line.

Questo sostanzialmente perché da un post su un social media si può passare direttamente ad un e-shop, cosa impossibile con la pubblicità sui media classici.

Tra il dire (il principio generale di cui sopra) ed il fare (concludere la vendita), c’è in mezzo un affascinante mare di attività che riportano il termine “marketing” all’essenza più cruda del verbo “to market” (ossia vendere) da cui deriva.

Cose che più o meno intravedevo o intuivo, ma che non avrei potuto conoscere con precisione vista la mia età se non grazie a Pier Luca Santoro (sempre lui) ed al post “The Strange Brands in Your Instagram Feed” che ha condiviso all’interno di un gruppo facebook di cui faccio parte (così adesso sapete che potete smettere di leggere biscomarketing e seguire invece Pier Luca nelle sue molteplici presenze ed attività on e off line).

Consiglio vivamente a tutti di leggere il post originale, ma per i più pigri e/o per chi non ha dimestichezza con l’inglese ne faccio una sintesi ragionata e commentata. 

Tutto comincia quando l’autore si imbatte su Instagram in una pubblicità per un cappotto proprio del colore che cercava lui e molto economico. Lo compra, il cappotto arriva dalla Cina e la sua qualità (colore a parte) è tanto bassa quanto era basso il prezzo.

Di lì fa un po’ di ricerche sul web e scopre che lo stesso cappotto è venduto da diversi negozi on line che usano tutti la piattaforma Shopify.

Le nuove frontiere della vendita al dettaglio sono spiegate in una serie di video su Youtube da Rory Ganon, in cui racconta la sua sfida di creare un negozio on line da 0 e portarlo a 1.000 $ di fatturato in una settimana. Rory Ganon è un imprenditore diciasettenne che vive in una cittadina alla periferia di Dublino.

La prima cosa da fare è definire un target e questa è stata la cosa per me più affascinante perché quando insegno marketing suggerisco sempre di individuare il proprio target in base ai vantaggi (benefit) che le persone ricercano nella fruizione dei servizi contenuti nel prodotto. Poi da li ricondurlo alle caratteristiche socio-demografiche necessarie per poterlo raggiungere con la comunicazione.

E’ quello che fa anche Rory, ma portandolo all’estremo: lui ha scelto come target i leoni. In un primo momento ho pensato che si trattasse del nome dato da un istituto di ricerca ad un profilo psicografico (chi tra i miei vecchi lettori si ricorda dei “Delfini” della mappa Sinottica di Eurisko negli anni ’90?).

Invece Rory intende proprio i leoni in quanto animali, ossia il suo target saranno quelli a cui piacciono i leoni. Benefit semplice, preciso e quindi efficace per definizione.

Ha fatto dei grandi ragionamenti per scegliere i leoni? Non sembra, invece è entrato in Audience Insight di facebook (per farlo dovete avere un account pubblicitario su facebook) ed ha visto che scrivendo “lions” ci sono da 5 a 6 milioni di persone attive al mese nel mondo. Se poi si aggiunge “wildlife” l’audience cresce a 10-15 milioni di persone attive al mese.

Come insegnano i manuali di marketing un’audience (o target se preferite) per essere rilevante deve essere “azionabile”, ossia poter essere raggiunta, avere la volontà e la capacità di spendere, ecc… Ma un’audience sul web è azionabile per definizione perché, come spiega Rory nei suoi video:

1: ci sono influencer in Instagram a cui posso collegarmi.

2: si possono sviluppare le vendite attraverso pubblicità su facebook.

Altre ragioni non servono.

Prima però Rory deve aprire il suo negozio, non è molto difficile (per un diciassettenne, per me sarebbe molto complicato) va su Shopify ed apre “Lions Jewels”.

Per l’assortimento invece va su AliExpress, un’azienda del sito cinese Alibaba, e tramite una app collegata direttamente a Shopify (anni fa qualcuno mi ha detto “c’è una app per tutto” e già gli ho creduto quella volta, figuriamoci oggi) cerca degli oggetti legati ai leoni tra i negozi presenti su AliExpress.

I negozi possono essere sia di produttori che vendono quello che producono o semplici rivenditori, magari che comprano anche loro su AliExpress dai primi, non ha importanza. L’importante è che forniscano anche il servizio di spedizione e consegna al cliente finale, così Rory non deve gestire né magazzino né logistica. Qui un link interessante che apre una finestra nel mondo del dropshipping

A questo punto Rory ha il suo negozio con il suo assortimento e può cominciare la sua strategia di comunicazione rivolta a quelli a cui piacciono i leoni.

Apre l’account Lions Jewels su Instagram pubblicando un po’ di foto ed inserendo un link al suo negozio on line.

Poi fa un minimo investimento pubblicitario su un account che pubblica foto di natura e così attraverso il suo account Instagram porta alcune centinaia di persone sul suo negozio on line. Chi arriva nel negozio trova l’offerta per un ricevere gratis un braccialetto placcato in oro con l’immagine di un leone (l’articolo che Rory prevede farà le maggiori vendite).

Il negozio on line è corredato di alcuni elementi che favoriscono la conversione da visita ad acquisto

-          un orologio che mostra un finto conto alla rovescia indicando che il tempo per approfittare dell’offerta del braccialetto gratis sta scadendo (questa app di Shopify si chiama Hurrify, e a me suona sia “fretta” che “orrore”).

-          Dei pop-up che dicono “Lorenzo da Trieste ha appena comprato …”. Anche questi non sono necessariamente veri, la app Sales Pop permette infatti al proprietario del negozio on line di creare le proprie notifiche scegliendo la città, i nomi e gli articoli a suo piacimento (quindi quelle più di tendenza).

In realtà però non è importante che le persone che arrivano sul sito approfittino o meno dell’offerta e persino che comprino durante questa prima visita. L’importante è che arrivino perché così Rory riesce a taggarle su facebook e quindi potrà re-targetizzarle.

Per i meno avvezzi di digital marketing forse conviene spiegare che il re-targeting è quella tecnica/strumento per se voi avete cercato su internet, ad esempio, uno schiaccianoci ogni volta che andrete su facebook, google, ecc… vi mostreranno pubblicità di schiaccianoci e siti che vendono schiaccianoci fino alla fine dei vostri giorni (beh non proprio, ma per un bel po’).

A questo punto quindi Rory si dedica a creare annunci per il suo braccialetto con il leone su facebook e testarne l’efficacia analizzando le statistiche fornite da facebook riguardo al pubblico raggiunto, le interazioni, le conversioni, ecc…

Suppongo che si possano panificare le campagne su facebook rivolgendole non solo a quelli che sono entrati nel negozio on line, ma anche al loro network di amicizie. Lo darei per certo nel caso in cui il negozio on-line richieda una registrazione e questa sia fatta dalle persone attraverso il loro profilo facebook (la richiesta di registrarsi ci può stare a fronte dell’offerta del braccialetto gratis).

Come insegnano i (nuovi) manuali di digital marketing, sul web si costruisce la reputazione delle marche attraverso la generazione di contenuti (content marketing), quindi Rory va sul sito Buzzsumo per trovare le cose più popolari relativamente ai leoni ed aprire il blog “cose curiose e divertenti sui leoni” collegato al suo negozio on line.

Anche in questo caso non è importante quello che c’è scritto nel blog, nel momento in cui arrivano al blog attraverso il loro profilo facebook, ossia “sto guardando la mia timeline – mi piacciono i leoni – vedo una notizia curiosa sui leoni – clicco sul link”, possono poi essere targettizzati dalla pubblicità di Rory.

Arriviamo alla fine del processo ossia all’acquisto on-line da parte di una persona. A questo punto il nome e l’indirizzo del compratore vanno inseriti in AliExpress in modo che il fornitore spedisca il braccialetto al compratore (pare che, stranamente, la cosa non sia automatizzabile).

Per non distrarsi dalla promozione del negozio Rory esternalizza il lavoro amministrativo contrattando “lavoratori digitali” qualunque cosa significhi, a 3-5 dollari l’ora sulla piattaforma UpWork.

La fine della storia è che Rory non ha raggiunto l’obiettivo di fatturare 1.000 dollari in una settimana, ma direi che poco importa. Volendo sarebbe più rilevante capire quant’è il guadagno per 1.000 dollari di fatturato. Ma anche questo è marginale rispetto all’ “ecosistema di business” che si sta sviluppando nella società digitale

Tanti anni fa ho scritto che per capire il futuro del marketing si sarebbe dovuto guardare a come lo facevano in Cina www.biscomarketing.it/marketing-allosso/. Qualche anno dopo sono andato in Cina e qualcuno mi ha detto che “i cinesi fanno affari come fosse un gioco d’azzardo e giocano d’azzardo come fossero affari”.

Che il mondo si stia cinesizzando è scoprire l’acqua calda.

Non mi permetto di dare giudizi di valore, dico solo che il marketing che faccio io è una cosa diversa e credo sia utile per un gran numero di marche in svariate categorie merceologiche. O almeno spero.

Gli shopping bots stanno rivoluzionando i processi e l’esperienza d’acquisto e dimostrano l’utilità del concetto di Marketing Totale e delle sue implicazioni.

chat-bot

Avvertenza: ho seri problemi con la “m” della tastiera, mi scuso in anticipo per i refusi.

Interessante articolo sull’effetto degli shopping bot nei comportamenti d’acquisto su Marketing News che stimola altrettanto interessanti riflessioni sulla gestione del marketing (no, non sono d’accordo su tutto quello che si dice nell’articolo).

Innanzitutto, cos’è uno shopping bot: detto semplice è un software programmato per fare acquisti on line cercando il miglior prezzo per un determinato prodotto, categoria di prodotto o marca (la distinzione tra i tre è importante, ma per il momento la tralasciamo).

Detto in altre parole è la realizzazione dell’homo oeconomicus teorizzato dagli economistici classici (Adam Smith sta facendo le capriole nella tomba) che si comporta in modo totalmente razionale, esclusivamente nel proprio interesse.

Gli shopping bots cambiano quindi radicalmente i comportamenti e l’esperienza di acquisto nell’e-commerce, che è già una parte importante del commercio al dettaglio ed è chiaramente destinato a diventarlo ancora di più in futuro.

Uno shopping bot lavora per trovare la migliore offerta:

-          24 ore su 24,

-          7 giorni su 7,

-          non ha sostanzialmente limiti nel numero di siti che può visitare,

-          non è influenzato da abitudini,

-          non ha alcun vantaggio dal fatto che la “sua” carta di credito ed i “suoi” dati siano già registrati (quindi limitarsi a ricercare le offerte solamente nei soliti siti non rappresenta per un bot alcun vantaggio in termini di “costi” di gestione della ricerca e della transazione),

-          non ha alcun vantaggio ad essere iscritto a newsletter che gli ricordino/segnalino le offerte,

-          non ha bisogno di siti aggregatori o intermediari (tipo Expedia o Edreams per capirci),

-          non subisce gli algoritmi utilizzati dai siti di e-commerce per gestire i prezzi in modo dinamico, alzandoli o abbassandoli in base all’ora al giorno, ecc…,

-          non gli interessa la combinazione tra comodità, ampiezza ed assortimento proposta da un sito di e-commerce. La comodità non è un fattore, l’ampiezza dell’assortimento se la crea da solo con la ricerca e quindi sceglie sempre in base al miglior prezzo.

L’articolo di marketing news sostiene anche che gli shopping bots rendono irrilevanti la marca e la pubblicità.

Io qui non sono d’accordo riguardo alla marca e lo sono in parte riguardo alla pubblicità, se la vedo nel concetto di PERCEZIONE secondo la mia visione di marketing totale.

Non sono d’accordo sul fatto che gli shopping bots rendano irrilevante la marca, perché il bot fa quello per cui è stato programmato (ovvio).

Quindi se devo acquistare un articolo con delle specifiche tecniche definite, ad esempio una risma di fogli A4 di una determinata grammatura, sicuramente la marca sarà irrilevante. Probabilmente lo sarà anche nel caso in cui voglia comprare una stampante a colori multifunzione, oppure un volo aereo da a.

Credo però che la marca riacquisti un certo valore nel caso in cui voglia acquistare un maglione, un barattolo di caffè, un libro. Ossia nel caso i prodotti siano meno standardizzati: a seconda della marca un maglione avrà un taglio diverso, il caffè un sapore diverso ed il romanzo che voglio leggere è esattamente quello e non un altro.

Se la marca mantiene una sua rilevanza, la mantiene evidentemente la percezione che della marca hanno i consumatori che danno al bot le istruzioni per gli acquisti. Quanto e come pesi oggi la pubblicità nella percezione di una marca da parte delle persone (e quanto peserà in futuro) è tutta un’altra questione che non si può affrontare qui (su cui trovate però vari post passati all’interno del blog e su cui scriverò di nuovo a breve)

Secondo me però può essere interessante considerare quale può essere l’effetto della percezione delle marche per gli shopping bot dotati di intelligenza artificiale.

Non mi sembra particolarmente difficile inserire nella programmazione del bot anche l’elemento delle valutazioni che di un determinato prodotto hanno fatto gli utenti che l’hanno già acquistato. Ed anche inserire nella valutazione anche eventuali recensioni, articoli, post, ecc. mi sembra più un problema tecnico che concettuale.

In sintesi, immagino che si potrà operare per modificare la percezione delle marche non solo da parte delle persone che il bot lo usano (gli danno le istruzioni), ma anche del bot stesso.

Quello che è certo è che con gli shopping bots sarà praticamente impossibile applicare prezzi diversi per lo stesso prodotto della stessa marca e che aumenterà ancora di più la concorrenza di prezzo da parte di prodotti/marche simili/sostitutive.

L’altro importante ribaltamento di paradigma nella gestione del marketing che gli shopping bots confermano ed accelerano è quello per cui nella società digitale non sono più le marche a cercare i consumatori, ma sono i consumatori che le trovano.

Cambio di paradigma che rafforza l’importanza dell’autenticità, precondizione per essere riconoscibili, e quindi farsi trovare, ed unica garanzia di saper mantenere le promesse fatte alle persone, come pilastro su cui deve poggiare la gestione delle marche.

Tutte cose, utili, che trovate nella visione del Marketing Totale che ho teorizzato qualche anno fa. Non metto i link, a trovate facilmente i post dalla casella di ricerca del blog.

Siate onesti con voi stessi per esserlo con gli altri.

Cercando sponsor per l’equiraduno, ho imparato il marketing spiegato dai negozianti.

Italia a cavalloSto dando una mano alla ricerca di sponsor per l’equiraduno “L’Italia a cavallo” che la Fitetrec-ANTE organizzerà a Gradisca d’Isonzo il prossimo 27 e 28 giugno.

Ho contattato quindi diverse attività della zona e l’altro giorno stavo spiegando il programma alla proprietaria di un centro benessere.

Io: “Si possono sponsorizzare i giri in carrozza per il centro di Gradisca e la zona del “battesimo della sella” dove faremo a provare ai bambini l’esperienza di salire su un pony. Questo sarò un punto sicuramente molto affollato e, oltre agli striscioni è possibile distribuire materiale informativo e promozionale come buoni sconto, omaggi, ecc…”

Lei: “Guardi la cosa mi interessa, però siamo troppo sotto data (vero, n.d.a.) comunque io sconti non ne uso perchè ormai la gente è abituata con groupon e anche il 30% di sconto sembra poco. Preferisco concentrarmi sul servizio e sulla qualità dei corsi. Anche per questo non mi sembra giusto nei confronti dei miei clienti attuali offrire condizioni speciali agli eventuali nuovi.”

Gulp!

In due frasi ho toccato la realtà di alcuni concetti strategici chiave.

Il rischio concretissimo di sposizionamento per i fornitori che rappresenta l’e-commerce basato su forti sconti e rapida rotazione delle offerte. Ne avevo già parlato oltre un anno fa riguardo all’e-commerce del vino. L’acume strategico della mia potenziale sponsor ci ricorda che un modello di business in cui godono solo consumatori ed intermediari, ma non i fornitori, non è un modello di business sostenibile. Quindi se siete fornitori di beni e servizi, pensateci tre volte prima di aderire a queste iniziative/canali, perchè il prezzo (sconti compresi) è una variabile sempre molto difficile da modificare DOPO.

Meglio quindi concentrarsi sul valore e fidelizzare i propri clienti, ricordandosi anche qui che you get what you give, quindi se vuoi fedeltà devi anche offrirla e non correre dietro al primo/a (potenziale cliente) che capita con condizioni speciali, migliori di quelle riservate a quelli attuali. In poche parole devi evitare che i tuoi attuali clienti si sentano becchi e bastonati.

Non sono riuscito ad avere la sponsorizzazione, però ho avuto una bella dimostrazione di cosa significa che il marketing è buon senso strutturato.

P.S.: se qualcuno fosse interessato a sponsorizzare l’equiraduno, ci sono ancora spazi liberi.

 

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 4: le politiche di prezzo.

In questi giorni mentre pensavo a questo post (Daniele mi ha messo pressione) la domanda che mi è venuta spontanea è stata: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?

Non è stato il frutto di nessun raginamento razionale, è stata semplicemente la mia reazione istintiva, di pancia se volete, a cercare di immaginare come saranno le politiche di prezzo nel 2024.

Forse nasce dal fatto che il prezzo è la funzione di marketing messa più sotto pressione dall’avvento della società digitale. Non bastavano i discount, gli outlet, i category killer, le offerte last minute e le aste on line: adesso ci si sono messi anche i siti comparatori.

Da ricerche di un anno e mezzo fa (un’eternità al giorno d’oggi) risultava che il 50% delle persone intenzionate a fare un acquisto via internet cominciava la ricerca da un sito comparatore di prezzo. Da lì poi approfondiva le caratteristiche dei prodotti che riteneve più interessanti. Un esempio che tutti conosciamo sono i siti per la ricerca di biglietti aerei, ma con la crescita del e-commerce sono sorti un po’ in tutte le categorie merceologiche.

La combinazione di crescente commoditizzazione e crescente capacità di calcolo (che permette la rapidità e semplicità di raccolta e trasmissione delle informazioni) sta facendo diventare il prezzo l’ekemento di partenza nelle scelte d’acquisto delle persone (non fatevi ingannare dalla crisi economica che ha solo accellerato un processo già in atto e riscontrabile anche i paesi con economia in crescita).

Nel marketing del 2024 sarà sostanzialmente impossibile tenere separati i mercati con prezzi diversi. Sia che si tratti di mercati diversi dal punto di vista geografico, sia che si tratti di segmenti di mercato diversi nello stesso territorio.

Dubito che la strategia di prevedere prezzi diversi per prodotti con minime differenze, talvolta solo di packaging, avrà ancora diritto di cittadinanza nel mercato del 2024.

Le aziende produttrici quindi dovranno essere estremamente disciplinate nella gestione del prezzi applicati ai loro clienti perchè eventuali discriminazioni si paleseranno rapidamente, con i conseguenti problemi di confusione di coerenza delle strategie e dell’immagine in generale e dei rapporti con i clienti in particolare.

Questo significa che prezzi all’origine diversi saranno ammessi solamente se legati a situazioni effettivamente diverse in termini di condizioni di consegna, di quantitativo acquistato, di momento dell’acquisto, ecc ….

Un concetto di uniformità che sviluppato all’estremo porta ad un risultato apparentemente opposto: ogni transazione sarà oggeto di una specifica trattativa. Forse è questa la scomparsa del prezzo come riferimento stabile che conosciamo che ho immaginato all’inizio del post?

L’unica alternativa è avere contemporaneamente una marca/prodotto così da forte/innovativa da avere pochi o nessun sostituto ed un controllo diretto dei canali distributivi.

So che citare la Apple è banale, ma non posso farci niente. Come sanno quelli che sono andati negli USA, un prodotto Apple che in Europa viene venduto a 100 euro, in USA viene venduto a 100 dollari. Di fatto la Apple ha un suo tasso di cambio interno dollaro/euro di 1 a 1, quindi in Europa vende circa il 30% più caro. Pur con tutta la forza della marca, come ci riescano per me rimane comunque un mistero e sarò curioso di vedere se e come ci riusciranno in futuro.

Magari seguendo la strategia delle griffe della moda che oramai si stanno sviluppando ad un modello di distribuzione basato esclusivamente sui negozi monomarca e/o proprio e-commerce.

L’altra tendenza futura delle politiche di prezzo sarà quella del prezzo all’uso, collegata allo spostamento dal possesso all’uso dei prodotti. Bisognerà però che i prezzi d’uso diventino più concorrenziali nella percezione dei consumatori. Per fare questo si può operare riducendo i prezzo oppure aumentando il valore percepito, magari aumentando la tangibilità dei vantaggi derivanti dall’uso in confronto con il possesso.

10 euro al mese per avere Microsoft Office sono un prezzo giusto? E 69 euro all’anno? Qual’è il valore rispetto al pacchetto gratuito Open Office?

Perchè poi alla base di ogni previsione sul futuro del prezzo non si può prescindere dalla sostanziale gratutità di internet.

Allora chiudo come ho iniziato: nel 2024 esisterà ancora il prezzo?

 

L’evoluzione dell’e-commerce va contro gli interessi dei produttori?

Negli ultimi mesi mi sono occupato un po’ di e-commerce e mi sono reso conto che in molti settori, non solo nel vino, sta evolvendo verso il modello groupon: club aperti offrono continuamente a rotazione prodotti fortemente scontati per un periodo e/o quantità limitati.

I vantaggi per l’e-tailer sono:
- la possibilità di offrire una scontistica molto forte rispetto ai prezzi di mercato dà una forte capacità di attirare clientela.
- l’approvigionamento fatto dopo la chiusura dell’offerta permette di ridurre/azzerare il magazzino ed evitare il problema delle rimanenze di prodotto invenduto.
- la formula del club con iscrizione (facilitata utilizzando i prorpi profili social) permette di profilare gli iscritti e quindi realizzare attività di database marketing (con i siti di e-commerce tradizionali, che prevedono l’iserimento dei dati solo all’atto dell’acquisto questa possibilità è molto più limitata).

Il vantaggi per il consumatore è quello di essere costantemente informato di promozioni che gli permettono di acquistare prodotti fortemente scontati.

I vantaggi per il produttore sono: ???? Io non ne vedo.

Normalmente gli e-tailers che lavorano con questa modalità sottolineano che la presenza del prodotto nei loro siti va vista come un’attività promozionale che permette di far provare il prodotto ai loro iscritti. Sta poi alla forza/qualità del prodotto suscitare un interesse tale da fidelizzare chi l’ha provato.

Io però dubito che funzioni così, proprio per ragioni strutturali a questa modalità di vendita.

Prendiamo l’esempio del vino. E’ un prodotto di consumo, tecnicamente un “bene esperienza” che il consumatore tende ad acquistare sulla base di un numero limitato di informazioni. Non c’è bisogno di farsi un’opinione precisa ex-ante perchè il costo del giudizio a posteriori (quando si è fatta l’”esperienza” di consumo) è generalmente basso. Questo costo, della decisione sbagliata, si riduce ulteriormente nelle offerte di e-commerce sia per la convenienza del prezzo, sia per la quantità di informazioni che si possono fornire al potenziale acquirente.

In questo scenario quindi i comportamenti di acquisto tenderanno strutturalmente a cambiare ogni volta il prodotto offerto, provando ed approfittando di volta in volta delle diverse offerte. Tra l’altro anche se il consumatore volesse riacquistare un prodotto che gli era piaciuto, non ha come farlo perchè la politica di questi e-tailer è quella di non mantenere un assortimento fisso. E difficilmente sarà diffuso nei canali di distribuzione tradizionali, perchè altrimenti non si presterebbe ad essere venduto in promozione on-line.

Se invece l’e-tailer club riguarda beni durevoli, la situazione per il produttore rischia di essere ancora peggio. La capacità dell’offerta di stimolare l’acquisto di un bene durevole è infatti limitata, quasi sempre inferiore alla possibilità del consumatore di attendere l’occasione. Ecco quindi che il consumatore aspetterà fino a quando nelle varie newsletter delle offerte non troverà il prodotto che gli serve o gli interessa. di conseguenza il produttore venderà solamente in promozione.

La modalità di vendita rende strutturalmente possibile ad ampie fasce di consumatori di comportarsi come “cherry pickers”, ossia cogliere solo le offerte migliori e lasciar perdere tutto il resto.

Un paio di dati a corollario, ricavati dalla ricerca svolta dall’osservatorio Cetelem sui consumi in Europa:
- il 26% dei consumatori si rivolge ai social network per consultarsi sui propri acquisti.
- il 33% degli intervistati pensa che in futuro utilizzerà smartphone e tablet per fare i propri acquisti.
- il 78% dei consumatori utilizza siti comparatori di prezzi per informarsi al momento di fare acquisti e la percentuale di chi dichiara che li utilizzerà in futuro sale all’88%.

La cosa interessante, o preoccupante dipende dai punti di vista, è che questa modalità di vendita di vendita si sta spostando dall’on-line all’off-line, a conferma che la separazione tra mondo “reale” e “virtuale” è artificiosa) se la catena di negozi che ha vinto il Channel Innovation Award negli USA è Whole Sale Liquidators, catena che vende rimanenze di magazzino e lotti di prodotti provenienti da liquidazioni e fallimenti a prezzi superscontati. che nella loro attività off ed on-line siano integrati sia come canali di vendita che di comunicazione è persino banale.

Cosa resta da fare ai produttori? Dimenticarsi che nell’era dell’informazione sia possibile mantenere dei margini basati sull’opacità dei mercati e sull’arbitraggio in termini di tempo e spazio, concentrarsi sulle massimizzazione dell’efficienza delle proprie capacità specifiche per massimizzare l’effettivo valore offerto sul mercato (che può essere costitutito anche da elementi intangibili, purchè intrinseci alla proposta) e lavorare con una politica di prezzi costanti.

Concludo con il link ad un vecchio post che trattava del couponing, può essere interessante sia per completare il quadro che per vedere come sono cambiate le cose.