Tra i vantaggi di scrivere un blog c’è anche quello che la mia posizione riguardo all’attuale situazione politica è nota e, spero, chiara.
Dopo aver dichiarato il mio voto per “Fare per fermare il declino”, ed aver brutalmente perso, lo scorso 26 febbraio scrivevo che era evidente che la cosa tatticamente migliore per il PD di Bersani era dichiararsi apertamente per un incarico ad un premier del Movimento 5 Stelle.
Non ci credevo, ma speravo che Bersani, se non altro per interesse proprio e del suo partito, avrebbe dato una mano al Presidente Napolitano per imporre un cambiamento al Paese.
Invece, malgrado dalla crisi economica del 2008 tutti a parole invochino un cambio dei paradigmi socio-economici su cui si basano le società occidentali, si è dato alle cose il solito corso tradizionale con il pre-incarico esplorativo a Bersani, in quanto leader della coalizione di maggioranza relativa. Il tentativo è fallito (ma và?) ed il Presidente Napolitano, responsabile della nomina del Presidente del Consiglio, ha creato due commissioni di persone da lui nominate (???) per definire un programma (??????) su cui trovare la convergenza della maggioranza parlamentare.
Eppure un’analisi politicamente oggettiva/imparziale/aperta dei risultati delle elezioni da parte del Presidente Napolitano non poteva non rilevare che:
- tra le coalizioni di centro-sinistra e centro-destra c’è stata una sostanziale parità (la differenza a favore del centro-sinistra è di 0,37 punti percentuali alla Camera e 0,91 punti percentuali al Senato, dati defintivi dal sito del Ministero dell’Interno).
- la maggioranza dei seggi alla coalizione del centro-sinistra deriva solamente dall’artificio del premio di maggioranza della legge elettorale, legge considerata un obbrobrio da tutti i partiti politici, contraria all’indirizzo dato dalla volontà popolare con il referendum del 18 aprile 1993 ed al cui confronto la “legge truffa” del 1953 appare un apice di democrazia.
- il vero elemento di novità risultante dal voto è stata l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che da niente è diventato il primo partito alla Camera (questione di spiccioli rispetto al PD e 4 punti percentuali rispetto al PDL) ed il secondo al Senato (-4 punti rispetto al PD e +1 rispetto al PDL).
Volendo approfondire i risultati delle urne con l’analisi dei flussi elettorali (qui propongo la sintesi degli studi dei diversi istituti di ricerca pubblicata sul sito del Partito Marxista-Leninista Italiano, stranamente il primo risultato datomi da Yahoo), si nota come il M5S sia la forza politica di sintesi dei due schieramenti avendo preso voti in modo quasi uniforme da ex elettori del centro-sinistra e del centro destra.
Credo che in termini di correttezza democratica gli elementi per dare l’incarico al M5S ci fossero tutti (lo so l’incarico può essere dato solamente ad una persona, però è grazie ai tecnicismi di forma che si impedisce il cambiamento).
Invece tutto il sistema politico e dei media tradizionali ha sempre bollato questa ipotesi come inammissibile, lamentando contemporaneamente l’ignoranza politica del M5S nella sua incapacità di negoziare per arrivare ad un compromesso.
Ora io non ho esperienza di politica politicante però occupandomi di marketing e vendita da vent’anni conosco la teoria e la pratica della negoziazione. La mia impressione è che politici e (tele)giornali abbiano sviluppato nel tempo un concetto distorto di negoziazione inteso come scambio di privilegi e non come punto di incontro tra le istanze ed esigenze delle parti. Ovvio che quando le istanze e le esigenze sono quelle personali e non dell’organizzazione che si rappresenta i due concetti corrispondono.
Se gli obiettivi del Quirinale erano quelli dichiarati di dare rapidamente un governo al Paese, possibilmente di cambiamento, dal punto di vista delle tecniche di negoziazione (questo quaderno del Centro Studi Nazionale CISL offre una buona sintesi ed un’ottima bibliografia) il pre-incarico a Bersani o a Berlusconi era a priori una scelta sbagliata, mentre quella di dare l’incarico al M5S l’unica possibile.
Grillo infatti poteva probabilmente accantonare alcuni punti del programma (referendum sull’euro, ad esempio) e forse anche accettare alcuni ministri esterni, ma avrebbe perso tutta la credibilità appoggiando un governo a guida Bersani o Berlusconi. Quello era il suo punto di resistenza.
Specularmente Bersani, o il PD, poteva probabilmente accettare di non avere la guida del governo in cambio del ruolo di moderatore delle richieste più estreme del M5S. Un punto di resistenza sicuramente più basso, ma dopo aver fatto numerose negoziazioni con la clientela vi assicuro che raramente c’è simmetria ed equilibrio. Per questo ci vuole un compromesso.
Quello che è mancato è stata la capacità del Quirinale di creare le condizioni per una negoziazione (uno spazio negoziale) che le parti non potevano evidentemente creare da sole. Invece la scelta conformista del pre-incarico a Bersani ha avuto l’effetto prevedibile di inasprire le posizioni, spostando in alto i punti di resistenza, a cui si cerca di rimediare con la deleteria prassi (della politica) italiana delle commissioni.
La Pubblica Amministrazione che non paga i propri debiti è tecnicamente ed economicamente fallita e la Repubblica con il Parlamento esautorato da un Direttorio di nomina presidenziale è politicamente ed istituzionalmente morta.
L’unica speranza è che il Paese mantenga abbastanza fede in se stesso per risorgere. Buona Pasquetta.