A pensarci bene credo che siano 3 i libri fondamentali per ilmio marketing. Fondamentali nel senso che tutto quello che ho letto/studiato/imparato dopo averli letti (ed anche qualcosa prima) si sono ancorati / appoggiati sulle fondamenta costruite con questi libri.
Sono tre libri che ho studiato nei miei corsi all’Università di Guelph – Ontario, oramai 25/26 anni fa.
- P. Kotler, R.E. Turner, Marketing Management, Prentice -Hall Canada, 1989.
- J.F. Engel, R.D. Blackwell, P.W. Miniard, Consumer behavior, The Dryden Press, 1990.
- D.A. Aaker, G.S. Day, Marketing Research, John Wiley & Sons, 1989.
Si tratta quindi libri ed autori ai quali sono particolarmente affezionato, con cui si è stabilito un rapporto speciale di stima (unidirezionale, ovviamente perchè, a parte Kotler, non li ho mai incontrati). E’ stato un po’ come quando all’università mi sono trovato come professore di Topografia e Costruzioni il Prof. Chiappini, che aveva scritto il libro di testo su cui avevo studiato alle superiori. Mi è sembrata una garanzia di qualità del corso ed anche un po’ di conoscerlo già.
Ecco perchè sono stato contento quando Aaker ha cominciato a pubblicare sulla rivista Marketing News dell’American Marketing Association i suoi articoli tratti/ispirati dal suo ultimo libro Aaker on Branding: 20 Principles to Drive Success.
L’ultimo articolo in ordine di tempo si intitola Three Ways to Build a Competitive, Compelling, Purposeful Brand, che da me tradotto in italiano è il titolo di questo post, e mi è sembrato particolarmente utile ed interessante.
Ecco la mia sintesi (riassunto e commento si diceva alle elementari).
Ci sono 3 tendenze che si stanno velocemente affermando nelle strategie e tattiche di creazione della marche (branding), trasversalmente praticamente in tutti i settori. Il successo futuro delle organizzazioni deriverà dalla loro capacità cavalcare queste onde piuttosto che nuotarci controcorrente.
La prima tendenza è lo spostamento della concorrenza dalle preferenze di marca alle sottocategorie di un settore.
La concorrenza basata su preferenze di marca è caratterizzata da innovazione incrementale, per cui la promessa della marca diventa “la mia marca è meglio della sua”.
La concorrenza basata su sottocategorie è caratterizzata da innovazione sostanziale, per cui la promessa della marca diventa “la mia marca ti offre qualcosa che non ha nessuno”. In questo senso l’offerta della marca può diventare un “must have”. Per non parlare sempre di Apple, un esempio nel settore dell’automobile è stata l’introduzione dei SUV o dei minivan. La marca crea una sottocategoria dove non ci sono (ancora) concorrenti rilevanti.
N.d.A., ossia mia: è un altro modo guardare al famoso concetto di Blue Ocean Strategy. Un modo che ha il vantaggio rispetto all’approccio economico-aziendale del testo di Kim e Mauborgne di fornire un approccio più efficace per perseguire l’identificazione / definizione / creazione degli “oceani blu” ex ante e non solamente a posteriori. E’ un po’ la stessa differenza che c’è secondo me tra Kotler e Porter.
In effetti Aaker prosegue indicando le implicazioni che questa detenza determina nella gestione dell’impresa e delle marche:
- spostare parte degli investimenti dalla ricerca di innovazione incrementale a quella di innovazione sostanziale.
- sviluppare la capacità e gli strumenti per riconoscere quali sono i (potenziali) “must have” e quali no (N.d.A.:ricerca di marketing se ci sei batti un colpo).
- diventare il leader di riferimento della nuova sottocategoria (N.d.A.: rapidamente perchè i plus sono destinati a diventare must per l’entrata nella sottocategoria dei concorrenti).
- la volontà e capacità di gestire sottocategorie piuttosto che marche (N.d.A.: pensando alle mie esperienze con Limoncè e, soprattutto, Keglevich io direi la visione di gestire sottocategorie)
- possedere la sottocategorie creando barriere all’entrata dei concorrenti.
La seconda tendenza è lo spostamento dal comunicare fatti relativi alla marca / offerta /azienda al creare “contenuti sweet-spot per il cliente”, contenuti che interessino e coinvolgano i clienti attuali e potenziali (N.d.t., sempre io: una traduzione decente di sweet-spot non l’ho trovata, quindi l’ho lasciato così).
Un contenuto generato / ispirato da uno sweet-spot del cliente rafforza la percezione della marca e genera molta più fiducia, credibilità ed autenticità rispetto alla miglior pubblicità.
N.d.A.: se volete è il vecchio caro concetto di comunicare i vantaggi che il cliente ottiene dal consumo della marca grazie alle sue caratteristiche e non fermarsi alle semplici caratteristiche, lasciando al cliente l’onere di capirne i (potenziali) vantaggi. Però più approfondito e calato nella realtà attuale dei “contenuti”. Nell’era digitale siamo tutti nell’attività editoriale, anche se facciamo biscotti, è il marketing totale bellezza.
La terza tendenza è quella che le mmarche devono avere / trovare / adottare uno scopo più ampio ed elevato rispetto al semplice battere la concorrenza sul mercato.
Ovviamente perchè questo scopo più ampio ed alto riesca ad avere un impatto all’interno ed all’esterno dell’organizzazione / marca deve essere vissuto in modo genuino e sostanziale.
Direi che per oggi abbiamo abbastanza food-for-thought