L’altra domenica Pier Luca Santoro nel suo gruppo pubblico di facebook “I giornali del futuro il futuro dei giornali” ha inserito il collegamento all’articolo di Luca De Biase “La partita della pubblicità è tecnologica” dove l’autore sostiene la tesi che “l’editoria ha bisogno di ridiventare un business fondamentalmente tecnologico. Innovativamente tecnologico.”, chiedendo al gruppo cosa ne pensava.
Confesso che normalmente non non entro in questo tipo di discussioni su fb, perchè non mi sembra una piattaforma adatta a confrontarsi in modo articolato. Però questa volta, un po’ per la stima nei confronti di Pier Luca, un po’ per l’interessante del tema (le due cose sono collegate), ho commentato andando un po’ oltre al tema dell’articolo e della domanda, chiedendomi (e chiedendo) se la pubblicità continuerà ad esistere strutturalmente, indipendentemente dalle soluzioni di media e/o di tecnologia che si possono inventare.
Non ho approfondito il concetto perchè sono partiti alcuni commenti (semi-ideologici) sull’ineluttabilità della pubblicità, sulla pubblicità buona e quella cattiva (non esiste pubblicità cattiva, esiste solo pubblicità indisposta, come ci ha insegnato la pubblicità della Dolce Euchessina.
L’argomento però continuava a ronzarmi nella testa ed è stato di nuovo Pier Luca a riportarlo in superfice ieri con questa considerazione su adbloking e dintorni: “È una questione di linguaggi, di modo di porgere e di rispetto nei confronti delle persone, in antitesi all’attuale invasività anche della pubblicità online. O, come dicevo, l’advertising cesserà di essere ciò che interrompe gli interessi della gente per diventare il più possibile quel che gli interessa oppure le imprese ricercheranno autonomamente, come già avviene con il brand journalism, nuove forme, nuovi format di comunicazione e di relazione con i propri pubblici di riferimento. Non c’è scelta.“.
Condivido “O l’advertising cesserà di essere ciò che interrompe gli interessi delle persone per diventare quello che gli interessa oppure non sarà.“, quindi sostengo che “non sarà”.
Attenzione, non ne faccio una questione ideologica (da professionista del marketing ci mancherebbe altro) e voglio sottolineare che la comunicazione delle aziende e/o dei marchi è cosa ben diversa dalla pubblicità.
Dico che la pubblicità, intesa come “ogni forma di presentazione e/o promozione non personale di idee, beni o servizi realizzata a pagamento da uno sponsor chiaramente identificabile.” (mia traduzione dal Kotler, Marketing Management) è strutturalmente destinata ad interrompere gli interessi delle persone. Non c’è tecnologia o contenuto che tenga.
Già nel 2008 scrivevo come la pubblicità fosse già il rumore di fondo della nostra vita e quindi fatalmente destinata all’irrilevanza. Credo che ci siamo arrivati molto vicini.
Mi guardo intorno e mi sembra evidente che le persone hanno sviluppato una sorta di “adblocking mentale” per cui nè vedono nè sentono la pubblicità, meno che meno le marche che la realizzano. Le persone non hanno più interesse nel ricevere (questo tipo) di informazioni non richieste perchè si sono abituate che le informazioni le cercano e le trovano autonomamente quando gli servono ed interessano.
Forse in questo scenario l’unica pubblicità che si salva è l’affissione, perchè spesso non interrompe nessun interesse specifico delle persone che la vedono, e la comunicazione di promozione/offerte speciali, meglio se fatte al momento e nel posto giusto sul cellulare tramite la geolocalizzazione.
Nell’ottobre 2012 mi chiedevo quale sarebbe stato il futuro della pubblicità in termini di modalità. Oggi ho l’impressione (convinzione?) che la pubblicità manchi di un futuro tout court.
Sarà per questo che fino dall’inizio della mia carriera in azienda nel 1994 ho sempre considerato le Pubbliche Relazioni e la pubblicità specializzata B2B come le componenti minime ed irrinunciabili del mio budget di comunicazione?