Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) 3: le politiche di prodotto.

Continuo ad ipotizzare il futuro del marketing secondo me e mantengo l’approccio kotleriano classico delle 4 P, cominciando dal Prodotto.

La prima considerazione è che sempre di piu’ nel futuro non ci sara’ spazio per i prodotti le cui performances non mantengono la loro promessa base.

Diventa quindi cruciale identificare qual’e’ il servizio che i clienti ricercano nell’utilizzo del prodotto. Ricordo, visto che il post dove lo spiegavo è sparito dal blog, che quello che acquistano i consumatori sono i benefici, ossia i servizi, che derivano dall’utilizzo delle caratteristiche di un prodotto e non le caratteristiche in sè e per sè. In sintesi nessuno compra mai prodotti, tutti comprano sempre servizi, incorporati o meno all’interno di un prodotto fisico.

Questo concetto è fondamentale perchè è quello che permette di identificare i nuovi potenziali concorrenti che possono arrivare da settori produttivi diversi da quello in cui si opera, fornendo soluzioni agli stessi problemi del consumatore con un prodotto (tecnologia) diversa.

E’ il concetto per cui se un marito/compagno vuole fare un regalo importante alla moglie/compagna (o viceversa: bisocmarketing promuove la parità tra i generi) le crociere sono in concorrenza con i gioielli.

Il concetto è particolarmente utile guardando al futuro poichè nel lungo periodo possono sorgere più facilmente nuove tecnologie per la fornitura degli stessi servizi.

La diffusione globale del progresso tecnologico, che migliora le performances del prodotto anche nei paesi con basso costo di manodopera, renderà possibile accontentare le aspettative crescenti dei consumatori. Il risultato sarà che per un prodotto, saper svolgere adeguatamente, anche in termini di durata, la funzione per cui e’ stato pensato sara’ un must, non piu’ un vantaggio competitivo.

I PLUS competitivi secondo me saranno altri e saranno legati principalmente all’evoluzione della societa’ in senso individuale (se anche individualista, lo lascio dire a voi).

1) Personalizzazione in serie: se volete un altro modo di esprimere il concetto del prodotto su misura per ogni cliente. Pero’ con efficenza industriale per ridurre i costi rispetto al processo artigianale.

E’ la strada gia’ intrapresa dall’industria dell’automobile con il moltiplicarsi delle opzioni tra cui poter scegliere (poi pero’ i tempi di attesa sono lunghi) e che diventera’ un vantaggio competitivo in tutti i settori.

Basta pensare al potenziale delle stampanti 3D, anche in settori di largo consumo come l’alimentare.

2) Estetica: dubito che le persone siano e saranno disposte a pagare di piu’ per un prodotto dalle performances equivalenti, solo piu’ bello.

Sicuramente pero’ tra due prodotti si performances equivalenti e prezzo uguale, sceglieranno quello piu’ bello.

L’estetica, intesa anche come comunicazione visuale, sara’ poi sempre piu’ anche un sottolineatore e rafforzatore della qualita’ intrinseca del prodotto.

Il narcisismo e’ figlio dell’individualismo.

3) Semplicita’ d’uso: un po’ per naturale pigrizia, un po’ per la crescente incompetenza, la capacita’ di un prodotto di semplificarci la vita sara’ sempre piu’ apprezzata.

Che sia la macchina che si parcheggia da sola, il telefonino che si sblocca con l’impronta digitale (massimo dell’individualita’) oppure la bottiglia di vino con il tappo a vite, l’estensione dei servizi offerti dal prodotto ne aumenta il valore.

Nota bene che la crescente incompentenza non e’ un giudizio di merito, e’ un dato di fatto generato dal continuo e rapido progresso tecnologico (che tra l’altro riduce/impedisce il trasferimento di competenze tra le generazioni).

4) Assistenza: è la medesima logica del punto precedento.

Quanto piu’ la vita si fa individuale e tanto piu’ si apprezzera’/pretendera’ l’aiuto da parte delle marche a cui abbiamo dato la nostra preferenza ed i nostri soldi.

5) Utilizzo vs. possesso: lo so che il concetto non è nuovo, ma fino ad oggi si è trattato soprattutto di episodi amplificati dai media.

Nel futuro, man mano che la proprietà degli oggetti diventerà più “faticosa” ed inefficente in termini finanziari, logistici, ecc…, la capacità di offrire un utilizzo pratico (ossia flessibile nel tempo e nello spazio) costituirà un vantaggio competitivo.

6) Parsimonia: in realtà non so se questa tendenza durerà fino al 2024 o si esaurirà prima. Quello che è certo è che c’è ancora troppo spreco in molti prodotti per caratteristiche che non aggiungono valore rispetto ai servizi ricercati, o utilizzati, dai consumatori.

La competizione che spinge a contenere i costi e l’attenzione alla eco-compatibilità da parte delle persone, premierà le aziende che sapranno operare con parsimonia.

 

La logica di fondo è sempre quella: pensare a come migliorare la vita delle persone.

Il marketing nel 2024 secondo me (biscomarketing) – 2

Rinvigorito dalla pausa estiva, riprendendo il filo dell’argomento del marketing del futuro che avevo iniziato lo scorso giugno.

Concludevo la critica alla visione degli esperti interpellati dalla American Marketing Association nel post 1 giugno dicendo che il marketing del futuro dovrà essere basato più sull’ESSERE che sull’apparire ed il tema centrale di quello dell’8 era l’ipotesi dell’evoluzione che avrà la società digitale. Attenzione che l’avvento della “società digitale” riguarda tutta la società e non solamente quelle parti o quegli aspetti direttamente legati alle tecnologie digitali. E’ la stessa logica per cui in seguito alla rivoluzione industriale la società agricola è evoluta nella società industriale in cui anche l’agricoltura (ad esempio) ha caratteristiche diverse.

Ora, credo ci siano pochi dubbi sul fatto che da qui a dieci anni le persone avranno un maggior potere nel definire le proprie scelte di acquisto. Anche se la disponibilità di informazioni non dovesse aumentare, e possiamo star certi che aumenterà, il livello attuale ha già fatto le sue vittime tra le marche che non offrivano un reale valore aggiunto.

Basta pensare solamente al dato che il 50% delle persone che fanno un acquisto on line cominciano la ricerca da un sito comparatore di prezzi per capire come la rivoluzione digitale ha spostato il potere sul contesto competitivo dalle aziende ai consumatori.

Detto in sintesi, da qui a 10 anni saranno sempre di più le persone a sciegliere le marche/prodotti che non le marche/prodotti a proporsi.

In questo contesto secondo me la risposta efficace NON può essere il tentativo di recuperare/mantenere il potere di infleunzare le scelte attraverso il perfezionamento della targetizzazione e personalizzazione grazie all’uso sempre più raffinato del “big data“. Le persone si aspettano, consciamente o inconsciamente, più libertà dalle aziende non meno. Per usare una terminologia forse desueta, le persone vogliono essere soggetto e non oggetto del marketing aziendale. Per l’azienda pianificare di far arrivare la propria proposta alle persone precisamente nel momento e nel luogo in cui stanno “pensando” ad acquistare/consumare quel tipo di prodotto è in realtà un’approccio di commoditizzazione, che prospetta di per sè delle scelte basate solamente sulla contingenza del momento.

Viceversa l’azienda/marca/prodotto dovrà concentrarsi sugli aspetti che rimangono intrinsecamente sotto il suo controllo.

Uno dei principali, se non il principale, è la propria IDENTITA’.

Che è una cosa diversa dal posizionamento perchè ne è il prodromo (per chi non l’avesso fatto, consiglio di leggere questo mio vecchio post “Cos’è (e a cosa serve) il posizionamento”).

Interrogarsi su chi si è come organizzazione/azienda/marca/prodotto porta a definire perchè si è, quindi quali sono (devono essere) i nostri comportamenti.

Un’identità chiara è la base per costruire un posizionamento forte e differenziante. Un posizionamento forte e differenziante aumenterà le probabilità di farci trovare dalle persone e/o di stimolare il loro interesse anche quando non stanno cercando una specifica soluzione di consumo.

Dite che nel crescente marasma dell’informazione/comunicazione sarà sempre più difficile farsi notare/trovare? A parte che dall’identità derivano i tempi, modi e contenuti della comunicazione dell’organizzazione/marca/prodotto, io vedo che in un modo o nell’altro (sono convinto che c’è una spiegazione scientifica) le cose per me interessanti si mettono in evidenza nel mare magnum delle timelines, articoli, ecc… Ecco, se un’organizzazione/marca/prodotto ha dei reali contenuti sono convinto che si realizzi un meccanismo simile.

Se invece la vostra marca è solo chiacchere e distintivo, preparatevi a lavorare sull’efficenza produttiva perchè sarete misurati solo sul prezzo.

Il marketing nel 2024 secondo gli opinion leaders dell’AMA a me sembra già vecchio.

La lettura delle riviste dell’American Marketing Association è sempre stata per me fonte di ispirazione, talvolta con la soddisfazione di trovare conferme rispetto a cose che avevo già realizzato in azienda e/o teorizzato in questo blog.

Durante le mie recenti vacanze in Brasile ho approffittato del tempo libero per leggere “Marketing News” dello scorso gennaio, dove 11 opinion leaders mondiali erano stati intervistato su come vedevano il marketing nel 2024 (lo so, considerare “Marketing News” una lettura da omrellone spiega molte cose, nel bene e nel male).

Ora io non so se con l’età sono divantato un vecchio brontolone cinico, se mi sono bevuto completamente il cervello in un delirio di onniscenza dopo aver modificato 2 delle 4 P o se le moltissime ore passate in macchina a pensare mi hanno portato effettivamente a raggiungere livelli di marketing strategico estremamente avanzati.

Comunque sia i miei appunti a margine dell’articolo contengono quasi solo punti di domanda ed un solo punto esclamativo.

Jonathan Becher, CMO di SAP crede che una marca dovrà sembrare un editore ed un editore dovrà sembrare una marca, intendendo con questo che la gran parte delle marche dovrà comunicare attraverso contenuti di intrattenimento in modo da fornire informazioni senza annunci pubblicitari. Non sto a tediarvi linkando il mio post di inizio anno (credo) dove riprendevo un articolo apparso in un’altra rivista dell’AMA che diceva che siamo tutti nel business editoriale. Concetto che avevo espresso anche in (almeno) un post precedente citando come esempio la Volvo e la sua credibilità nell’ambito della sicurezza stradale, ancora prima dell’era digitale. Jonathan, se questa è la tua previsione del marketing del futuro, fidati, è già successo. Aggiungo che, citando Caparezza, sono fuori dal tunnel del divertimento e quindi non condivido la previsione che i contenuti delle marche si appiattirabbo sul divertimento (se qualcuno di voi ha mai usato SAP, saprà che SAP+divertimento è un ossimoro).

Rohit Bhargava, autore di Likeonomics prevede che i consumatori cederano l’accesso ai loro profili social in cambio di “micro-incentivi” (risparmi, migliori offerte, ecc…). Cito testualmente “Se possiamo avere il messaggio giusto, per la persona giusta, nel momento giusto e l’abilità di fornirlo cambieremmo completamente il nostro modo di commerciare. Non dovremmo più comprare impressions perchè saranno inutili. Ed avremmo tassi di conversione vicini al 100%.” Ora, nessuno ha mai sostenuto che il marketing attuale debba essere monodirezionale dall’azienda ai consumatori (se lo trovate sul Kotler, vi pago da bere). E’ una deriva che hanno preso le aziende e che sembrava sulla via di essere scardinata dal maggior potere che la rivoluzione digitale ha dato alle persone (consumatori). Invece qui torniamo all’azienda che continua a calare dall’alto le sue proposte, solo con maggior precisione grazie alla “perfetta” conoscenza dei consumatori acquisita attraverso i loro profili social. Domanda banale: se non si acquistano più “impressions” il 100% di concersioni a cosa si riferisce?

Su una linea simile la visione di Pete Blackshaw, capo del digitale e social media della Nestlè, secondo cui nei prossimi 10 anni si assisterà una convergenza tra un maggior controllo del consumatore (sigh!) ed una più accurata capacità del marketing di soddisfare bisogno non soddisfatti o inespressi. “Nuove forme di analisi dei dati, alimentate volontariamente dai consumatori, contribuiranno a nuovi livelli di precisione nelle attività di marketing”. Il dubbio che le persone sfuggano/rifiutino i prodotti disegnati appositamente per loro a loro insaputa, c’è a fine dell’intervento, ma non è tale da generare uno scenario diverso rispetto al perfezionamento del marketing monodirezionale di precisione.
Blackshaw ricorda anche come oggi i consumatori comincino (???? n.d.a.) ad utilizare i codici QR per andare oltre l’etichetta e questa trasparenza da qui a 10 anni si troverà ad ogni passo del processo di acquisto. Io il primo codice QR l’ho messo su un vino nel 2011, e non ero nemmeno un pioniere perchè alcuni concorrenti l’avevano adottato già l’anno prima. La trasparenza già oggi sta già passando da PLUS a MUST e prevedo che l’utilizzo dei codici QR diminuirà (se non è già successo) se il valore aggiunto delle informazioni non compensa la fatica richiesta.

Glen Hiemstra, autore di Turning the Future into Revenue: What Business and Individuals Need to Know to Shape Their Future, apre il suo intervento dicendo: “I confini tra il mondo analogico e quello che consideriamo oggi come mondo digitale spariranno. Saremo on line ed off line allo stesso tempo”. OK bene: è dal 2007 che sostengo e pratico che non c’è separazione tra on e off line in quanto tutto succede nella mente delle persone, che è una.

Sulla visione di Rita J. King, Direttore di business development della società di consulenza Science House, sono quasi d’accordo. Vede un superamento della divisione tra i creativi e la funzione marketing delle aziende (in seguito alla necessità delle aziende/marche di comunicare contenuti). Prevede però la responsabilità di creare i contenuti rimarrà a carico delle agenzie. io personalmente sono convinto che per assicurare autenticità, credibilità e coerenza la creazione dei contenuti e, soprattutto, la gestione delle relazioni debba essere eseguito dall’azienda. E’ (perchè anche questo è un cambiamento già in atto) quindi necessario che le funzioni marketing si dotino di competenza creative o che coordinino strettamente in modo strategico il lavoro delle agenzie.

L’intervento di Gerd Leonhard, Amministratore Delegato della società di consulenza Svizzera The Futures Agency è forse quello che mi ha lasciato più attonito. Comincia così: “il marketing come l’abbiamo conosciuto nel passato era un’attività diversa dalla produzione e dalla Ricerca & Sviluppo, il che sostanzialmente significa che ci sono persone che inventano cose e persone che le vendono”. E’ vero che ho iniziato questo blog tanti anni fa prorpio partendo dalla constatazione della crisi in cui era caduta la funzione marketing nelle azienda, ma mai avevo pensato che fossimo messi così male. Prosegunedo si trova questa perla “Stiamo finalmente arrivando al punto nel quale il marketing non è l’arte (??? n.d.a.) di vendere qualcosa a gente che non vuole niente (??? n.d.a). Sta diventando più la cura/organizzazione di un “ambiente”: io curo l’immagine (“picture” nel testo originale) che tu vedrai e che tu vuoi vedere”. Vertice di monodirezionalità, mi viene da scusarmi a me con Kotler da parte sua.

Andrew Markowitz, Direttore della Global Digital Strategy alla General Electric rientra nel filone della perfetta targettizzazione grazie all’uso del big data. “Tu quasi non saprai che ti stanno commercializzndo (“you’re being marketed to” nel testo originale) perchè ci saranno dati fantastici, versioni (“versionining” nell’originale) fantastiche, esperienze fantastiche che realmente cancelleranno alcune delle barriere che esistono oggi. …… vedo un’ incredibile personalizzazione. Se non hai qualcosa che sia su misura, perderai.” Pare proprio che il futuro sia basata sull’uso del Santo Graal digitale.

Il primo punto esclamativo l’ho messo di fianco all’intervento di Gwen Morrison, Amministratore Delegato della società di consulenza The Store, parte del gruppo multinazionale di comunicazione e marketing WPP. Partendo anche lei dal presupposto che le gente richiede personalizzazione sostiene che tutto è a richiesta (“on demand” nell’originale): i contenuti, il commercio, ecc… Conseguenza è che alla gente piace interagire con altre persone. Io mi spingo oltre dicendo che per soddisfare un mercato in cui tutto è a richiesta (spesso) non sono sufficienti attività di push, per quanto perfette grazie all’analisi del big data, ma (ad un certo punto) è necessaria la possibilità dell’intervento di una persona in grado di interagire efficacemente con i clienti attuali e/o potenziali.

Chris Nurko, Global Chairman della società di consulenza londinese FutureBrand, fa un ragionamento lineare: la popolazione mondiale cresce rapidamente – più persone significa più contenuto e più connettività – connettività e contenuto saranno regolate dalle norme relative alla privacy ed alla proprietà intellettuale in Europa e Nord America – la proprietà intellettuale e la privacy saranno assolutamente la questione n.1 nel 2024 (nel testo originale “the biggest zeitgeist change”). Lasciamo perdere il club di Roma e le sue previsioni sui rischi dell’eccessiva crescita di popolazione, lasciamo perdere anche i trend demografici che vedeno l’invecchiamento (ed il successivo calo) della popolazione europea al netto dell’immigrazione), che dire di quelli che nel 2024 avranno tra 20 e 30 anni cresciuti in un ambiente in cui è normale che tutti sappiano tutto di tutti. E’ stato Mark Zuckerberger a dire che la privacy non esiste, mica io. Vero che magari la sua non è l’opinione più indipendente del mondo, però come visione del futuro un po’ di credibilità di base ce l’ha. Riguardo poi alla centralità del mondo occidentale, direi che c’è un bel po’ di miopia di marketing rispetto al ruolo che nei prossimi 10 anni giocheranno, oltre ai BRICS, le nazioni del centrafrica.

Concludo con J. Walker Smith, executive chairman della società londinese The Future Company. I miei appunti sul suo intervento vedono un punto esclamativo ed un punto di domanda. il punto esclamativo sta di fianco alla frase “Gli algoritmi e la sperimentazione rimpiazzeranno la psicologia e la visione come cuore del marketing”. Il punto esclamativo è doppio per la rilevanza ed originalità dell’osservazione e perchè, finalmente, si tratta di qualcosa che effettivamente si realizzera da qui a 10 anni. Il punto di domanda (a matita) sta di fianco all’affermazione “Alla fine il mercato del futuro avrà la forma di sempre. All’informazione segue il controllo, quindi man mano che le tecnologie digitali passive mettono più informazione e conoscenza nelle mani degli operatori di marketing, questi riguadagneranno più controllo”.

Finita la parte facile delle critiche, verrebbe quella difficile delle proposte. Però è tardi ed il post è già abbastanza lungo e denso.

Rimando quindi le proposte su come immagino il marketing del futuro alla prossima settimana. Per non lascivi del tutto all’oscuro anticipo che in estrema sintesi credo che per il marketing del 2024 sarà necessario ESSERE piuttosto cher apparire. Detto così sembra una banalità, però le implicazioni sono numerose e profonde.

L’importanza dell’analisi di scenario per la scelta della strategia migliore: il caso del governo Renzi.

Come avevo annunciato domenica scorsa, ecco le riflessioni sulle analisi di scenario basate sulla formazione del nuovo governo Renzi.

La mie intenzione era di dare centralità ai principi ed alle tecniche di analisi, da cui la scelta di parlarne oggi, a freddo rispetto alla formazione del governo. Questa in realtà non è stata nè così rapida nè così liscia come previsto, voglio sottolineare una volta di più che la scelta dell’argomento politico è solamente un personale divertissement.

Parto dall’analisi “Nella testa di Renzi” fatta da Francesco Costa su “Il Post”, che cerco di sintetizzare per stralci, in modo da definire la sua analisi dello scenario.

Renzi è segretario del PD da dicembre. Il suo grande consenso popolare, semplificando, si basa soprattutto sul suo essere diverso dalla grandissima parte di quelli che ha attorno. Diverso come toni, diverso come efficacia, diverso come curriculum e provenienza, diverso come passo.

Riformulo la domanda: Renzi è al governo o all’opposizione? Per quanto straordinario, il governo Letta è senza ombra di dubbio un governo del PD. Allo stesso modo però è un governo con cui Renzi non ha praticamente niente a che fare,

Renzi, per fare Renzi, doveva far correre il governo Letta e le sue riforme: non c’è riuscito. Mandare quattro dei suoi al governo avrebbe dato la sveglia al governo?

Le elezioni europee, storicamente, sono pesantissime per il governo in carica (….) Renzi ha detto più volte esplicitamente che il PD rischia una scoppola, se non si dà una mossa e quindi se non dà una sveglia al governo, “se non porta a casa qualcosa”. La legge elettorale e l’abolizione del Senato erano quel tentativo: arenato.

Scenario realistico, il più probabile: Renzi, per quanto tenti di fare il Renzi, non ci riesce. Il suo destino, la sua carriera politica, la possibilità di vincere un giorno le elezioni, si ritrovano legate a un Parlamento ingolfato, a un governo immobile e a un’elezione imminente che deve affrontare difendendo il governo immobile. Rischio concretissimo: il PD va male alle Europee. Migliora la sua percentuale di voti rispetto alle politiche, magari invece di prendere il 25 prende il 29 per cento. (…..) è così improbabile che il Movimento 5 Stelle prenda il 30? Pensate a questa ipotesi, piuttosto credibile: gli attacchi duri a un governo impopolare premiano l’opposizione e soffocano la maggioranza, quindi alle europee, magari per un pelo, il Movimento 5 Stelle diventa il primo partito. Il risultato è che Renzi è cotto. Una cosa doveva saper fare, prendere i voti, e non ci è riuscito.

…… soprattutto perché andare a votare con l’attuale legge elettorale, un proporzionale puro, garantisce matematicamente la necessità di dover ricorrere nuovamente a un governo di larghe intese.

Per cui, a un certo punto, Renzi pensa: sai che c’è? Se il mio destino dipende dal governo, tanto vale che il governo lo faccia io. Rischio? Certo che rischio. Ma rischio comunque. Almeno così dipende da me, mi gioco le mie carte, padrone del mio destino.

Immagino che Renzi si renda conto che questo passaggio è stato molto rozzo, per usare un eufemismo. Una manovra di palazzo, come dicono quelli: non ci piove. Ma Renzi sa anche che (…..) che in ultima istanza l’unica cosa che conterà per le sue sorti politiche sarà quello che farà quando sarà capo del governo: se farà cose buone e popolari tra sei mesi nessuno nemmeno si ricorderà come arrivò al governo.

Questo in sintesi lo scenario secondo Francesco Costa e da qui partiamo.

1° assunto teorico: il marketing è una scienza analitica e non deterministica (come tutte le scienze sociali suppongo). Questo significa che fornisce le tecniche per analizzare in modo completo ed efficace gli scenari.

2° assunto teorico: se nell’affrontare uno scenario avete una sola strategia siete morti (la vecchia storia degli oceani rossi ed oceani blu). In realtà ci sono sempre strategie alternative, quindi se nell’affrontare uno scenario avete una sola strategia, siete morti per perchè siete pigri (proverbio spagnolo: la pereza es la madre de la pobreza).

3° assunto teorico: confrontando diverse strategie bisognerà preferire quella minimizza le probabilità di rischio e/o massimizza le probabilità di risultato. Più gli scenari sono complessi e/o le strategie diverse e più è necessario scomporre i vari elementi per fare una valutazione completa.

Per questo è necessario un approfondimento dei punti di forza e debolezza della proposta politica di Renzi (attenzione che “proposta politica” va inteso come se fosse la “unique selling proposition” o “best selling proposition” di una marca/prodotto.

Questa è l’analisi che ho fatto io:
Renzi: punti di forza.
- È nuovo e diverso.
- E’ trasparente, chiaro, coerente.
- Rispetto per le regole vs. accordi di palazzo.
- E’ pragmatico e deciso (da sindaco ha dimostrato di saper fare, e bene). Non ha pregiudizi ideologici.
- Merito vs. casta.
- Ha un ideale di società più semplice e più giusta in termini di diritti, doveri e privilegi.

Renz: punti di debolezza.
- E’ come gli altri, mosso dall’ambizione (e dall’interesse) personale per il potere.
- La racconta bene, ma è solo facciata.
- Non ha né esperienza ne programma.
- Non è né di sinistra, né tanto meno progressista. La sua visione della società è allineata con quelle delle elites (caste) imprenditoriali e finanziarie.

Vanno poi definiti gli obiettivi strategici. Su questo riprendo l’analisi di Costa secondo cui l’obiettivo di Renzi era fare il Presidente del Consiglio per cambiare davvero l’Italia e non personale ambizione di potere. Questo perchè ci credo (credeveo?), ma soprattutto perchè è l’obiettivo dichiarato e quindi l’unico che è lecito prendere in considerazione. Evidente che l’ottenimento del potere è condizione necessaria, ma non sufficiente, per operare il cambiamento. Come sottolinea giustamente Costa … per cambiare l’Italia davvero, per trattare con alleati e sindacati e industriali da posizioni di forza, serve la spinta politica che può darti solo un netto successo elettorale.

Mettendo insieme lo scenario di Costa, la mia analisi dei punti di forza e debolezza e l’obiettivo di Renzi è possibile innanzitutto sviluppare strategie alternative e poi valutarle in modo rigoroso.

La strategia della “staffetta” seguita da Renzi la conosciamo tutti. La chiamerò “Strategia 1″. Per ragioni di brevità mi limiterò ad una sola alternativa (ripeto che lo scopo di questo post è principalmente quello di approfondire le riflessioni sulle tecniche di analisi) che chiamerò “Strategia 2″ (oggi fantasia al potere).

L’altra strategia per raggiungere l’obiettivo di diventare Primo Ministro e rinnovare il Paese poteva essere andare al voto con il sistema proporzionale, accorpando le politiche alle europee.

Di seguito trovate l’analisi delle due strategie, scomposte negli elementi che caratterizzano lo scenario tratteggiato da Costa, in base alla probabilità che si verifichi l’elemento, il suo effetto nel rafforzare la convinzione degli attuali simpatizzanti/elettori e nell’attirare nuovi simpatizzanti/elettori. Anche in questo caso la scelta di utilizzare solamente due parametri di analisi degli elementi risponde ad un principio di semplificazione dell’esposizione. Nulla vieterebbe, anzi nel caso reale sarebbe auspicabile, che la ponderazione della probabilità avvenisse sulla base delle intenzioni di voto (o della loro variazione) dei diversi segmenti dell’elettorato (intesi quelli che oggi voterebbero PD, M5S, NCD, FI, SEL, etc..) al verificarsi o meno dei diversi elementi.

Valutazione strategie Renzi

AVVERTENZA: l’uso dei numeri permette di scomporre e pesare con maggior rigore i diversi elementi del ragionamento, ma non li fanno diventare veri di per sè. Non bisogna quindi incorerre nell’errore di credere che l’analisi sia vera solo perchè formalizzata in termini quantitativi. I numeri aiutano ad analizzare i ragionamenti e capire se e quanto sono corretti. In questo caso le considerazioni sono state che nell’andare a breve alle elezioni con il sistema proporzionale Renzi comunque ci mette la faccia mantenendo iniziativa politica e dinamismo, non intraprende azioni incoerenti con il suo percorso e le sue dichiarazioni politiche e quindi non perde credibilità ed immagine di novità. Anzi la rafforza facendo una cosa di cui si è spesso parlato, ma non si è mai fatta malgrado permetta un risparmio di soldi pubblici (l’accorpamento di politiche ed europee). Riduce il rischio di un insuccesso alle europee del partito di governo, grazie all’effetto trascinamento delle politiche, che sarebbero diventate una sorta di plebiscito sul cambiamento/rinnovamento del paese (di cui è già l’emblema). Costringe gli avversari politici a prendere posizioni ed impegni chiari nei confronti dell’elettorato, mettendone in evidenza l’eventuale volontà di mantenere lo status quo (come aveva già fatto presentando tre proposte di riforma elettorale che evidenziavano l’effetiva volontà di non affrontare la questione, salvo poi virare sugli accordi ad personam con Berlusconi).
Anche nel caso, probabile, di dover fare un governo di coalizione, avrebbe avuto più libertà nella scelta della compagine di governo e del programma. Che la coalizione fosse più assurda dell’attuale sarebbe stato alquanto improbabile.
Oggi si gioca tutto sul miracolo di realizzare un programma di governo diverso senza cambiare nè la maggioranza, nè le persone.
La “Strategia 2″ risulta preferibile perchè permetteva di trovarsi, alla peggio, nella situazione attuale, senza perdita di credibilità, quindi di capitale politico/elettorale.

Vero che secondo Costa le elezioni erano un’opzione non prevista da Napolitano, ma alla base quali alternative poteva avere? Soprattutto non si può innovare senza eterodossia e per crescere bisogna “uccidere” il padre (in questo caso il nonno).

Concludo con due personali considerazioni politiche:
- In tempi non sospetti ho dichiarato che per il rinnovamento del Paese contavo su Renzi per convinzione, adesso spero su Renzi per necessità.
- Più ci penso è più mi convinco di quanto interessante sia l’opzione della sorteggiocrazia (scusate per il link all’articolo in inglese, ma quello all’Internazionale non c’è).