Oggi un argomento vecchio di ben 6 mesi.
D’altra parte questo vuole essere un blog più di riflessione che di notizie, e poi anche volendo non riuscirei a star dietro alla velocità dell’informazione.
Argomento appassionante però. Anzi una di quelle cose che verso la fine del 2006 mi ha fatto venir voglia di aprire un blog per dire la mia su quello che vedevo succedere nel (mio) mondo del marketing in senso esteso.
L’argomento è la campagna tv del Parmigiano Reggiano uscita nell’ultimo trimestre dell’anno scorso e ripartita in questi giorni (altrimenti non avrei fatto questa necrofilia della comunicazione).
Se non ve la ricordate basta che scriviate “blog spot parmigiano reggiano” e vi vengono fuori pagine e pagine. C’è anche un sito interamente dedicato allo spot, che non cito perchè chiaramente realizzato dall’agenzia di pubblicità non tanto come forma (niente in contrario) ma come contenuti.
Guardando la quantità di post e di commenti lo spot ho notato innazitutto come lo spot non abbia colpito solo me (meno male, sono ancora una persona e non una professione) e come abbia avuto un altissimo numero di adesioni entusiastiche. E’ vero che ci sono anche moltissimi commenti negativi, però leggendoli si ha come l’impressione che questi ultimi siano più di testa ed un po’ snob, mentre i primi vengano dal cuore (e non devo certo essere io qui ed adesso a dilungarmi sull’importanza del coinvolgimento emozionale con le marche per l’efficacia della comunicazione).
Eppure, qui sì da professionista del marketing, anch’io sostengo che l’attuale spot del Parmigiano Reggiano è una pubblicità pessima proprio per la sua grandissima memorabilità, basata principalmente sul jingle a sulla ridicolaggine dei personaggi (ossia in sintesi sulla simpatia).
A cosa serve infatti l’awareness per il formaggio più famoso d’Italia? E che ne è invece adesso del suo posizionamento di mito della tradizione gastronomica italiana, considerando che è anche il formaggio più costoso? Qualcuno nell’agenzia che ha fatto lo spot o al Consorzio si è chiesto come va a collocarsi un un mercato dove il Grana Padano sta trasmettendo uno spot sicuramente meno impattante in termini di ricordo, ma che spinge sulla qualità dei 20 mesi di invecchiamento del Grana Padano riserva?
Succederà come negli anni ’80 (si lo so che è il secolo scorso) quando, seguendo il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ha eliminato la distinzione tra formaggio agostano (prodotto durante il periodo estivo, quando le mucche vengono alimentate con l’erba fresca) ed il vernengo (prodotto in inverno, quando invece l’alimentazione è basata su foraggi secchi)? In termini di marketing ha senso che la frontiera della qualità sia segnata dal prodotto col disciplinare produttivo meno rigido in termini di metodologia produttiva?
Avrò (avremo) ragione tra qualche mese o sono (siamo) l’ennessima dimostrazione dello scollamento tra le elucubrazioni dei comunicatori e la realtà del mondo?
Un’ ultima domanda, specialmente per gli amici pubblicitari: non trovate sorprendente che la stessa agenzia (Max Information, gruppo Armando Testa) sia la stessa che nel giro di un paio d’anni realizza le campagne con la mucca che cerca di intrufolarsi nel territorio del Consorzio con claim “Parmigiano Reggiano: non si fabbrica si fa”, quella della famiglia con claim “Solo Parmigiano Reggiano è uguale a Parmigiano Reggiano2 e quest’ultima (sfido chiunque ad associarla al claim “Parmigiano Reggiano: quando c’è si nota).
Lo so che ci può essere lo zampino del cliente, ma non credo credo che un organismo come il Consorzio del Parmigiano Reggiano eserciti un indirizzo così forte sulla realizzazione delle campagne. E comunque dov’è il ruolo dell’agenzia come consulente strategico del posizionamento del marchio?
Cosa ne pensate?
Caro Lorenzo,
Benvenuto nel mondo dei bloggers attivi e grazie per l’apprezzamento per marketingblog.
Condivido assolutamente il fatto che il Parmigiano Reggiano in Italia non abbia bisogno di creare notorietà di marca; forse dovrebbero investirli all’estero quei denari.
Sinceramente penso che su questa situazione sia l’agenzia che specula con costi di produzione moltiplicati per n spot sguazzando nella confusione che spesso regna nei consorzi [come ho avuto modo di constatare lavorando per il distretto del mobile dell'alto livenza] ed ipotizzo possa regnare anche in questo.
Un abbraccio.
Pier Luca Santoro
PS: Per “ricambiare il tuo link”, ho inserito il link al tuo precedente articolo all’interno del mio Marketing Outlook 2007.
Saluti.
Caro Pier Luca,
L’ipotesi che l’agenzia ci marci, confidando sul debole controllo del cliente è plausibilissima.
A me però quello che intriga è il miraggio del successo di awareness rispetto al posizionamento (ossia awareness con un significato). Perchè credo proprio che una campagna come quella del Parmigiano-Reggiano sarebbe considerata splendida dall’alta direzione del 99% delle aziende, grazie ai risultati di notorietà raggiunti.
Grazie per il tuo link e buona Pasqua.
Lorenzo
Caro Lorenzo,
ho scelto questo argomento come mio primo commento nel tuo blog, anche se non è il più recente, perchè credo proprio che quello spot sia quanto di peggio si possa fare per un prodotto che ha un’immagine elegante e di livello in tutto il mondo.
Insomma, se da una parte è vera la regola che “bene o male, l’importante è che se ne parli”, allora perchè non fare almeno in modo che se ne parli bene anzichè male?
Sia del Consorzio o dell’agenzia o del connubio tra le parti la responsabilità di tale scempio, ciò che mi sconcerta di più è che sono d’accordo con te quando dici che lo spot sarebbe ritenuto soddisfacente per il 99% delle aziende italiane…aiuto!!!
Ma secondo te qual era l’obiettivo ammesso che ce ne fosse uno?
E poi qualcosa di analogo aveva già fatto riso Flora (anche se con uno stile migliore) tempo fa quando gli ingredienti di un’insalata attendevano eccitati e accoglievano poi l’arrivo del riso nella ciotola…anche se il contesto era differente come non notare l’analogia?
Insomma direi proprio che lo spot è bocciato insieme a tutti coloro che ne sono stati responsabili.
Alla prossima.
Antonio
Caro Antonio, come avrai capito l’attualità non è la caratteristica principale del mio blog.
Casualmente qualche giorno dopo aver scritto questo post sono stato ad una conferenza che aveva tra i relatori il Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, che ha mostrato gli splendidi dati di awareness e gradimento generati da questo spot. Allo stesso tempo le ricerche rilevavano che il vecchio spot del Grana Padano con il coltellino che passava vari alimenti per conficcarsi nella forma era percepito da una % non trascurabile di consumatori di qualità pari al Parmigiano Reggiano. Alla mia domanda se nella cosa non vedesse un rischio di sposizionamento del marchio Parmigiano Reggiano il dott. Bertozzi mi ha dato la classica risposta consortile, ossia che le strategie commerciali non competono a loro ma ai singoli associati, loro possono e devono fare solo notorietà.
Il problema è che questa genta usa (anche) soldi pubblici.
non so se sono in ritardo sull’argomento, ma provo lo stesso a dire la mia. in particolare mi ha colpito il rilievo mosso all’agenzia (come possono essere gli stessi? dov’è il ruolo della stessa come consulente sul posizionamento strategico del marchio?). la faccio corta, due cose:
- la strategia dicomunicazione penso sia la correta applicazione della strategia di mktg. se, come sembra il caso, gli obiettivi di mktg mutano, bene fa la campagna a mutare tono
- difficile dare un giudizio circosrtanziato sulla campagna senza conoscerne gli obiettivi, no? magari è stata proprio l’agenzia a consigliare la “virata”
(e se invece si fossero ritrovati uno spot riuscito, nonostante la strategia? sarò malizioso, ma non mi stupirei…)
concludo complimentandomi per l’intento dichiarato di riportare il marketing al centro del mondo aziendale. non sarà mai troppo presto quando questo accadrà. da pubblicitario, ritengo che *it takes two to tango* e se la nostra controparte in azienda non ha sani rapporti di forza all’interno dell’azienda, la strada della buona comunicazione sarà sempre in salita e piena di buche.
un saluto,
max
Caro Max, su questo blog non è mai troppo tardi per entrare su un argomento. Mi scuso invece io del ritardo ma ho qualche problema di collegamento che la buona Telecom non mi ha del tutto risolto.
E’ ovvio che entrare nel merito senza conoscere tutti i dettagli è un po’ come sparare dalla fondina (espressione del mio presidente): c’è sempre il rischio di colpirsi sui piedi (corollario del direttore marketing).
Il caso ha voluto che un paio di settimane dopo avere scritto il post ho partecipato ad un convegno dove uno dei relatori era il Presidente del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano.
Oltre agli splendidi dati di ricordo e gradimento dello spot (attenzione non del marchio e del prodotto), ha commentato positivamente anche il fatto che i consumatori associassero il vecchio spot del coltello del Grana Padano al marchio Parmigiano Reggiano in base alla all’immagine di prodotto di alta qualità che trasmetteva. Alla mia domanda se non fosse preoccupato da questa confusione tra i due marchi in termini di percezione qualitativa, soprattutto considerando che il Grana Padano ha un costo di produzione e prezzo di mercato inferiore e sta facendo una comunicazione basata sul prodotto di lunga stagionatura, mi ha dato la classica risposta da Consorzio: loro non entrano nelle logiche commerciali dei consorziati e quindi possono solo fare awareness. Il concetto di posizionamento è un illustre sconosciuto.
E proprio qui credo stia la difficoltà per l’agenzia che deve fare il boia e l’impiccato (darsi il brief e fare la creatività).
Ad ogni modo il mio post nasceva soprattutto dallo stupore per il contrasto tra la (quasi)unanime valutazione negativa data alla campagna dai professionisti del marketing e comunicazione e l’entusiasmo da parte di tutti gli altri.
Ferrero (che peraltro ammiro) docet?
Sulle ultime cinque righe del tuo post potremmo parlare una settimana! Come giustamente accenni tu, potremmo definirlo il paradosso-ferrero: campagne pubblicitarie che vendono uno sfracello ma fanno schifo agli addetti ai lavori. Perché e percome… potremmo parlarne all’infinito, appunto.
Come appartenente alla comunità dei “creativi” (parola maledetta, ma insomma la usiamo per capirci – sono un copywriter con lunghe esperienze di canard e pirella nonché socio adci), conosco bene la puzza sotto il naso della mia categoria (tra gli addetti ai lavori siamo certo fra quelli col nasino più in alto), ma posso dirti che – se da un lato è vero che i fighetti snobbano i prodotti tipo ferrero e relative campagne – fior di professionisti conoscono e rispettano la difficoltà di comunicare un prodotto mass-market, anzi.
I migliori, a mio parere, sono quelli che rispondono a colpi di talento (detersivo = prodotto maledetto, eppure qualcuno ha inventato perlana passaparola, o no?)
a presto
max