Little murders

Pochi giorni fa attraverso il gruppo di discussione di brand managemente dell’American Marketing Association my è arrivata il concetto di “little murders”. Mi è sembrato interessante e quindi mi unisco anch’io alla folta schiera di quelli che si fanno una reputazione traducendo in italiano quello che viene d’oltreoceano (almeno implica un qualche sforzo).

Un relatore di un seminario (purtroppo non sono riuscito a scoprire il nome) esprimeva questa teoria secondo cui le relazioni si distruggono (spesso aggiungo io) attraverso “Piccoli omicidi” piuttosto che grandi catastrofi.

Dimenticanza dell’anniversario di matrimonio, assenza in occasioni importanti per il partner, ecc…. Non mi dilungo, credo che tutti possiamo fare una lista sufficemente lunga tra esperienze personali e di amici e conoscenti.

Il concetto è che ogni volta che si promette qualcosa che poi non si mantiene si verifica un piccolo omicidio alla relazione che ne succhia via la gioa lasciando frustrazione, rabbia e, peggio del peggio, apatia dovuta al ridursi delle aspettative.

E’ evidente che il concetto nasce nell’ambito dei rapporti interpersonali, ma è altrettanto trasparente la sua applicabilità ai rapporti tra una marca ed il mercato (inteso come insieme dei consumatori).

Una serie di elementi di questa teoria mi hanno colpito:
- il punto di partenza è il livello di aspettative che, nel caso di una marca è determinato dal mix creato con la comunicazione, dalle performances passate e da quelle dei concorrenti. Un mix in buona parte fuori dal controllo dell’azienda oramai anche per quanto riguarda la comunicazione (vedi il passaparola). mi ricordo nei primi anni ’90 (oramai preistoria) quando Infostrada entrò nel mercato della telefonia e l’allora Telecom (o era ancora SIP?) spinta dalla concorrenza incominciava a misurare la soddisfazione degli abbonati, riscontrando con stupore che, malgrado venisse percepito un sostanziale migliramento del servizo, questo veniva comunque valutato insoddisfacente dalla maggior parte degli intervistati.

- il secondo elemento è la piccola importanza contingente della delusione alla base del piccolo omicidio. Di per sè niente che non sia comprensibile e per cui sembri giusticato da entrambe le parti di prendersela più di tanto. Arriva un punto però che la somma accumulata riempie la misura. Quindi è fondamentale occuparsi anche delle piccole cose (nelle economie mature ipercompetitive sono i dettagli che fanno la differenza) e curare tutte le ferite il meglio possibile, anche le più piccole.

- il terzo elemento è che uno dei risultati (il più probabile?) di tutto questo è l’apatia. Con la carestia di tempo e la stanchezza emotiva che caratterizzano i consumatori nelle economie sviluppate perchè dovrebbero investire tempo e sforzo nell’affrontare la deriva della relazione? La lasciano andare a poco a poco. Come mi diceva il mio primo Direttore Vendite in Levoni: “Non si preoccupi dell’agente che rompe l’anima chiamando tutti i giorni, si preoccupi di quello che non chiama mai”. In un marketing che sempre di più si preoccupa della fedilezzazione, del coinvolgimento del consumatore, del bonding (che troppo spesso si converte ancora in bondage) non credo sia necessario sottolineare il pericolo che implica l’apatia da perte dei consumatori.

Disarmiamoci!

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