Visto che il titolo di questa serie di posts è “Le ricerche bisogna saperle scrivere”, ho pensato che forse sarebbe stato opportuno spendere due parole su come scrivere le ricerche di marketing. Niente di particolarmente approfondito su un tema dalla bibliografia sterminata; semplicemente alcune dritte che nascono dall’esperienza di ricercatore prima e committente di ricerche poi, che possono aiutare ad evitare gli errori più marchiani. Esprimerò i concetti in modo volutamente manicheo, perché poi tanto ci pensa la pressione dell’operatività quotidiana a portarci nelle zone grige delle eccezioni alle regole e dei compromessi.
Le metodiche qualitative servono per aprire le domande, quelle quantitative per chiudere le risposte.
Alcuni anni fa seguii 4 focus groups negli USA che avevano come oggetto principale il cambio di packaging di un prodotto già esistente. Alla fine dell’ultimo focus group il responsabile del progetto mi disse sconsolato che era più confuso di prima riguardo all’implementazione del nuovo pack, per la ridotta convergenza riscontrata su questo argomento nelle discussioni dei gruppi. In quel momento ho capito che veramente speravano di ottenere una risposta definitiva dai consumatori attraverso i focus groups, ottenendo il doppio risultato di esplorare le motivazioni e gli atteggiamenti nei confronti della categoria e la validazione della nuova ipotesi, risparmiando quindi sui costi di ricerca. Potete stare certi che queste giocate non riescono neanche ai più bravi tra i migliori. Tra l’altro che validazione ci può essere nelle risposte di 32 persone. Io sono sempre stato d’accordo con Feargall Queen che diceva che i focus group sono quello strumento che ti permette di ascoltare l’opinione/l’idea/il suggerimento di quell’unico partecipante che ha ragione. Che poi riconoscerne la ragione sia conseguenza di una validazione tramite una ricerca quantitativa o di una valutazione del management è tutto un altro discorso.
Parallelamente pensare di scoprire opinioni/motivazioni/atteggiamenti inattesi attraverso ricerche quantitative è altrettanto illusorio.
I questionari, quanto più brevi, meglio.
Il mio professore di Research in Consumer Studies in Canada esortava a costruire questionari che comprendessero tutto il need to know (necessario) e niente nice to know (utile). Che sia una disciplina difficile da seguire lo esprimono già le parole, perché tutti vorremmo raccogliere le informazioni utili oltre a quelle necessarie. I vantaggi di limitarsi solo al necessario sono però molti e superano quelli che possono provenire dall’utile.
1) Aiuta a definire con maggior precisione gli obiettivi della ricerca (vedi post precedente).
2) Aiuta a mantenere breve e focalizzato il questionario che risulterà quindi più facile per l’intervistato.
3) La chiarezza degli obiettivi dell’indagine, unita alla chiarezza delle risposte da parte degli intervistati, porta ad una maggior chiarezza dei risultati.
4) Sottoporre un questionario a qualcuno significa comunque disturbarlo; questionari brevi e chiari riducono il disturbo e quindi rendono le persone più disponibili a partecipare ad altre ricerche in futuro e meno critiche al sistema delle ricerche di marketing in generale.
Il rischio principale dei questionari lunghi e faticosi (serie infinite di scale di valutazione/accordo-disaccordo delle affermazioni più disparate) è l’inaffidabilità delle risposte. Una volta che una persona è coinvolta in un questionario, sarà improbabile che lo tronchi a metà (soprattutto se l’intervistatore cercherà di convincerlo che manca poco per poter completare la rilevazione. A questo punto le persone cominciano a rispondere a caso, sia inconsciamente per la perdita di attenzione che scientemente per “vendicarsi” del disturbo. Il questionario sarà sì completo, ma dannoso per la distorsione occulta che introduce nella rilevazione complessiva.
Può sembrare che queste raccomandazioni fossero valide più in passato, quando le ricerche si basavano su interviste personali o telefoniche, che non per le ricerche eseguite on-line su liste di persone che hanno dato la loro disponibilità a partecipare ad indagini di mercato, che predominano oggi.
Pur convivendo il fatto che rispondere ai questionari on-line sia intrinsecamente più facile (le persone scelgono il momento in cui rispondono, è possibile inserire immagini, ecc…), io resto convinto che sforzarsi a costruire un questionario essenziale nei contenuti e logico nella struttura dia maggiori garanzie di ottenere risposte a quello che realmente si voleva chiedere.
L’interpretazione univoca delle domande da parte degli intervistati non va dta per scontata, ma va conquistata.
Quello che per noi sembra automatico ed ovvio, per l’intervistato non lo è. Detta così sembra una banalità, ma recentemente ho assistito alla presentazione di una ricerca sulla forze delle marche di diversi settori ed in quello alimentare alla domanda “Quali marche negli ultimi tempi hanno particolarmente attirato il suo interesse” al primo posto appariva Parmalat. Scusate lo scetticismo, ma dubito che questo risultato fosse indipendente dalla presenza continua sui media di notizie riguardanti il tentativo di acquisizione di Lactalis. Non ho invece alcun dubbio che l’interesse manifestato a seguito di questa domanda non fornisce alcuna indicazione sulla valutazione positivi, negativa o neutra che gli intervistati danno alle marche citate.
Questo mi sembra un eccellente esempio di indeterminatezza dovuta alla cattiva scrittura del questionario, che permette quindi di leggerne i risultati come si vuole.
Per evitare situazioni simili è indispensabile scrivere le domande in modo che la loro interpretazione da parte degli intervistati sia univoca in modo che quello che capiscono sia effettivamente quello che volevamo chiedere e che le possibili risposte siano altrettanto chiare, in modo che noi altrettanto univocamente capiamo quello che loro volevano effettivamente rispondere.
Il classico consiglio che si dà in questi casi è di mettersi nei panni dell’intervistato, ma quando si sta portando avanti un progetto di ricerca ci si immersi fino al collo e tirarsene fuori diventa difficile e faticoso. Io preferisco chiedere a qualche collega di altre funzioni (il più possibile distanti dal marketing) di rispondere alla bozza del questionario. E’ un sistema molto più veloce ed efficace per individuare i punti controversi.
Concludo il post ricordando quali sono le informazioni essenziali che dovrebbe fornire una ricerca di marketing:
- chi, cosa, dove, come quando e perché compra.
- chi, cosa, dove, come quando e perché consuma.
Non concludo invece la serie, perchè mi riservo un ultimo post dove, ad apparente smentita di quanto ho scritto finora e della mia naturale razionalità mercuriale, affronterò il tema di come leggere le ricerche di marketing. Così tanto per smentire una volta di più gli oroscopi e perchè è un periodo di cambiamenti e quindi … all my life I have been good, but now I am thinking what the hell!