Sono tornati i russi.
I dati del commercio del vino mostrano che il 2017 ha riportato le importazioni di vino da parte della Russia ai livelli del 2014 e la presenza di molti operatori russi al ProWein lo conferma.
Vero che anche i prezzi che cercano sembrano quelli del 2014 e quelli di una vendemmia scarsa come il 2017, ma questo è un problema a cui si trova sempre una soluzione se c’è la domanda di base.
Chiaroscuri organizzativi.
Un’ora per arrivare in fiera con la macchina, il parcheggio P1 è lontanissimo da qualsiasi entrata (e camminare 15 minuti sottozero non è il massimo) e lo staff in fiera non trova un espositore nemmeno dandogli il nome completo e preciso.
Però il guardaroba gratuito è un dettaglio che fa la differenza per noi visitatori senza stand.
Qual è sarà la prossima tendenza in tema di etichette?
Dopo l’ondata di animali in etichetta abbiamo avuto quella del minimalismo spinto. Tutte le ricerche sembrano mostrare che per il consumatore il “vino di qualità” è quello che le etichette classiche: disegno della cantina/vigneto, nome del vino annata, grafica e carattere tipografici tradizionali.
Ma, per fortuna, non si consuma solo “vino di qualità”.
Girando per i padiglioni del ProWein una tendenza chiara della direzione in cui sta andando l’immagine delle etichette io non l’ho vista. E non ho visto nemmeno un’etichetta che mi abbia colpito per il suo “wow effect”.
Se penso a quello che ho visto (soprattutto) nel nuovo mondo vedo parecchi tentativi di fare etichette “esplicite” nella loro comunicazione di una storia, un pensiero o un’emozione.
Riusciranno poi i vini che sono dentro a mantenere le promesse così specifiche fatte dalle bottiglie? Qui sotto un esempio di una viticoltrice della Borgogna che ha chiamato i tre chardonnay ottenuti da parcelle diverse rispettivamente “L’impatiente“, “L’elegante” e “La Voluptuese”
Strillare i concetti in etichetta invece di incuriosire e differenziare non rischia forse di ottenere l’effetto contrario?
Dubbi legittimi o il segnale dell’avanzare della mia età?
Partendo dalla constatazione che il vino è, diventato (ahimè) un oggetto culturale e pensando a come sono cambiate le copertine dei libri, oggetto culturale per eccellenza, negli ultimi 25 anni probabilmente hanno ragione loro.
E per il ProWein 2018 è tutto, anche perchè buona parte del pomeriggio l’ho passato ad approfondire le mie conoscenze di Pinot Bianco dell’Alto Adige, di Champagne, di Borgogna e perfino dei vini del Libano. Ma questa è un’altra storia ….