Nel mio posto del giugno 2016 “Sul web si crea la reputazione, non la conoscenza di marca” , ho pubblicato questa matrice, che sviluppai nel lontano 1993 quando mi dedicavo all’inquadramento teorico del marketing dei prodotti tipici a denominazione d’origine, senza spiegarla.
Credo però che meriti un approfondimento per l’utilità che ha il suo utilizzo nell’analisi della situazione della marca e nella definizione delle relative strategie.
Come esempio concreto prendo la recente campagna pubblicitaria del Buondì Motta, approfittando del fatto che la grande attenzione ricevuta rende i ragionamenti che seguono più facilmente comprensibili.
La campagna Buondì aveva l’obiettivo dichiarato di rilanciare una marca/prodotto un po’ appannata ed ha generato grande aumento della sua awareness (sicuramente a breve termine, sul medio è da vedere).
Però era proprio l’awareness il punto debole su cui bisognava intervenire? Dipende.
Se la marca si trovava nel quadrante buono, e quindi l’appannamento dipendeva dalla bassa awareness in presenza di una buona reputazione, evidentemente la strategia della campagna era quella giusta.
Se però l’appannamento della marca dipendeva da un basso livello sia di awareness che di reputazione, quadrante potenziale, investire sull’aumento di awareness sposta la marca nel quadrante pessimo (affossandola definitivamente).
Ovviamente la rappresentazione di confini netti tra i vari quadranti della matrice è una semplificazione per esprimere il concetto con maggior chiarezza. Nella realtà operativa lo spostamento delle marche sugli assi è un continuum.
Altrettanto è evidentemente che l’aumento di reputazione implica sempre un certo aumento di awareness, se non altro per il passaparola.
Attenzione però che non è vero il contrario, ossia ci può essere aumento di awareness senza aumento di reputazione. Oppure, ed è il caso peggiore, ci può essere un aumento di awareness innescato da un calo di reputazione, come nel caso di Carpisa di questi giorni.
Dal punto di vista delle strategie aziendali, quello che lega awareness e reputazione è il positioning, inteso come la definizione da parte dell’azienda di cosa la marca vuole rappresentare per la sua audience e le successive azioni messe in atto per realizzare questa rappresentazione sul mercato.
In altre parole dal punto di vista aziendale il positioning è l’insieme della definizione della reputazione che dovrebbe avere la marca della marca e le strategie realizzate per trasferirla sul mercato. Attenzione che il trasferimento del positioning non riguarda solamente la politiche di comunicazione (che non a caso io definisco di “percezione” nella mia visione del Marketing Totale), ma anche quelle di prodotto, prezzo e distribuzione (che io definisco “presenza” nella mia visione del Marketing Totale)
Nella matrice invece l’asse della reputazione rappresenta la reputazione effettiva della marca sul mercato.
Le due reputazioni, quella pianificata dall’azienda e quella percepita dal mercato, non corrispondono quasi mai per le distorsioni che il messaggio subisce nel processo di comunicazione tra l’emittente ed il ricevente. Anche se non siete degli esperti di teoria della comunicazione, semiotica, ecc.., basta che da bambini abbiate giocato una volta al telefono senza fili per sapere cosa intendo.
Più il positioning aziendale è chiaro, forte, preciso e dettagliato e meno distorsioni subirà nel trasferimento al mercato.
Qual’era la posizione della marca Buondì sulla matrice awareness-comunicazione prima della campagna pubblicitaria? Qual’ è il positioning che vuole comunicare? E’ definito chiaramente? E’ quello che viene trasmesso/recepito dalla campagna?
Vista tutta la discussione che ha generato nei media analogici, digitali e social credo che sarebbe una bella azione di content marketing se Buondì rendesse pubblici i risultati della campagna pubblicitaria in termini di variazione dell’awarness, reputazione e vendite.
Condivido totalmente questa riflessione. Non abbiamo tutti gli elementi necessari a valutare la situazione ma non credo che il Buondì sia percepito come una merendina che coniuga leggerezza e golosità, soprattutto sul fronte della golosità credo ci sia un gap rispetto alle aspettative del target.
La campagna ha ottenuto una visibilità molto superiore a quella che avrebbe generato soltanto con l’investimento dell’azienda e quindi un effetto moltiplicativo dell’awareness nel breve periodo, come giustamente scrivi, c’è sicuramente stato ma non vedo come questo possa trasformarsi in un miglioramento della reputazione. Probabilmente ritengono che nel mercato delle merendine la pura notorietà traini l’acquisto, non essendoci rilevanti differenze tra le marche. Sarebbe interessante vedere i dati di rotazione nei prossimi mesi.