Asterix: Non dovrebbe essere troppo lontano, e a piedi si è veloci come i buoi.. Obelix: Per forza! Anche i buoi sono a piedi.(Asterix e il Falcetto d’oro).
Parafrasando Goscinny, uno dei migliori osservatori della società europea del dopoguerra, mi viene da dire che “il cavallo va a cavallo da quando è nato”.
Da questa apparente ovvietà discende quella che è l’essenza dell’equitazione moderna, secondo cui il cavaliere deve adattarsi in modo da trovare l’equilibrio ottimale del binomio cavallo-cavaliere, così da intralciare il meno possibile il cavallo mentre esegue le indicazioni del che il cavaliere gli ha trasmesso.
Si tratta di una frase densa di concetti che è bene sviscerare:
1. E’ il cavaliere che deve adattare il proprio equilibrio a quello del cavallo. Qui si parla di equilibrio nel senso fisico del termine, perchè ogni cavallo ha un suo baricentro, che cambia alle diverse andature (passo, trotto, galoppo) ed è quindi il cavaliere che deve regolare il proprio assetto in modo che il nuovo baricentro complessivo (cavallo+cavaliere) sia ugualmente efficace come quello naturale del cavallo da solo.
2. Il nuovo equilibrio sarà comunque diverso da quello naturale del cavallo. Questo per sottolineare la necessità che il cavaliere prenda coscienza del fatto che deve essere lui a portare il binomio a trovare questo nuovo equilibrio. Il cavallo stava bene anche da solo.
3. il “valore aggiunto” del cavaliere è la sua volontà. Come sa benissimo qualsiasi cavaliere principiante (come me), il cavallo da solo trotta, galoppa, si ferma, si gira e salta molto meglio da solo che con qualcuno sopra. Il contributo del cavaliere quindi sta essenzialmente nel definire quando e con quanta intensità fare queste cose (nel caso ci fossero degli esperti di equitazione tra i lettori specifico che probabilmente le considerazioni di questo post non valgono nel caso di dressage, alta scuola e similia).
Ed eccoci arrivati al punto centrale: come fare a trasmettere al cavallo la propria volontà? Escludendo la forza, non solo perchè poco etica e quindi poco estetica, ma soprattutto perchè poco efficace, trattando con animali che pesano 400-600 kg, è necessario utilizzare la tecnica.
Senza voler fare un trattato di equitazione (anche perchè non ne sarei asoslutamente in grado), il cavaliere dispone di una serie di aiuti per trasmettere al cavallo addestrato le proprie intenzioni attraverso la voce, le mani (che tengono le redini), le gambe (che fasciano il costato del cavallo), il frustino, la voce e l’assetto (ossia la dislocazione del proprio peso in modo da interagire con l’equilibrio del cavallo). Perchè siano efficaci questi aiuti vanno utilizzati insieme in modo coordinato e coerente e vanno interrotti appena il cavallo capisce cosa vogliamo da lui ed inizia a farlo.
Gli errori nell’uso degli aiuti si dividono quindi sostanzialmente in due categorie:
a) Utilizzo confuso e/o contradditorio degli aiuti: se con la pressione delle gambe indico al cavallo l’intenzione di andare a destra, ma con la posizione delle mani gli indico di andare e sinistra è molto probabile che il cavallo non sappia cosa. Il problema è meno ovvio di quello che sembra perchè l’uso degli aiuti non è meccanico e quindi non è sufficente sapere in teoria quali sono i giusti movimenti e qual’è la giusta sequenza. Bisogna utilizzarli con il giusto equilibrio, che è una cosa quasi più inconscia che razionale. Ecco perchè, ad esempio, verrà molto più naturale fare i movimenti giusti (spostamento dell’assetto, ossia dell’equilibrio, compreso), se quando vogliamo girare guarderemo nella direzione in cui vogliamo andare (per inciso anche in moto le curve vengono meglio se si guarda l’uscita della curva anzichè davanti alla propria ruota).
b) eccessiva intensità e durata nell’utilizzo degli aiuti. Nuovamente, il cavallo non è una macchina, prima di eseguire un comando deve capirlo. E’ quindi necessario che il cavaliere utilizzi gli aiuti con il necessario anticipo e che dia il giusto tempo al cavallo per agire di conseguenza. Se voglio che il cavallo si fermi, stringo i pugni, porto indietro le spalle e spingo in basso i talloni per scendere nell’inforcatura. Se non mi sono dimenticato niente ed ho fatto tutto bene, il cavallo farà ancora alcuni passi e poi si fermerà. A questo punto riprendo l’assetto normale per far capire al cavallo che ha fatto quallo che gli avevo richiesto.
Nel caso in cui l’intesità degli aiuti sia eccessiva o questi vengano utilizzati dal cavaliere anche dopo che il cavallo ha eseguito la richiesta, non è che il cavallo ubbidisca di più, anzi diventerà sempre più “sordo” agli aiuti, che dovranno essere sempre più intensi, fino a quando anche “appendersi” alla bocca del cavallo non servirà più a niente. E’ un circolo vizioso concettualmente simile al problema di “bruciare il comando” visto nei post precedenti relativamente all’addestramento dei cani.
I due tipi di errori tendono a sommarsi, nel senso che io sbaglio nell’uso degli aiuti, il cavallo non fa quello che mi aspetto e quindi io aumento l’intensità delle mie azioni (sbagliate). Il risultato è che il cavallo disimpara quello che sapeva fare. Già questo sarebbe sufficiente a mettere in guardia sulla necessità di non eccedere nella gestione dei propri collaboratori, ma c’è un rischio ancora maggiore che si evidenzia andando a cavallo ed è quando MALGRADO gli errori del cavaliere. il cavallo fa la cosa giusta.
Come già detto più volte, il cavallo non è una macchina, ma un essere vivente, pensante con una sua intelligenza ed emotività individuale (nel senso che ogni cavallo e diverso dagli altri), che sa già fare naturalmente quello che noi gli chiediamo di fare, e per di più è stato addestrato per farlo. Quindi succede più spesso di quanto non si immagini che il cavallo esegue comunque la richiesta del cavaliere, anche se questa è stata comunicata male o con eccessiva forza.
In questo caso quello che disimpara non sarà il cavallo, ma il cavaliere che, convinto che il risultato positivo sia conseguenza delle sue azioni e non dell’intelligenza e della buona volontà del cavallo, persevererà nella cattiva/eccessiva gestione.
Mi rendo conto che questo post risulta un po’ più farragginoso del solito e la cosa non mi stupisce perchè, a furia di rimandarlo, era in bozza da più di un mese. Ad un certo punto il tempo diventa eccessivo ed i concetti si avviluppano su se stessi. Risparmierò quindi i paralleli tra la gestione del cavallo e quella del personale, anche perchè mi sembrano evidenti.
Se c’è qualcosa di veramente incomprensibile, spero che venga fuori nei commenti così da poterlo chiarire.
Con questo post concludo il parallelo tra gestione del personale ed etologia. Spero che nessuno si sia sentito offeso, soprattutto tra i miei passati e presenti collaboratori. Se è così posso scusarmi e sottolineare una volta di più che non era questa l’intenzione.
Concludo dedicando questo post a tre cavalli in particolare:
- Darius: che facendo finta di zoppicare quando lo montavo io, mi ha fatto capire l’importanza dell’individualità.
- Pedro: così generoso da perdonare spesso i miei errori, ma unico cavallo, ad oggi, a farmi volare per terra, facendomi capire con chiarezza animale che non bisogna abusare della disponibilità altrui.
- Dominique: che esige di essere montata bene, altrimenti non si muove, sgroppa, scalcia e così mi costringe ad impegnarmi sempre al massimo.
Caro Lorenzo,
il tuo post oltre che la gestione del personale “esterno” è stimolante anche per il “personale” interno. Come sai ognuno è una moltitudine (cfr. Pazienza da qualche parte) e come dialogare/gestire con la volontà il cavallo – che sa già fare tutto ma ignora il quando e il perchè – è una questione interssante.
Ho fatto le scuole alte: già platone descriveva l’uomo come un carro dove l’auriga(ragione) deve condurre due cavalli (passione) stimolando quello bianco, che è diretto al cielo, e frenando quello nero che sprofonda verso il basso.
Perdonerai la digressione esoterica, ma nonn potevo certo disquisire di marketing.
Ogni vento è buono per chi sa dove andare.
Felice dì
Pingback: Gestione del personale ed etologia 5. | BISCOMARKETING.it