Qualche settimana fa si parlava con un amico, già giornalista, redattore e pubblicitario dell’ineluttabilità (secondo me) del ruolo editoriale delle aziende e quindi della direzione marketing come editore/direttore responsabile dei contenuti raccolti, creati o sviluppati dalle aziende.
Lui era contrario, nel senso che non vedeva nelle aziende le competenze per svolgere questa funzione (concordo al 100%), che dovrebbe rimanere patrimonio dei professionisti dell’informazione.
Questa la sintesi, per i curiosi però descrivo di seguito il percorso del ragionamento.
Per quelli che invece vogliono sapere davvero cosa succede nel mondo dell’informazione rimando, come sempre al sito Datamediahub.
1. (la maggior parte de) I giornali (italiani) sono morti.
O meglio si sono suicidati. Nell’ormai lontanissimo 30 agosto 2008 ho pubblicato un post dal titolo “Perchè i giornali si stanno suicidando“. Non ho molto da aggiungere a quanto scritto allora (è un post breve, una volta ero più bravo), se non che la situazione è andata peggiorando.
Non faccio distinzione tra edizioni cartacee ed on line. Quello che sta uccidendo i giornali è la pochezza dei contenuti, l’imprecisione (se non peggio) delle notizie, il livello sempre più basso della scrittura.
Non a caso, ad esempio, diffusione e raccolta pubblicitaria de “L’Internazionale” sono in crescita.
La questione non riguarda solo l’Italia, ma in Italia mi sembra più evidente. Andate a guardare, ad esempio, i siti di El Pais o del Guardian, dove non esistono “colonne destre” piene di notizie da click baiting e capirete cosa intendo.
2. La comunicazione delle aziende / marche si baserà sempre di più nella raccolta, selezione e creazione di contenuti.
La pubblicità come strumento di spinta al consumo è morta tanto quanto i giornali (non fatevi ingannare / impressionare dagli zombis dell’uno e dell’altro tipo che vedete ancora in giro).
Il posizionamento delle marche si costruisce e rafforza legando alla marca dei contenuti. Quanto più i contenuti sono originali, tanto più il posizionamento sarà forte (ampio e profondo).
Quindi tutte le aziende oggi di fatto operano (anche) nel settore dell’editoria (altrimenti perchè hanno un sito, un profilo facebook, twitter, instagram, pinterest, ecc…).
In Italia ha fatto sensazione ENI che dialoga alla pari con Report. In giro per il mondo ci sono già esempi di aziende che pubblicano giornali, e non intendo house organ. Io nel mio piccolo per 3 anni al Vinitaly ho pubblicato un’edizione quotidiana di “Santa Margherita News”.
3. Perchè siano credibili, le aziende devono gestire direttamente la creazione dei contenuti.
Nuovamente non è una questione di forma ma di sostanza. Comunicare contenuti non è come fare pubblicità e quindi non basta definire una copystrategy, definire un brief con l’agenzia ed aspettare che loro preparino la campagna.
Questo significa che le aziende devono dotarsi di competenze giornalistiche al loro interno (la creazione dei contenuti, altro non è che giornalismo). Tutte le diverse competenze giornalistiche necessarie per gestire la creazione e diffusione di contenuti.
Oggi le aziende hanno questo tipo di competenze? Al 99,9% no.
Ma questo non sposta di una virgola i termini della questione. Se vogliono competere con successo dovranno svilupparle / acquisirle.
Il salto più difficile è quello culturale, in termini di visione del proprio lavoro e del proprio ruolo. Le competenze sono quasi un tecnicismo.
In realtà è un processo che non ha niente di nuovo: con lo sviluppo delle analisi di mercato, ad esempio, la funzione marketing aziendale ha dovuto acquisire competenze che le permettessero di gestire ed interloquire con gli Istituti di ricerca.
Affidare ad una società esterna la gestione dei propri contenuti e continuare in azienda a lavorare come prima è una finta scorciatoia che non porta in realtà da nessuna parte.
Per me il quadro è chiaro. Mi rimane solo un dubbio: chi formerà le prossime generazioni di giornalisti?
I giornali non lo stanno più facendo. Le aziende saranno in grado di fare un salto mortale culturale così difficile?
Per la mia esperienza di consulente marketing, la maggior parte delle aziende fatica anche a definire la propria identità e ragion d’essere, quindi la strada per diventare editori di contenuti è veramente lunga. Sono però d’accordo sul fatto che difficilmente questo ruolo possa essere svolto dall’esterno, se non forse da strutture che lavorano in simbiosi con l’azienda. La prima curiosità che mi ha suscitato questo post però è: quale sarà allora il ruolo delle agenzie di pubblicità?
Ho letto il tuo post sul futuro delle agenzie in cui ipotizzi che queste debbano tornare a fornire un servizio completo, che comprenda anche una supplenza nella definizione delle strategie di marketing per quelle aziende che non possiedono le necessarie competenze. Questo non porterebbe ad esternalizzare la creazione di contenuti?
Caro Andrea, il post sul futuro delle agenzie è del 2012 e di acqua ne è passata sotto i ponti del marketing, per cui probabilmente meriterebbe un aggiornamento.
In realtà l’opportunità di ritorno al servizio completo che parta dalla strategia la vedo (vedevo) legata soprattutto alle esigenze che (la maggior parte delle) aziende (medio-piccole) non riescono a soddisfare con le competenze interne.
Soprattutto la vedevo come l’opportunità delle agenzie per uscire dal tunnel di operatività a basso valore aggiunto in cui sono entrate.
Usare dei giornalisti free-lance per la creazione dei contenuti vuol dire esternalizzare? Si e no, nel momento in cui il piano editoriale ed il “comitato di redazione” sono interni.
La differenza tra la pubblicità e la creazione di contenuti rilevanti per l’audience e coerenti con il posizionamento (che si vuole costruire) del marchio è che la prima ha una scansione temporale che è sotto il controllo dell’azienda, mentre la seconda è quotidiana e richiede la gestione dell’interazione con l’audience, per definizione incontrollabile.
E’ per questo che vedo difficile esternalizzare questa attività. Il rischio (quasi certo) è di essere lenti ed artificiali, perdendo quindi l’autenticità e la credibilità indispensabili attualmente.
Guardati nel blog anche i post sul marketing totale, credo potresti trovare spunti interessanti.
A presto.
concordo con il bel post. un anno fa durante un corso organizzato dall ordine dei giornalisti venne a parlare un collega che si era inventato quello che dice Lorenzo. aveva creato dal nulla un vero e proprio magazine per una importante azienda produttrice di impianti di illuminazione. si parkava di tutto quello che avesse a che fare con la luce, si interpellavano architetti r designer. si esploravano tendenze e novità in tema di risparmio energetico. l azienda non parlava di sé in maniera diretta ma parlava per lei la cultura e l’informazione veicolata dal magazine. che ovviamente veniva distribuito gratuitamente a un’audience mirata di clienti potenziali e consolidati. concordo sul fatto che nelle aziende ci siano potenzialità in termini di contenuti non espresse. magari sconosciute agli stessi produttori. un importante costruttore di tecnologia per il vino dice con orgoglio io fabbrico macchine. non vendo macchine. potrebbe venderne di più probabilmente se dedicasse un po di tempo a farsi raccontare da qualcuno interessato a scrivere di lui e della sua passione. mi fermo perché il tastierino del telefono mi sta urtando i nervi. la proseguiremo non appena ci vediamo. ciao