Il concetto di VALORE AGGIUNTO è alla base di qualsiasi organizzazione economica (e direi anche sociale). Ricordo nel 1988 al master SMEA il prof. Tessitore spiegare l’universalità di questo concetto sottolineando come la caduta del sistema comunista a cui stavamo assistendo derivasse proprio dalla sua incapacità di produrre sufficente valore aggiunto. Se il turbostatalismo, passatemi questa nuova definizione del comunismo, è caduto per non avere saputo produrre abbastanza valore aggiunto da distribuire, il turbocapitalismo sta cadendo per aver prodotto troppo valore aggiunto fittizio distribuendolo troppo.
In entrambe i casi le cause si possono ricondurre ad un mancato rispetto dei ruoli dei diversi soggetti che detengono i mezzi di produzione, esercitano l’iniziativa economica, stabiliscono le regole di funzionamento del sistema e controllano la loro applicazione (se vi sembra un’analisi macroeconomica tagliata con l’accetta, avete ragione e me ne scuso fin d’ora, ma l’argomento del post è in realtà un’altro).
Il modo più efficace ed efficente per creare valore aggiunto è infatti il rispetto dei ruoli dei diversi soggetti economici e sociali, viceversa il meno che può succedere sono confusione ed inefficenza (questo nenache provo a spiegarlo, rimando ai ricordi del militare per chi l’ha fatto cercando comunque di imparare qualcosa o alla lettura del “Sergente nella neve” per tutti gli altri).
Tutto questo preambolo perchè qualche anno fa un buyer a cui stavo presentando la strategia di leggero riposizionamento in alto di un prodotto, supportata da ricerche di mercato ed analisi econometriche sull’elasticità, mi guardò come se fossi cerebroleso e mi disse che non avrei dovuto permettermi mai più di giocare a fare il direttore marketing con i soldi delle sue mancate vendite (le parole non erano proprio queste ma il senso sì). A parte il fatto che guardando alla storia della grande distribuzione in Italia mi sembra di poter dire che sono stati molti di più i buyer che hanno giocato a fare i distributori con i soldi dell’industria, quello che avrei voluto rispondere era che mi sarei proeso volentieri il rischio di coprire le eventuali perdite se lui mi avesse dato gli eventualli guadagni che derivavano dall’assumersi quel rischio d’impresa (avrei voluto, perchè in realtà mi ritirai in buon ordine co n sollievo del mio collega direttore vendite che stava conducendo la trattiva).
Il punto è: non sarebbe ora che industria e distribuzione si mettessero a fare ognuno il proprio lavoro con chiarezza?
Un’altro buyer un’altra volta mi disse che vedeva perchè modificare il modello contrattuale attuale, visto che funzionava.
Forse perchè è lento, farraginoso, costoso e opaco. Solo con grande fatica ed impegno l’industria riesce a capire a che prezzo netto effettivamente vende e la GDO a che prezzo compra tolti contributi fuori fattura, listing, compleanni ecc…
Forse perchè se non so a quanto compro sarà difficile per la GDO fare un category management serio e perchè senza un category management serio sarà difficile creare sufficiente valore aggiunto per il proprio target di consumatori.
Però il sistema attuale funziona, nel senso che è conosciuto, dà certezze, permette (o è meglio dire permetteva?) di fare i bilanci.
Non sono così naif, a furia di parlare con i buyer qualcosa imparo anche io, da non capire che un sistema di transazioni basato su prezzi netti, sconti quantità, contributi promozionali precisi (magari legati agli effettivi incrementi di vendita) prima di andare a regime rischia di creare degli inaspettati buchi nei bilanci tanto dell’industria come della GDO.
D’altra parte non sono nemmeno così cieco da non vedere che l’economia del mondo sta cambiando e quindi difficilmente i vecchi modelli potranno continuare a funzionare.
Un operatore di Wall Street qualche settimana fa ha detto che quando stai precipitando dal duecentesimo piano, per i primi 199 ti sembra di volare e solo alla fine ti spiaccichi sul marciapiede. L’immagine è bella, ma è falsa perchè funziona solo se uno si butta ad occhi chiusi.
Il mio consiglio è di aprirli e vedere di trovare rapidamente un modo per volare, rimbalzare o fermarsi a mezz’aria.