Regola editoriale non scritta, ma reale, del mio blog è non scrivere del settore in cui lavoro, per rispetto dei colleghi che lavorano nelle altre aziende, per evitare l’eventuale confusione tra opinioni personali diverse dalla posizione definita aziendalmente, per evitare che quello che scrivo sia indebolito dal sospetto di secondi fini (leggi captatio benevolontiae) ed in generale per non mettermi (troppo) in situazioni spinose).
Ieri però si è concluso il mio rapporto con la Santa Margherita e quindi posso parlare con la serenità di esprimere l’opinione di Lorenzo Biscontin, professionista di marketing che ha lavorato nel settore del vino, senza che questa possa confondersi con la posizione dell’azienda.
Siccome si tratta di un’occasione che non capita spesso (meno male), me la voglio spendere al meglio affrontando una questione che ritengo particolarmente interessante dal punto di vista del marketing per le sue implicazioni riguardo ai concetti di identità e rispetto delle persone (consumatori), pilastri della credibilità del marketing e quindi del successo di lungo periodo delle strategie.
Come si intuisce dal titolo, affronterò le problematiche legate alla gestione del marchio “Prosecco” che si sono create dal 2010 a seguito dell’istituzione della nuova DOC multiregionale e contemporaneo passaggio della precedente DOC a DOCG.
Devo chiedere scusa in anticipo sia a chi non si occupa di vino, perchè essendo un argomento in cui sono stato direttamente coinvolto capiterà che dia per assodate alcune conoscenze della questione che non sono invece così condivise da tutti, sia ai puristi del vino, perchè su alcuni aspetti enologici dovrò essere necessariamente approssimativo per evitare di dilungarmi troppo.
Sintetica descrizione del problema
Fino al 2009 il termine “Prosecco” indicava una varietà di vite e quindi vini prodotti ovunque, anche all’estero, con questa varietà di uva potevano riportare in etichetta il nome “prosecco”, sfruttando in questo modo la crescente fama e reputazione legate al Prosecco DOC Conegliano-Valdobbiadene. Va ricordato che fino al 2009 a fianco del Prosecco DOC esisteva anche il Prosecco ad Indicazione Geografica Tipica, il cui disciplinare comprendeva una zona più ampia diffusa su più regioni e rese produttive di uva per ettaro molto più elevate rispetto alla DOC. Per risolvere questa situazione di concorrenza sleale (mi spiegherò meglio in seguito), nel 2009 è stata creata la nuova DOC Prosecco, che comprende sostanzialmente Veneto e Friuli Venezia Giulia, e quindi anche la località di Prosecco in provincia di Trieste. In questo modo il termine “prosecco” non indica più una varietà di uva, ma è diventato un nome geografico, che può essere utilizzato solamente dai produttori che operano all’interno della Denominazione d’Origine. In contemporanea la vecchia DOC Prosecco Conegliano-Valdobbiadene, che copre quindi le colline della parte settentrionale della provincia di Treviso, è diventata DOCG (Denominazione d’Origine Controllata e Garantita), il massimo livello qualitativo previsto nella legislazione vinicola italiana.
A sua volta il nome con cui si indica la varietà di uva è diventato “glera”, antico sinonimo utilizzato (credo) sul carso triestino.
Questi cambiamenti hanno creato una grande confusione sul mercato, a mio parere non del tutto giustificata dai fatti in sè, quanto dalla crisi di identità in cui sono entrati i produttori della zona storica di Conegliano e Valdobbiadene, crisi legata soprattutto alla modificata percezione di se stessi e del contesto a seguito dell’istituzione della nuova DOCG e nuova DOC.
La crisi di identità della DOCG è ancora in atto, come dimostrano la ridotta efficacia della comunicazione messa in atto ed il fatto che tra i suoi produttori si continuino periodicamente a dibattere ancora gli stessi temi discussi nel 2009, benchè il nuovo quadro legislativo li abbia di fatto, nel bene o nel male, risolti. Ecco quali sono e la mia opinione al riguardo.
L’istituzione della DOC multiregionale ed innalzamento del Prosecco Conegliano-Valdobbiadene a DOCG è stata una cosa più che positiva, doverosa.
L’elemento fondante dell’istituzione di una DOC dovrebbe essere sempre la presenza di imitazioni sul mercato. Una DOC infatti ha lo scopo di proteggere il nome di un territorio, intrinsecamente un bene comune che non può essere registrato da una singola azienda, che grazie alla specificità dei prodotti che ne derivano si è guadagnato una reputazione presso il mercato che lo differenzia positivamente rispetto ad altri prodotti appartnenti alla stessa categoria. Regolamentando la produzione attraverso la DOC si garantisce il consumatore nei confronti di imitazioni e si proteggono i produttori in zona tipica dalla concorrenza sleale da produzioni realizzate fuori dall’area DOC e quindi, per definizione, di qualità diversa. La situazione in cui si trovava il prosecco IGT e soprattutto DOC prima del 2009 era esattamente questa e quindi doveva essere risolta, innanzitutto, insisto, nei confronti del consumatore.
Il Prosecco non è la Franciacorta
In questi anni non c’è stato convegno, simposio, seminario o incontro riguardante il Conegliano-Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, in cui non sia stato citato l’esempio della Franciacorta, che fin dall’inizio ha deciso di identificarsi solamente ed esclusivamente con il nome del territorio, a sostegno della scelta fatta nel regolamento della DOCG di dare preminenza ai termini “Conegliano” e “Valdobbiadene” rispetto a “Prosecco”. Mi è sempre sembrato un esempio fuori luogo, che aumenta la confusione invece di fare chiarezza perchè confronta situazioni inconfrontabili, rischiando di portare a scelte strategiche sbagliate.
Onore al merito agli amici franciacortini per la disciplina con cui hanno seguito la loro strategia e per i frutti che questa gli sta portando attualmente, ma quando è la nata DOC Franciacorta non disponeva comunque di altri termini che avessero un forte valore sul mercato. In altre parole si sono trovati davanti ad un foglio bianco e sono stati bravi a scriverlo nel modo migliore (non dimentichiamo però il tempo che ci è voluto). “Prosecco” invece è un termine che, sia come livello di conoscenza che di reputazione, ha un grande valore sul mercato e quindi sarebbe una grande spreco abbandonarlo, regalando tutto quel valore al Prosecco DOC.
La cosa è evidente, ed in effetti il regolamento della DOCG prevede l’utilizzo del termine “Prosecco” accompagnato dall’aggettivo “Superiore”, che una bellissima parola: qualificante e comprensibile nelle lingue parlate dai principali mercati di esportazione del vino italiano. Però l’indicazione di questi termini in etichetta è subordinata a quella di Conegliano-Valdobbiadene e quindi inferiore, anche per quanto riguarda la dimensione del carattere. Una scelta che in pratica fà sì che la parola “Prosecco” sia più evidente nelle etichette della DOC che in quelle della DOCG, creando un svantaggio competitivo e cedendo, di fatto, buona parte del valore che i produttori di Conegliano e Valdobbiadene hanno creato sul mercato.
Le rive normalmente sono sui fiumi o sui mari
Una delle innovazioni del disciplinare della DOCG Conegliano-Valdobbiadene rispetto alla situazione ante 2009 è stata l’istituzione dell’indicazione “Rive”, intendendo con questo termine il vino prodotto da uve derivanti da una specifica e limitata zona (terreni in forte pendenza) all’interno dell’area DOCG. Chi vive a sud e ad ovest dell’Adige, a nord della provinci di Trento e ad est dell’Isonzo (ma forse anche del Tagliamento) si starà chiedendo:perchè “rive”. Perchè è il termine dialettale che indica un terreno particolarmente ripido e quindi dove l’uva è di qualità particolarmente elevata.
Io non so se ci sia consciamente o inconsciamente un’influenza leghista nella scelta di questo termine, ricordo solo i clienti dalle diverse parti d’Italia che mi chiedevano se la DOCG era stata allargata, portandola fino al mare.
Criticare è facile, ma allora io cosa propongo?
Lo slogan/claim/payoff (a voi la scelta) che dà il titolo a questo post l’ho l’ho inventato io durante il primo dei seminari con le aziende organizzato ad inizio 2010 dal Consorzio per raccogliere indirizzi sulle modalità di comunicazione della nuova DOCG. Onore a me di averlo pensato, al Consorzio di aver organizzato seminari coinvolgendo le aziende (cosa non comune) ed all’agenzia di pubblicità di aver deciso di utilizzarlo (all’agenzia di pubblicità vanno anche gli eventuali oneri nel caso il claim non funzioni; è per queste assimetrie di responsabilità che prima o poi mi dedicherò all’attività di consulenza).
Secondo me racchiude il messaggio che dovrebbe essere trasferito al mercato in questa prima fase: esiste il prosecco (di pianura) ed esiste il prosecco superiore (collina). Concetto semplice, chiaro, comprensibile ed efficace. Poi di contorno posso rafforzarlo/circostanziarlo con le Rive, il Cartizze, le diverse rese per ettaro, ecc.., evitando però di dare tutto allo stesso tempo oppure ogni volta una cosa diversa, perchè così l’unico risultato è di non ottenere risultati.
Aggiungo un paio di considerazioni su certe evoluzioni a cui si sta assistendo nella scelte di prodotto delle aziende, che, secondo me, hanno il grosso difetto di essere premianti sul mercato nel breve periodo (e quindi tutti i produttori sono spinti quantomeno a considerale) e banalizzanti nel medio lungo.
Il Prosecco millesimato
Per ragioni e tradizioni che qui sarebbe troppo lungo spiegare, lo champagne (evidentemente il riferimento di tutti i vini spumanti) viene normalmente prodotto con cuvèe composte da vini di più annate. Solo nelle annate in cui l’andamento stagionale permette di avere uve eccezionalmente buone, la cuvèe viene prodotto con vino di quella singola annata, che viene quindi indicata in etichetta. Da qui che il consumatore associ al termine millesimato un prodotto di qualità superiore.
Il prosecco però, a differenza dello champagne, non è un vino che si presta all’invecchiamento. Anzi le sue caratteristiche di freschezza e fragranza si esaltano quando l’imbottigliamento è relativamente recente. Questo significa che non ha nessun senso chiedere oggi un prosecco del 2007, anche se si fosse trattato di un’ottima annata, mentre è normale (costi a parte) bere champagne millesimati invecchiati dieci anni e più.
Il millesimato nel prosecco quindi è innazitutto un controsenso tecnico, ma quello che mi manda veramente fuori di me è che i disciplinari tanto della DOC come della DOCG prevedono l’indicazione del termine “Millesimato” senza l’obbligo di indicare l’annata e quindi si trovano normalmente sul mercato prosecchi millesimati, senza sapere però di che anno.
Come ho detto all’inizio è una cosa che funziona perchè sfrutta il valore che il termine ha per il consumatore. Per me però le strategie che si basano sulla (relativa) ignoranza del consumatore sono sempre a doppio taglio e più si diffondono, più si affilano.
Il prosecco metodo classico
Qualche produttore storico della DOCG Conegliano-Valdobbiadene per differenziarsi e per sottolineare la propria qualità superiore sta proponendo sul mercato il prosecco prodotto con il metodo classico di rifermentazione in bottiglia (come lo champagne per capirsi) invece della rifermentazione in autoclave.
Premetto per correttezza che non ho ancora avuto modo di assaggiarli, ma sono molto perplesso riguardo ad operazioni di questo tipo perchè rischiano di snaturare le caratteristiche che hanno portato il prosecco al successo di cui gode oggi.
Detto in sintesi, che questo post è già troppo lungo, temo che un prosecco metodo classico perda la sua naturale freschezza e dubito che guadagni a sufficenza in corpo e struttura.
Concludo questo post ringraziando i miei più stretti collaboratori in Santa Margherita: Elena, Elisa, Lara e Alberto (che ho messo per ultimo senza rispettare il suo ordine alfabetico solo perchè so che è un gentiluomo e cede sempre il passo alle signore).
Li ringrazio per il lavoro fatto insieme, ma soprattutto per la fiducia che mi hanno dimostrato quando non si sono offesi a leggere la serie di post su “Gestione del personale ed etologia”. Y que Dios reparta suerte!
Il Prosecco veste casual, cool nel senso di fresco.. in tutti i significati..
Lo vedo male “ingessato” in gessati/chalkstriped..
Non si può scimmiottare la Francia ed il suo sistema-paese che è piu’ ruffiano del nostro.. almeno 26.000 volte..
La dolcezza del nostro territorio non ha nulla a che fare con la neve di Reims e le piccole fiammiferaie..
Buon vento per il nuovo porto..!
Gianni “Morgan” Usai
Ottima analisi che mi trova sostanzialmente d’accordo, anche se ritengo che l’ allargamento della doc a tutto il Friuli a a tutto il Veneto ( ad eccezione delle province di Rovigo e Verona) sia stato un eccesso di cui prima o dopo si vedranno le conseguenze; per ora una conseguenza visibile e l’espianto di varietà diffuse in alcuni territori ( i Berici ad es. ) per piantare la Glera e fare Prosecc Doc. Aumento vertiginoso delle vendite di Prosecco. Sì, bene, e dopo, fra qualche anno? Non c’è il rischio della saturazione? E che il Prosecco doc, magari venduto all’ estero a prezzi bassi, anneghi tutti i discorsi di promozione d’eccellenza della DOCG? Non so, non sono un’ esperta di marketing, ma mi pare che sia dura far capire al consumatore il senso della frase ” quando il Prosecco è superiore…”, quando gli scaffali sono pieni di Prosecco doc.
Certo i produttori ce la mettono tutta, ma quell’ 80% del mercato che difficilmente spende più di 5 euro per una bottiglia, pensi che capirà che c’è Prosecco e Prosecco?.
Approfitto per augurarti ogni bene per le tue nuove… avventure nel mare dei mercati!
M. Grazia
Condivido con te molte delle tue riflessioni, dispiace però non vedere mai menzionato in questo lungo articolo l’Asolo prosecco docg superiore, che non ha nulla da invidare ai cugini più famosi.
Altro errore madornale (non tuo ma dei consorzi) a mio parere è stato quello di non creare un unica docg che potesse lavorare assieme magari con 3 cru distinti (Asolo, Conegliano e Valdobbiadene)
Vorrei ricordare anche che l’ultimo anno sono stati piantati 3900 (tremilanovecento) ettari di glera e che 416 sono le previsioni in mln di bottiglie prodotte per il 2013, quasi il doppio rispetto al 2010.
Il futuro vedrà lottare la doc a prezzi infinitamente bassi e la docg con la qualità, il problema sarà farlo capire al consumatore.
Permettimi di segnalarti questo articolo scritto proprio stamattina http://www.vinix.com/myDocDetail.php?ID=5401
Pingback: Anche ad Asolo il Prosecco è Superiore | BISCOMARKETING.it
Domenica ero sulle aspre rive di refrontolo e conversavo con un contadino che si lamentava: conferendo le uve di collina(ripida) pagavano lo stesso prezzo della comoda pianura. Diverso il prodotto, il costo di lavorazione e soprattutto la fatica.
In bocca al lupo!
penso che tra tre anni il prosecco farà la fine del famoso moscato da 2 lire, e giustamente colpendo l’ avidità di produttori che non vedono oltre il loro naso.
Oggigiorno non esiste più nel mercato vino prosecco, ma un preparato enologico-chimico.
Si trovano pochi veri produttori, specialmente nel colfondo, anche se quei pochi anzichè associarsi e creare un consorzio dfi tutela vanno da soli…così un domani avremo un mionetto col fondo…allegria e buena suerte a todos…
PS… il prosecco classico per finezza non ha dicuramente eguali in franciacorta ( dove anche lì vale quanto scritto sopra).
Gentilissimo Lorenzo,
d’accordo con lei su molte cose ma la mia opinione è che la differenza potrà farla proprio il metodo. Il problema è quanti avranno il coraggio? fatto sta che nella DOC è prevista solo la metodologia charmat, nella DOCG si può fare anche il metodo classico. Magari prima o poi avrà l’occasione di assaggiarne qualcuno così da dare una soluzione ai suoi dubbi. dove il Prosecco è Superiore… ha mai provato a chiederlo a un americano? Credo che si debba andare oltre queste argomentazioni trite e ritrite e avere il coraggio di sperimentare e soprattutto supportare chi lo fa. dove non c’è ricerca non c’è futuro. ecco a mio modesto parere la soluzione.
M.Grazia
Prendo spunto dal tuo commento per spicificare una cosa che mi è rimasta nella penna (tastiera).Quando dico che tutta questa crisi di identità della DOCG è poco giustificata dai fatti è perchè anche nella situazione di prima c’erano due prosecchi, IGT e DOC, di livelli qualitativi e di prezzo diversi. Quindi anche prima c’era la medesima problematica di valorizzare sul mercato la differenza tra due tipologie di prodotto identificate sostanzialmente con lo stesso nome.
Sul rischio di saturazione,anche a scapito di varietà più tipiche delle diverse zone, completamente d’accordo.Il problema è così acuto che si sta verifica anche all’interno della DOCG Conegliano-Valdobbiadene nei confronti del Refrontolo Passito DOC.
In altri contesti ho ribadito più volte che fare il vino ed il vigneto in base alle mode è una strategia suicida.
gianni Z.
Dal tuo commento colgo lo spunto per sottolineare come la mia analisi di confronto Prosecco-Franciacorta riguardi gli aspetti di gestione e valorizzazione del marchio nei rispettivi scenari competitivi passati e presenti. In valutazioni legate prettamente alla qualità dei vini non entro (se non riguardano le politiche di prodotto in senso strategico), primo perchè questo è e rimane un blog di marketing, secondo perchè un giorno qualcuno mi ha insegnato che il vino si divide per tutti in due grandi categorie: quello che piace e quello che non piace. Ad ognuno il diritto di avere ed esprimere i propri gusti.
Gentilissima Cinzia
Al di là dei vincoli tecnici di convertire tutta la DOCG al metodo classico, continuo a pensare che questo comporterebbe una perdita di quelle caratteristiche che sono alla base del successo del prosecco. Per quanto riguarda gli americani, attualmente la domanda che importatori e distributori continuano a fare è perchè la parola PROSECCO nelle etichette della DOCG risulta più piccola che in quelle della DOC e perchè l’aggettivo qualificativo SUPERIORE deve essere ancora più piccolo. Intanto il consumatore, in mancanza di altri riferimenti, compra “prosecco”. Sinceramente dubito che comunicare il concetto: “c’è il Prosecco charmat e c’è il prosecco metodo classico” (champenoise non si può utilizzare) sia più semplice ed efficace di comunicare che c’ il prosecco di pianura e quello di collina.
Tutto questo analizzando la situazione della DOCG nella sua globalità, dopodichè nella dinamica esistente tra il marchio consortile e la marca aziendale, ogni azienda è libera (ci mancherebbe altro) di percorrere le strategie che ritiene migliori. Guardando la mia storia professionale credo che tutto si possa dire, meno che abbia avuto paura di innovare. Complimenti per la coraggiosa scelta della bottiglia trasparente.
Alvi
E’ normale, ma sempre sorprendente, notare quanto chi produce qualcosa faccia fatica ad eccettare che non c’è nessun legame automatico tra il costo di produzione di un bene ed il suo valore.
Non ho letto tutti i commenti e le loro risposte ma mi sono soffermato solo alle prime.
Condivido l’articolo principe cioè quello da cui nasce la discussione ma non condivido certe idee di “raggruppare” zone diverse solo perchè producono un vino con la stessa uva. Dove andremo a finire? Perderemo tutti l’identità territoriale. Come dice M.Grazia, tutti espiantano i vigneti storici, tipici ed autoctoni per piantare Glera e poi fare un prosecchino, molto ino. Tra qualche anno li vedremo a cambiare ancora avendo perso tutta la loro storicità. Ognuno venda il proprio prodotto non perchè è un prodotto voluto dal mercato ma perchè prodotto (scusate se mi ripeto) in un determinato territorio che solo lì dà caratteristiche superiori.
Facile lasciare un territorio che traini tutti ed appendersi al carroccio. Quando la barca sarà troppo piena sprofonderanno tutti.
Buongiorno sig. Biscontin,
ho letto con attenzione il suo post, e subito dopo buona parte del blog che lei scrive: mi piace, è scritto bene e con cognizione, e mi piace il modo educato che lei ha nel rispondere ai commenti che le vengono inviati: proprio per tale motivo desidero precisare che quanto sto per scrivere lo faccio in modo privo di acredine e/o di volontà di “imporre” la veridicità del mio pensiero rispetto al suo, però, visto che abbiamo visioni differenti mi permetto di dissentire, e le spiego dove:
Millesimato
Innanzitutto che un uomo di marketing come lei è si stupisca e si imbufalisca quando trova una bottiglia di Prosecco Millesimato è cosa alquanto strana: di fronte alla più incredibile trovata di marketing inventata da suoi colleghi di settore lei dovrebbe esaltarsi ed applaudire, un po’ come un prestigiatore che ad un concorso di magia vede un collega più bravo che ha inventato un trucco di maggiore effetto.. egli applaude ed annuisce, non ci si imbufalisce!
Sarebbe comunque il caso di non fare di ogni erba un fascio: su alcuni Prosecco (Grave di Stecca ad esempio) il millesimo ha un senso, eccome se lo ha, ed ha pure senso attendere il trascorrere del tempo, perché impedirlo allora?
Detto questo è cosa errata scrivere che “quello che mi manda fuori di me è che i disciplinari tanto della DOC come della DOCG prevedono l’indicazione del termine “Millesimato” senza l’obbligo di indicare l’annata e quindi si trovano normalmente sul mercato prosecchi millesimati, senza sapere però di che anno” (parole copiate dal suo blog) visto che il disciplinare del DOCG recita, al comma 5 dell’articolo 7 ,quanto segue: “Nella designazione del vino spumante e’ consentito riportare il termine millesimato, purché il prodotto sia ottenuto con almeno l’85% del vino dell’annata di riferimento, che va indicata in etichetta.”
Il controsenso può essere il limite del 85% anzichè totalità, ma non è vero che il disciplinare non obbliga nel citare l’annata… Forse lei non aveva letto bene il disciplinare, ma è una lacuna visto il ruolo che lei recitava sino a poco fa.
Rive
Da Asolo sino a Vittorio Veneto con il termine Riva, si intende il lato di una collina, ed allora visto che il vino è espressione del territorio quale nome poteva avere più significato per indicare un vigneto posto in tale pendio?.
Il riferimento leghista, mi permetta, è fuori luogo: perché il termine piemontese Sorì va bene mentre il termine Rive no?
Capisco che le rive, normalmente, sono sui fiumi e sui laghi, giusto, ma se nel comprensorio della produzione del Prosecco sono i lati delle colline è giusto adottare tale termine, non credo sia così difficile per il consumatore accettarlo.
Forse era più facile speigare cosa significa parcella 52 ad un consumatore, dai, siamo seri….
Certo i produttori potrebbero riunirsi in assemblea e magari votare il termine “ladicomori” in sostituzione (che è acronimo di lato di collina molto ripido) oppure, se si vuole essere più rapidi, magari la parola Milima:significa collina in lingua swahili.
Metodo classico
Non voglio prendere le difese di nessuno, ma pensare che una metodologia di produzione per un vino sia errata senza neanche avere assaggiato i prodotti ottenuti adottandola, è pura supponenza! Ancor più se la persona che suppone non è un enotecnico….
In teoria neanche l’anfora adottata da Gravner si prestava per migliorare il vino di quella zona del Friuli, ma a ben vedere adesso sembra che i colleghi di Josko non possano vivere (ed ancora di più i clienti) senza tale accorgimento… io non dico che lei ha torto, ma la pregherei prima di assaggire, e poi di affermare l’opportunità o meno di ricorrervi.
Sbaglio?
Se mi sono permesso di scriverle questa lunga “lettera aperta” che pubblicherò anche nel blog che curo, è soolo perchè lei ha scritto una disamina talmente ottima che mi spiaceva vederla offuscata da tre punti in cui (a mio parere) lei ha preso un grande abbaglio.
Ringraziandola per avermi dato modo di esporre la mia idea cordialmente la saluto, proimettendole che continuerò nel leggere (con piacere) il suo istruttivo blog, anche nel caso lei ritenesse superflue le mie osservzioni.
Alessandro Carlassare
Caro Alessandro, grazie per il contributo. Il bello di un blog è che anche chi legge può interagire ed intervenire correggendo chi scrive ad arrichendo i contenuti. Le sue puntualizzazioni sono in buona parte sicuramente corrette nella forma, unpo’ meno nella sostanza. Seguo il suo chiaro scehma per punti e mi spiego.
Millesimato: il buon marketing non è fatto di trovate è fatto di strategie coerenti basate su una visione della realtà. Il cattivo marketing è quello che cerca di blandire ed irretire i consumatori (le persone) sfruttandone la naturale e giusta buona fede. E’ il tipo di marketing che funziona solo nel breve periodo e nel lungo squalifica non solo le aziende che lo applicano, ma tutti i professionisti della materia. Come diceva una mia collaboratrice PR sta per Pubbliche Relazioni e non per Pranzi&Ricevimenti.
Nella sostanza, proprio grazie al limite dell’ 85% di vino di una stessa annata previsto dall’articolo che lei cita, volendo la grandissima parte del prosecco potrebbe essere dichiarato millesimato. E’ questo che mi fa dire che è un’indicazione che ha poco senso per qualificare la categoria.
Relativamente alla obbligatorietà della citazione in etichetta, ero a conoscenza dell’articolo che lei cita. Per amor di brevità non ero entrato nella spiegazione che l’etichetta considerata come principale in un vino può essere la retro etichetta (ricordo che si tratta di un blog di marketing e quindi ho preso qualche innocua scorciatoia per non tediare chi non è del settore, come in passato ho preso scorciatoie, credo altrettanto innocue su altri tematiche). Il dato di fatto è che ci sono sul mercato diversi Prosecchi, sia DOC che DOCG, che sparano un bel “MILLESIMATO” nell’eichetta frontale, senza indicare l’anno. Continuo a rimanere convinto che si tratti di una presa in giro del consumatore che col tempo si ritorcerà contro tutti i produttori perchè il termine millesimato si banalizzerà e perderà il suo valore qualificante.
Rive:mai detto che Sorì vada bene. Per assurdo però potrebbe andare meglio perchè, se non altro perchè è una parola sconosciuta da spiegare e quindi crea meno equivoci. Milima andrebbe ancora meglio perchè incuriosisce di più, peccato che lo swahili sia slegato dal territorio. il punto è di individuare UN SOLO concetto chiaro, qualificante, semplice da comprendere e comunicare e concentrarsi su quello fino a quando il mercato non ha raggiunto un determinato grado di consapevolezza delle differenza tra il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG ed il Prosecco DOC. Viceversa non si riesce a dirimere l’attuale confusione.
Metodo Classico: sono stato il primo ad ammetere un pizzico di presunzione nel prendere posizione contro il metodo classico come strada per qualificare il Prosecco Superiore DOCG in termini di categoria. Però l’ho presa perchè la qualità di un vino è prima una questione di identità che di qualità intrinseca (se può avere senso nell’identità di una singola azienda è un’altro discorso). Come professionista di marketing che lavora con vini spumanti dal 2000 mi sento di sento di sottolineare una volta di più lo snaturamento delle caratteristiche tipiche del prosecco, che non dimentichiamo sono state alla base sia del suo successo di mercato che del sostanziale disinteresse da parte delle critica enologica, almeno fino a quando il fenomeno non ha raggiunto dimensioni tali da non poter più essere ignorato. In altre parole vedo forte il rischio che sia una curiosità enologica capace di attirare moltissimi eno-appassionati, come di deluderli o, quanto meno lasciarli perplessi. Cattivo marketing= effimero successo di breve periodo e duraturo insuccesso di lungo periodo.
Jambo
Caro Lorenzo, grazie per la pronta replica alle mie osservazioni.
Il punto in cui mi ha maggiormente convinto la sua spiegazione è quella che riguarda il Millesimo: rivista così è impossibile non darle ragione, ed in più ho apprezzato molto il passaggio in cui spiega che il buon marketing non è fatto di trovate ma di strategie coerenti.
Sul termine Rive rimango invece convinto sia la parola giusta su cui insistere.
Se mi permette vorrei inserire il link stabile verso il suo blog tra quelli di cui consiglio la lettura.
Cordiali saluti.
Alessandro
Certamente il termine rive puo’ essere definito un contorno,di sicuro CARTIZZE non e’ minimamente paragonabile a un contorno,anzi e’ in grado di reggere da solo in etichetta senza contorni come “Prosecco” “Conegliano””Superiore”.Dato che ha lavorato per Santa Margherita questo dopvrebbe saperlo bene,e per me’ e’ l’unica “pecca”del suo bel articolo
Caro Alessandro, permetto con estremo piacere l’inserimento del link sul suo blog (che ho cominciato a visitare l’altro giorno). Sulle RIVE le rimando alla mia risposta al commento di Giovanni.
Caro Giovanni, non e’ che non sapessi dell’idea che gira di sostituire i termini Conegliano, Valdobbiadene, Prosecco, Superiore, ma sinceramente ho fatto finta di non averla sentita. A me sembra troppo evidente che, non solo in un’ottica internazionale (che comunque sara’ sempre piu’ importante), ma anche nazionale la conoscenza del termine Cartizze non regge il confronto con quella degli altri termini citati.
In realta’ questa situazione di dibattito piuttosto sterile in cui tutti, me compreso, sembrano avere la verita’ in tasca si puo’ facilmente risolvere investendo un 5.000 euro in una ricerca di mercato fatta bene ( qualche dritta si trova anche nei recenti post del mio blog). Al quel punto si potrebbe partire da dei fatti oggettivi per definire le strategie.
Io nell’attesa resto della mia opinione.
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