Calano i consumi di birra Corona: assurdo. Calano i consumi di birra Corona: ovvio.

Sto cercando, con alterni successi, di non esprimermi su temi collegati al corona virus per non aggiungere ulteriore rumore di fondo a quello, già grande che c’è.

L’altro giorno però su twitter ho avuto uno scambio di idee con Makkox, al secolo Marco Dambrosio, fumettista, disegnatore, vignettista e autore televisivo come lo definisce Wikipedia.

Per me semplicemente genio visto che ha fatto cose come “La Grande Opera” (ma ne avrei potute linkare decine, anche molto più leggere ed ugualmente geniali)

Lo scambio è nato da un suo post che, sintetizzo, trovava fuori luogo le reazioni al finto spot sulla pizza Corona con il pizzaiolo che scatarra sulla pizza appena sfornata trasmesso in Francia da Canal Plus e dalla mia conseguente risposta che proprio quel giorno un cliente francese che aveva chiesto ad una cantina italiana la tracciatura del prodotto riguardo al coronavirus e che le vendite di birra Corona negli Usa continuano a calare, quindi, sensato o meno il danno rimaneva.

Al quale Makkox mi rispondeva incredulo che a seguito dello spot si sarebbe venduta meno pizza.

Per i più curiosi gli screenshots della conversazione che ne è seguita tra me, Makkox ed i suoi follower di twitter li trovate in calce a questo post.

Questo scambio di battute mi ha convinto a scrivere un post che mi frullava in testa da diversi giorni (dalla notizia del calo dei consumi della birra Corona) sul comportamento del consumatore riguardo ai prodotti alimentari e le conseguenti linee guida per la comunicazione.

Lavoro nel settore dei prodotti agro-alimentari dal 1994 ed ho vissuto in prima persona almeno 3 situazioni di crisi di vendita legate a cose che non avevano direttamente a che fare con l’azienda.

  1. Nel 1995 le minacce di boicottaggio dei salumi Levoni da parte dei negozianti del sud Italia in seguito all’istituzione a Mantova del “Parlamento della Padania” da parte della lega;
  2. Nel 1997 il crollo dei consumi dei wurstel di pollo a seguito della scoperta che l’influenza aviaria si può trasmettere dagli animali all’uomo quando lavoravo al salumificio Principe;
  3. Nel 2008 lo stop delle esportazioni di vino per alcune settimane a seguito dell’inchiesta “Velenitaly” pubblicata da “L’Espresso” quando lavoravo al Gruppo Vinicolo Santa Margherita.

Nessuna di queste crisi aveva alcuna fondatezza oggettiva.

Che la Lega Nord decidesse di mettere il proprio “Parlamento della Padano” a Mantova non aveva niente a che vedere con il fatto che la sede del salumificio Levoni si trovasse, ed ancora è, a pochi chilometri, nel paese di Castellucchio.

Anzi Levoni era, ed è, fortemente radicata nelle regioni meridionali da aver brevettato in Sicilia un salame, la Paisaniella, da talmente tanto tempo che molti consumatori ritengono un salame della tradizione contadina siciliana.

La carne di pollo che si usa per i wurstel è di provenienza nazionale e, anche se fossa, la cottura dei wurstel uccide il virus.

Velenitaly, al di là del titolo usato da L’Espresso, riguardava delle frodi per cui del vino da tavola veniva venduto come DOC, senza rischi per la salute.

Però queste crisi mi hanno insegnato che le persone hanno spesso (normalmente) un comportamento estremamente emotivo, o se preferite irrazionale, riguardo ai loro comportamenti alimentari.

Perché? Di preciso non lo so, ma ho un paio di ipotesi.

  1. Anni fa ho letto un articolo di antropologia dei consumi che sottolineava come gli alimenti e le bevande sono qualcosa che mettiamo dentro al nostro corpo e questo determina un rapporto molto stretto e profondo tra noi e quello che mangiamo e beviamo. Diciamo che era una visione scientifica del proverbio “siamo quello che mangiamo”.

Se io sono quello che mangio, evito di mangiare qualsiasi cibo che mi generi fastidio, anche lieve, anche lontanamente.

  1. I cibi e le bevande sono prodotti facilmente fungibili / sostituibili in termini di marca. Evitare di bere birra Corona non è un gran problema visto che posso bere birre di altre marche, invece di wurstel di pollo posso mangiare quelli di carne di maiale ed invece di vino italiano posso bere vino prodotto in altri paesi.

Per dire, uno può essere assolutamente consapevole che bere birra Corona non comporta alcun rischio di contagio, ma decidere per un po’ di bere birre di altre marche perché ne ha abbastanza di sentire parlare del coronavirus e non vuole qualcosa che glielo ricordi anche quando si beve una birra per rilassarsi. Oppure è stufo di sentire battute sceme.

La consapevolezza del dato di fatto dell’emotività delle persone nei loro comportamenti di consumo alimentare, più ancora di quali ne siano le ragioni, implica alcune linee guida che è bene tenere a mente nella comunicazione delle marche alimentari.

Linee guida che varrebbero anche per la satira, se non fosse che per definizione la satira le regole, giustamente, se le salta. Le conseguenze però rimangano.

 

I contenuti hanno un valore in sé, indipendentemente dal contesto.

Uno che mangia una tartina di caviale e immediatamente la sputa, tipo Tom Hanks in “Big”, nel fondo rimane uno a cui il caviale fa schifo. Se siete dei produttori di caviale non aiuta.

 

Non fate troppo affidamento sul contesto per l’interpretazione del contenuto.

Se già i contenuti possono essere potenzialmente fraintesi, codifica-emissione-ricezione-decodifica e tutto il resto che insegna la semiotica, i contesti per loro natura ancora di più.

Perchè i contesti restano spesso in secondo piano, perché i contesti richiedono di essere interpretati più di quanto non succeda per i contenuti, ecc…

Ad esempio il post di facebook del Partito Democratico che segnalava lo spot della Pizza non diceva che lo spot era “finto”, inserito in un programma satirico.

Meno che meno si comprendeva il contesto (satirico) dalla visione del solo spot che circolava sui siti e sui social. Ossia che nella società digitale in cui viviamo, i contenuti si diffondono spesso spezzetati e separati dal contesto complessivo in cui sono stati creati.

Cosa quindi che peggiora l’ulteriore rischio di fraintendimento legato al fatto che non sempre i contesti sono univoci. Ad esempio “Propaganda live” è un programma di informazione oppure un programma satirico?

 

Rispettate le persone / consumatori.

Tenere conto delle paure e delle idiosincrasie delle audiences a cui si comunica, per una marca significa rispettarle.

E’ stato David Ogilvy, uno dei più famosi pubblicitari americani, a dire “Il consumatore non è stupido, il consumatore è tua moglie”. Immagino si riferisse a quello che ogni tanto accade nelle agenzie pubblicitarie e negli uffici marketing delle aziende: trattare i consumatori/persone come se fossero stupide quando si realizzano i contenuti (messaggi) o, peggio pensare che siano stupidi perché non capiscono il nostro messaggio.

Un atteggiamento che, oltre ad essere concettualmente discriminatorio, è sostanzialmente inutile in termini di business.

Avrà anche ragione MOIMEME quando commenta la discussione su twitter scrivendo “Per non andare al ristorante cinese, a causa del coronavirus, bisogna essere un cretino. Esattamente come quello che non beve più Corona”, ma se tu sei il produttore di birra Corona sapere che i consumatori che stai perdendo sono dei cretini non risolve il problema.

Il parallelo con il marketing politico è talmente lampante che neanche lo spiego. E se non lo capite vuol dire che siete cretini.

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