Bersani e Berlusconi trovano l’accordo per Marini Presidente; io mi sono iscritto al M5S

Avevo in mente un post ficcante, lucido nella diagnosi e convincente sul da farsi.

Poi mi è venuta in mente l’amaca di ieri dove Michele Serra spiegava con la consueta (spocchiosa) arguzia invitava il M5S a non osteggiare la candidatura di Rodotà sulla base di un “pregiudizio così ridicolo da assomigliare a una supersistizione” (cito testualmente) e l’articolo di fondo del Corriere di oggi dovo l’articolista (mi scuso ma sul web non lo trovo ed il nome proprio non lo ricordo) spiegava che i deputati non possono sottostare ad un vincolo di mandato, viceversa rischiano di trasformarsi in semplici portavoce dei capi di partito (ma quest’uomo qui vede cosa succede nel pase, qui un piccolo esempio, o vive nel Principato di Freedonia?

Allora mi sono detto che di raffinati smartasses (scusate, ma la traduzioen “furbacchioni” non mi piaceva) in giro ce ne sono anche troppi, molto più titolati di me.

Niente più di utile da dire, meglio lasciar parlare i fatti: mi sono iscritto al Movimento 5 Stelle.

Le conseguenza della crisi economica: l’evoluzione dei canali distributivi in Italia – 3

Dunque, dopo aver passato lo scorso fine settimana al Vinitaly e quello prima al ProWein, il prossimo sono a Chicago. L’unico fine settimana in un mese in cui sono a casa arriva finalmente la primavera ed io d avenerdì ho un fortissimo raffreddore con conseguente afonia ed eruzione cutanea (???). Niente cavallo, niente orto, niente di niente. volendo vedere il bicchiere mezzo pieno (o forse solo 1/4), la situazione ideale per concludere la saga sull’evoluzione dei canali distributivi. Spero di non aver preso qualche strano virus asiatico, con tutti i cinesi che ho visto, e parto.

Nei due post precedenti in sintesi volevo dire che in una fase di strutturale stagnazione demografica e (quindi) economica non sarà la convenienza fine a se stessa a far ripartire i consumi. Non sarà nemmeno quello che permettera di aumentare le quote di mercato, perchè nel momento in cui diventa la base dell’offerta di tutti, automaticamente non è più differenziante. L’unico risultato certo sono l’aumento medio del surplus del consumatore, in seguito all’offerta generalizzata di prezzi inferiori rivolta ad un paniere più ampio di prodotti ed a segmenti più ampi di consumatori, e la simmetrica riduzione dei margini della distribuzione. Di per sè ptrebbe anche essere una cosa positiva, fino al giorno in cui la ferramenta che vi faceva il colore che vi serviva non è costretta a chiudere.
L’esempio più emblematico di questa eccessiva corsa allo sconto è il diffondersi delle svendite di fine stagione negli outlet, format che basa la sua essenza sulla vendita di capi delle stagioni passate a prezzi di svendita. Quante paia di scarpe può avere un uomo o un donna (niente battute sessiste)?. Quanti divani, poltrone e sofà può comprare una persona in vita sua?
Per capire quale potrà essere l’evoluzione dei canali distributivi in Italia credo sia utile innazitutto recuperare un concetto di marketing di qualche anno fa e poi passato di moda: il ciclo di vita del consumatore. E’ passato di moda talmente presto che non ho trovato riferimenti in italiano e quelli in inglese si riferiscono in realtà a due aspetti diversi: i diversi stadi del rapporto del consumatore con l’azienda e i diversi comportamenti di spesa delle persone a seconda della fase del ciclo di vita in cui si trovano. Questo secondo me è l’aspetto più autentico ed interessante, soprattutto perchè i comportamenti di acquisto vengono associati alla fase relativa del ciclo di vita delle persone a non alle loro caratteristiche demografiche assolute. Detto in altre parole le coppie che hanno il primo figlio mostrano comportamenti di acquisto simili, indipendentemente dall’età dei componenti, mentre persone con profilo demografico simile hanno comportamenti di acquisto diversi se si trovano ad uno stadio diverso del loro ciclo di vita.
Mi aspetto quindi che l’evoluzione dei canali distributivi in Italia andrà nella direzione di maggior efficenza che porterà a:
- crescita dell’e-commerce che unisce minori costi di gestione e di usufruizione all’ampiezza dell’assortimento. Questo può rappresentare un’opportunità per reti di negozio esistenti che possono diventare punti di ritiro degli ordini fatti on-line (alternativa più pratica rispetto alla consegna a domicilio per vari segmenti di consumatori).
- crescita dei punti vendita di prossimità (ed infatti i supermercati tengono), con una trasformazione degli assortimenti che aumenteranno in ampiezza (per dare maggior servizio) e si ridurranno in profondità per essere meglio gestibili sia da parte del negozio che del consumatore che ci fa la spesa dentro.
- trasformazione delle reti vendita in reti di consulenti. Questo fenomeno si è già verificato circa vent’anni fa nell’industria mangimistica e credo che sia un esempio interessante. A seguito della sempre minor differenziazione del prodotto (la valutazione di un mangime si basa sui suoi componenti nutritivi, il cui contenuto è facilmente confrontabile tra le diverse marche) le aziende hanno potenziato la propria rete di vendita. Quando anche questa è diventata una caratteristica comune di tutte le aziende, le reti di vendita sono state affiancate da reti di consulenti, a quel punto la scelta di lavorare con un’azienda piuttosto che con un altra è determinata dalla capacità del consulente di far rendere di più i propri mangimi nell’allevamento dei clienti e quindi il passaggio successivo è stata l’eliminazione delle reti di vendita (poichè sono uscito dal mondo della zootecnia vent’anni fa, non so quale sia la situazione oggi. Sarebbe interessante scoprirlo, magari si trovano indicazioni interessanti per il futuro).
- crisi dei category killers secondo l’andamento delle categorie in cui operano: esaurito il drenaggio di clientela dalla piccola distribuzione tradizionale o saranno capaci di trasformarsi oppure seguiranno l’andamento delle categorie. Non c’è dubbio che le vendite di libri fisici diminuiranno (è una questione di tecnologia), o le librerie saranno in grado di ventare qualcosa di diverso, oppure chiuderanno.

Avrò ragione? Chissà! Spero solo che chi si occupa di politiche distributive si ponga queste domande e lo faccia con un minimo di progetto per evitare inutili consumi di suolo (questa sì una risorsa limitata). E’ di poche settimane fa l’inaugurazione del nuovo casello di Villesse (Gorizia) per servire quello che diventerà il più grande parco commerciale del Nordest con un bacino di utenza stimato di 1.300.000 clienti. Ora considerato che c’è già un outlet a Palmanova (10 minuti in macchina), che tutto il Friuli Venezia Giulia ha 1.236.103 abitanti e che tutta la Slovenia ne ha poco più di 2.000.000, più che il “primo tassello di un progetto importante per l’isontino” mi sembra l’ennesimo, inutile, stupro ambientale. Una volta lì era tutta campagna.

Cara Debora (Serracchiani, n.d.a.) …

…. mi permetto di darti del tu, come fai tu con me nella lettera che mi hai mandato ieri.

Confesso che l’ho ricevuta con dispiacere perchè avrei preferito ricevere una mail, come altre che mi hai già mandato: meno costi per te, meno aggravio per le poste costrette ad applicare la tariffa agevolata, meno spreco di carta (anche se io riciclo, questa è solo l’ultima opzione nel trittico riduci-riusa-ricicla). Anche da queste cose passa il cambiamento che porta all’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti e dei contributi ai gruppi parlamentari e consiliari, pratiche che già in linea di principio determinano un ingiustificato vantaggio per le forSe politiche già presenti nelle istituzioni a scapito di quelle che cercano di entrarci (per tacere ovviamente dell’uso disgustoso che ne è stato fatto dagli eletti, nel complice silenzio politico di tutti i partiti).
Però oramai il danno era fatto e così, visto che in passato ti ho anche votato (alle Europee, quando hai preso più preferenze di Bossi), ho aperto la busta ed ho cominciato a leggerla.
Si vede che non era la mia/tua giornata perchè già il tondo (con la minuscola mi raccomando, questa la capiscono solo gli elettori del Friuli Venezia Giulia) con la scritta “Debora Serracchiani – Torniamo ad essere speciali” è di una tristezza comunicativa sconsolante. Oramai (quasi) tutti abbiamo un’immagine che ci rappresenta nella nostra pagina twitter e tu non riesci a trovare niente che ti rappresenti? A dirla proprio tutta l’assenza del simbolo e di qualsiasi altro riferimenti al PD, mi sembra un trucco intellettualmente disonesto per staccarsi dal percepito del partito di cui fai parte. Sono in molti ad essere convinti che l’essenza del marketing e della comunicazione sia quella di ingannare le persone, però chi lo fa di professione sa che non è mai stato così ed oggi lo è sempre meno. Non a a caso il motto di una delle più grandi agenzie di pubblicità americane è “La verità, detta bene”. Aggiungo, cosciente che si tratta di una mia mania che mi trascino dai tempi della campagna di Rutelli candidato alla presidenza del consiglio, che mi piacerebbe prima o poi vedere il centro-sinistra segnare la propria diversità e capacità di cambiamento rispetto al centro-destra abbandonando questo approccio individualista e personalistico secondo cui viene proposto un leader da seguire. C’è una base teorica in termini di marketing politico a supporto di questa mia affermazione, ma senza perdere tempo in oziosi ragionamenti, credo che i risultati delle elezioni degli ultimi anni siano sufficienti a consigliare un cambio di strategia.
Pensando alla realtà dei fatti, la tua definizione delle primarie del centrosinistra come “uno dei momenti più positivi della recente politica italiana” mi ha strappato un sorriso (amaro, ma pur sempre sorriso).
Nella lettera mi chiedi di impegnarmi a fare del proselitismo a tuo favore, in termine tecnico si chiama “call to action” e quella che chiedi tu implica un forte coinvolgimento emotivo. Ora delle due l’una: o ero già convinto, e quindi la tua richiesta è superflua, oppure avrei bisogno di qualche ideale che vada al di là delle dichiarazioni di intenti elencate nel testo. In termine tecnico si chiama “engagement” e la sua base è prima emotiva che razionale.
L’unico tentativo che fai di instaurare questa comunione di spirito, prima che di intenti, è mettendola sul personale (le frasi in grassetto non bastano) però il palco casca quando si arriva all’artificialità della firma stampata. Sarà che sono un precisetti, sarà che il diavolo è nei dettagli, ma questa mancanza di autenticità mi ha fatto apparire tutta la lettera come un tentativo di irretirmi.
Ora tu mi dirai che sono naif e che non puoi firmare 40.000 lettere. A parte l’ovvio e facile “perchè no?” sarebbe stato sufficiente ripartire le lettere tra i collaboratori che si occupano della campagna (magari scegliende solo le donne per motivi calligrafici). Noi non conosciamo la tua firma ed avremmo apprezzato l’intenzione di un legame/impegno personale e la professionalità nel fare il proprio lavoro. A te però sarà sembrato invece ancora più ingannatorio …..
Cordialmente.
Lorenzo.

Le conseguenze della crisi economica: l’evoluzione dei canali distributivi in Italia – 2

Sono al Vinitaly è quindi ho pochissimo tempo, però questo flash non potevo evitarlo perchè ho sentito in radio il nuovo spot Lidl (secondo me su questo mezzo risulta ancora più forte dello spot TV che trovate qui).

In un momento in cui tutta la comunicazione e quasi tutta la proposta di prodotto/assortimento della Grande Distribuzione è appiattita sul concetto di convenienza, quando non di prezzi bassi tout-court, LIDL se ne esce con una campagna basata sulla qualità al giusto prezzo.

D’altra parte possono permettersi di dare la propria convenienza come un fatto acquisito sia per le loro politiche di prodotto (e parlando di prodotto relativamente alla grande distribuzione io intendo il punto vendita nel suo complesso di accessibilità, arredi, servizi alle casse, assortimento, prezzi dei singoli prodotti e valore del carrello complessivo) sia per gli anni di campagne “volantino” basate unicamente sulla comunicazione dei prezzi dei prodotti (ne ho già parlato nel 2012 qui e qui).

Da una breve analisi tecnica della campagna si notano:
- la durata dello spot di 60′ che è doppia rispetto alla norma e quindi permette di comunicare una storia più articolata con il giusto respiro (a fronte di un calo, probabile, dei costi di acquisto degli spazi pubblicitari, LIDL invece di risparmiare ne approffitta per comunicare meglio)
- l’utilizzo di un concetto di comunità in contrapposizione all’individualismo imperante nella maggior parte della comunicazione in ogni contesto

Soprattutto se ne esce con un claim finale che io non ricordo di aver mai sentito prima in Italia che invita a cambiare supermercato “Non cambiare stile di vita, cambia supermercato”.

In realtà un claim simile l’aveo già sentito: nel 1990 quando vivevo in Canada era quello utlizzato dalla catena Loblows, in assoluto la miglior catena di grande distribuzione che mi sia mai capitato di vedere, sia come consumatore che come professionista di marketing. A dimostrazione non è così difficile trovare le buone idee se uno sta con occhi, orecchie e, soprattutto, cervello aperti ed accesi.

Forse sarà per questo che mi sto convincendo che il vero limite dell’Italia è la diffusione, direi quasi la prevalenza, in tutti i settori ed a tutti i livelli dell’incompetenza a causa della sua generale accettazione sociale, pur di evitare di mettersi in discussione ed alterare lo status quo.

Buonanotte

Le conseguenze della crisi economica: l’evoluzione dei canali distributivi in Italia – 1.

Continuo la serie delle conseguenze della crisi economica. Come buona norma, partiamo dai freddi numeri.

Secondo la rilevazione ISTAT a dicembre 2012 delle vendite del commercio al dettaglio lo scorso anno le vendite al dettaglio a prezzi correnti (quelli pagati dai consumatori in sostanza) sono diminuite del -2,2% con un -0,9% per la GDO ed un -3,1% per le piccole superfici. L’alimentare è calato del -0,8% ed il non alimentare del -2,8%.
In termini di canali gli ipermercati hanno fatto -1,6%, i supermercati +0,1%, i discount alimentari +1,6%, i grandi magazzini -2,5% (tecnicamente la categoria è “imprese non specializzate a prevalenza non alimentare”), i category killer -1% (tecnicamente “imprese specializzate”). Questa è la sintesi, consiglio comunque di guardare il flash ISTAT linkato per una visione più completa.

Questi numeri mi hanno ricordato il 2007 quando in Stock analizzando i dati Nielsen sulle vendite della GDO si evidenziava un calo degli ipermercati, una tenuta dei supermercati, la crescita dei superstore (tipologia di punto vendita introdotta in Italia sostanzialmente da Esselunga, con una metratura tra i 1.500 ed i 3.500 m2, che quindi nella rilevazione ISTAT può ricadere o nei super o negli iper) e la crescita del discount.

Uno scenario non molto diverso da quello attuale, a conferma che la crisi economica sta soprattutto intensificando tendenze che erano già in atto, legate ad altri fattori. Quali?

Secondo me il calo dell’iper è dovuto al fatto che è diventato un formato di negozio troppo faticoso. E’ faticoso da raggiungere, è faticoso farci la spesa dentro perchè troppo dispersivo, è faticoso gestire una famiglia in un ambiente così grande ed è faticoso, a causa dell’ampiezza dell’offerta, controllare la spesa complessiva, anche se i prezzi sono/fossero mediamente più convenienti rispetto ad altri formati.
Visto in termini più “sociologici”, l’iper è un formato che si basa sul concetto di “andiamo a passare il pomeriggio al centro commerciale” e quando per l’evoluzione socio-demografica questo concetto diventa spesso un incubo, l’iper entra in crisi. Non voglio dilungarmi troppo in approfondimenti e spiegazioni, ricordo solo che una delle cose che caratterizzano le società occidentali e la carestia di tempo.

Il supermercato viceversa è diventato il punto vendita di prossimità sia in termini fisici che di “esperienza di acquisto (semplicità degli assortimenti, conoscenza del personale, ecc…) , sostituendo in questo i negozi tradizionali che sono andati via via sparendo. In più ha intensificato la convenienza di prezzo con lo strumento delle promozioni, strumento che ha acquistato più forza in seguito alla banalizzazione delle marche e quindi alla parcezione da parte del consumatore di una determinata categoria di prodotto come sostanzialmente omogenea. In altre parole ogni settimana il consumatore può trovare una merendina, un prosciutto, un vino, un olio, ecc. in offerta.

Il discount abbandona la marca (quello italiano non del tutto) per spingere al massimo sul convenienza, grazie anche ad un assortimento ridotto (che significa anche semplicità) ed una praticità della localizzaizone dei punti vendita simile al supermercato.

In questa situazione, che ripeto esisteva già nel 2007, si inserisce la crisi economica e la risposta praticamente di tutte le catene distributive e di tutti i formati è quella di puntare esclusivamente sulla convenienza, con i deludenti risultati che abbiamo visto.

La ragione di questo insuccesso si potrebbe ricondurre alla perdita di senso di cui parlavo in questo blog nel 2008 analizzando le strategie dei produttori.

Secondo me però c’è qualcosa di più profondo ed è il fallimento della visione aziendale guidata dalla finanza e sostenuta dalle vendite che ha caratterizzato le aziende negli ultimi 5-10 anni.

Ne ho già parlato nel 2010 in una serie di post inziata a settembre e terminata ad ottobre, però nel nuovo scenario attuale vale la pena di approfondire.

Oggi ho pubblicato un post che aveva nel titolo il termine autismo. Prima di usarlo ho fatto un brevissimo approfondimento su wikipedia per essere sicuro che fosse attinente. con tutto il dovuto rispetto per chi veramente soffre della malattia, ragionando in senso lato in ambito socio-economico mi ha colpito la descrizione di due sintomi: l’ecolalia, ossia la ripetizione di parole, suoni o frasi sentite dire, senza che queste si trasformino in apprendimento da utilizzare in modo costruttivo in situazioni diverse da quelle in cui sono state generate, e la marcata resistenza al cambiamento, consegfuenza dell’importanza per l’ordine.

Ecco, sempre senza voler mancare di rispetto a chi è malato, credo che per descrivere spiegare l’incapacità di rispondere all’attuale afasia economica (termine rubato ad un amico) sia necessario andare oltre al concetto già noto di “miopia di marketing” e conio il termine di “autismo di marketing”.

Rispetto al tema questo post non è nemmeno a metà, però è già tardi ed è il secondo in un giorno. La mente si sta sfuocando e quindi rimando ad una prossima puntata. Non garantisco quando, perchè il prossimo fine settimana c’è il Vinitaly. salute!

Ho visto un Re! Come l’autismo della casta politica ha avvitato la crisi e portato allo scempio della Repubblica

Tra i vantaggi di scrivere un blog c’è anche quello che la mia posizione riguardo all’attuale situazione politica è nota e, spero, chiara.

Dopo aver dichiarato il mio voto per “Fare per fermare il declino”, ed aver brutalmente perso, lo scorso 26 febbraio scrivevo che era evidente che la cosa tatticamente migliore per il PD di Bersani era dichiararsi apertamente per un incarico ad un premier del Movimento 5 Stelle.

Non ci credevo, ma speravo che Bersani, se non altro per interesse proprio e del suo partito, avrebbe dato una mano al Presidente Napolitano per imporre un cambiamento al Paese.

Invece, malgrado dalla crisi economica del 2008 tutti a parole invochino un cambio dei paradigmi socio-economici su cui si basano le società occidentali, si è dato alle cose il solito corso tradizionale con il pre-incarico esplorativo a Bersani, in quanto leader della coalizione di maggioranza relativa. Il tentativo è fallito (ma và?) ed il Presidente Napolitano, responsabile della nomina del Presidente del Consiglio, ha creato due commissioni di persone da lui nominate (???) per definire un programma (??????) su cui trovare la convergenza della maggioranza parlamentare.

Eppure un’analisi politicamente oggettiva/imparziale/aperta dei risultati delle elezioni da parte del Presidente Napolitano non poteva non rilevare che:
- tra le coalizioni di centro-sinistra e centro-destra c’è stata una sostanziale parità (la differenza a favore del centro-sinistra è di 0,37 punti percentuali alla Camera e 0,91 punti percentuali al Senato, dati defintivi dal sito del Ministero dell’Interno).
- la maggioranza dei seggi alla coalizione del centro-sinistra deriva solamente dall’artificio del premio di maggioranza della legge elettorale, legge considerata un obbrobrio da tutti i partiti politici, contraria all’indirizzo dato dalla volontà popolare con il referendum del 18 aprile 1993 ed al cui confronto la “legge truffa” del 1953 appare un apice di democrazia.
- il vero elemento di novità risultante dal voto è stata l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che da niente è diventato il primo partito alla Camera (questione di spiccioli rispetto al PD e 4 punti percentuali rispetto al PDL) ed il secondo al Senato (-4 punti rispetto al PD e +1 rispetto al PDL).

Volendo approfondire i risultati delle urne con l’analisi dei flussi elettorali (qui propongo la sintesi degli studi dei diversi istituti di ricerca pubblicata sul sito del Partito Marxista-Leninista Italiano, stranamente il primo risultato datomi da Yahoo), si nota come il M5S sia la forza politica di sintesi dei due schieramenti avendo preso voti in modo quasi uniforme da ex elettori del centro-sinistra e del centro destra.

Credo che in termini di correttezza democratica gli elementi per dare l’incarico al M5S ci fossero tutti (lo so l’incarico può essere dato solamente ad una persona, però è grazie ai tecnicismi di forma che si impedisce il cambiamento).

Invece tutto il sistema politico e dei media tradizionali ha sempre bollato questa ipotesi come inammissibile, lamentando contemporaneamente l’ignoranza politica del M5S nella sua incapacità di negoziare per arrivare ad un compromesso.

Ora io non ho esperienza di politica politicante però occupandomi di marketing e vendita da vent’anni conosco la teoria e la pratica della negoziazione. La mia impressione è che politici e (tele)giornali abbiano sviluppato nel tempo un concetto distorto di negoziazione inteso come scambio di privilegi e non come punto di incontro tra le istanze ed esigenze delle parti. Ovvio che quando le istanze e le esigenze sono quelle personali e non dell’organizzazione che si rappresenta i due concetti corrispondono.

Se gli obiettivi del Quirinale erano quelli dichiarati di dare rapidamente un governo al Paese, possibilmente di cambiamento, dal punto di vista delle tecniche di negoziazione (questo quaderno del Centro Studi Nazionale CISL offre una buona sintesi ed un’ottima bibliografia) il pre-incarico a Bersani o a Berlusconi era a priori una scelta sbagliata, mentre quella di dare l’incarico al M5S l’unica possibile.

Grillo infatti poteva probabilmente accantonare alcuni punti del programma (referendum sull’euro, ad esempio) e forse anche accettare alcuni ministri esterni, ma avrebbe perso tutta la credibilità appoggiando un governo a guida Bersani o Berlusconi. Quello era il suo punto di resistenza.

Specularmente Bersani, o il PD, poteva probabilmente accettare di non avere la guida del governo in cambio del ruolo di moderatore delle richieste più estreme del M5S. Un punto di resistenza sicuramente più basso, ma dopo aver fatto numerose negoziazioni con la clientela vi assicuro che raramente c’è simmetria ed equilibrio. Per questo ci vuole un compromesso.

Quello che è mancato è stata la capacità del Quirinale di creare le condizioni per una negoziazione (uno spazio negoziale) che le parti non potevano evidentemente creare da sole. Invece la scelta conformista del pre-incarico a Bersani ha avuto l’effetto prevedibile di inasprire le posizioni, spostando in alto i punti di resistenza, a cui si cerca di rimediare con la deleteria prassi (della politica) italiana delle commissioni.

La Pubblica Amministrazione che non paga i propri debiti è tecnicamente ed economicamente fallita e la Repubblica con il Parlamento esautorato da un Direttorio di nomina presidenziale è politicamente ed istituzionalmente morta.

L’unica speranza è che il Paese mantenga abbastanza fede in se stesso per risorgere. Buona Pasquetta.

“Servire il Popolo”: magistero evangelico, imperativo marxista-leninista o disciplina manageriale? Papa Francesco e la risolutezza dei buoni.

Questo titolo prolisso alla Wertmuller nasce dallo stupore provato nel sentire i servizi del giornale radio sull’omelia odierna di Papa Francesco durante la messa della sua investitura (lo so che non si chiama così, ma una volta tanto opto per la sintesi rispetto alla precisione).
E’ che io la servant leadership l’ho imparata, analizzata ed approfondita studiando gli articoli di William B. Locander e David L. Luechauer, pubblicati sulla rivista Marketing Management dell’American Marketing Association.
Dubito che Papa Francesco abbia studiato gestione del personale, ma da un gesuita ci si può aspettare anche questo, ed è molto, molto, molto, molto più probabile che la sua ispirazione siano gli esempi storici di servant leadership in ambito filosofico e religioso (Gesù in primis ovviamente).
Semmai una ennesima dimostrazione dell’universalità dell’umano (ricordo tanti anni al master della SMEA il manager di un’azienda appasionarsi per la dimensione economica dell’uomo, visione che mi è sempre sembrata limitata e riduttiva rispetto alla dimensione umana delle persone). Dimostrazione che probabilmente si chiude e si rafforza (oppure si cortorcuita a seconda del punto di vista) osservando con il percorso umano di Aldo Brandirali, fondatore dell’estinta rivista dell’Unione Comunisti Italiani “Servire il Popolo”.

Comunque la si veda, io spero che questo aiuti a dare fiducia alle persone che cercano di guidare e non di comandare. Bisogna essere (diventare) forti per non aver timore della tenerezza.

Il bello è che secondo le rilevazioni dell’agenzia di rating della responsabilità sociale delle imprese Standard Ethics, le imprese “più buone” sono anche quelle con i migliori risultati nel lungo periodo.

Nostalgia canaglia!

Avevo diversi argomenti in testa per il post di oggi:
- terza puntata su “gli effetti della crisi: la disoccuopazione”. Scartato perchè discettare di lusso e consumi è una cosa, ma parlare di (mancanza) di lavoro significa veramente parlare della vita delle persone. Rimando ad altra data.
- motivi e metodi per una nuova evangelizzazione del vino. Scartato perchè i concetti su cui sto ragionando sono particolarmente contro-intuitivi quindi è bene dargli altro tempo per maturare.
- una giaculatoria contro la Presidente dell’Autorità Portuale Marina Monassi che, in combutta con il suo compagno di vita ex (finalmente) senatore Giulio Camber continua a bloccare ogni via di sviluppo di Trieste, in modo da mantenere il proprio potere ed alimentare il proprio ego. Scartato perchè non voglio rovinarmi il karma per chi ha avuto la sfacciataggine di provare a mantenere la direzione generale della multiutility comunale Acegas APS dopo essere stata ri-nominata (nomina ministeriale) presidente dell’Autorità Portuale. Siccome però credo sia un’emblematica storia italiana ecco i link ad un vecchio articolo di Paolo Rumiz, che risale ai tempi della prima nomina della Monassi alla presidenza del porto, ad un articolo agiografico apparso su un sito che dichiara di occuparsi di cultura creativa (???) ed un comunicato stampa del sito Trieste5Stelle (se non altro per il peso che ha acquisito il M5S nella politica nazionale). Ognuno si faccia la propria opinione, visto che non sono riuscito a trovare le uniche informazioni che contavano ossia quelle relative ai risultati della prima gestione del porto da parte della Monassi.

E allora di cosa *@§#X% parlo oggi?

Per una volta mi affido più all’emozione che al razioncinio e parto dall’impressione che mi ha fatto entrare in un centro commerciale a Mosca lo scorso febbraio. Vedere il sushi bar con sopra la maxi bottiglia di Budweiser e pensare di essere a Mosca per me è stato sorprendente.
Immagino che sia una sensazione comune con tutti quelli che sono cresciuti quando esisteva l’Unione Sovietica e questa giocava comunque un ruolo importante dal punto di vista politico, militare, sociale, economico, sportivo, ecc… Come mi disse una volta il mio maestro di scherma rumeno “Non avrei mai sperato un giorno di vedere la fine del regime (comunista).”

Per questo presumo che se per me è sorprendente, per chi è nato e cresciuto in Unione Sovietica, un posto così tenderà ad essere incredibile/sconvolgente.

Sarà la ragione per cui:
- la televisione di stato russa sia piena di vecchi film sovietici con il loro carico di (superata) propaganda e di nuove produzioni che distorgono, idealizzandoli, i bei vecchi tempi dell’Unione Sovietica.
- secondo una recente ricerca almeno il 40% della popolazione vorrebbe vivere nel sistema politico sovietico (causa o effetto del punto precedente? Probabilmente entrambi).
- dalla stessa ricerca appare che il 51% dei russi desidera apertamente un sistema economico di stile sovietico, con pianificazione statale della produzione e della distribuzione della ricchezza, solo il 17% della popolazione è soddisfatta del sistema attuale e solo il 22% supporta il modello democratico occidentale.
- nell’ultimo anno i russi favorevoli all’economia di mercato ed alla proprietà privata è sceso dal 35% al 29%.
(dall’articolo “Ritorno all’Unione Sovietica di Stalin” pubblicato sul Moscow Time del 15-02-2013 a firma Georgy Bovt)

La prima considerazione che mi è venuta in mente leggendo questi numeri è che un sushi bar con la pubblicità della Budweiser in un centro commerciale a Mosca è un posto assolutamente ovvio per tutti i russi nati dopo il 1990 (come per il loro coetanei di buona parte del mondo).

La Russia quindi avrà fatalmente un futuro post-sovietico, nel cammino inciamperà tanto meno quanto prima più smettera di andare avanti guardando indietro.

La settimana prossima sono a Dusseldorf a Prowein. Non so se riuscirò a mantenre il mio appuntamento settimanale con il blog. Se volete venite a trovarmi.

Le conseguenze della crisi economica: il calo dei consumi in Italia.

Se la settimana scorso il rischio di dire banalità era alto, con il titolo di oggi diventa una sicurezza. Se non altro, come dico da molti anni e sicuramente avrò già scritto in qualche post, le banalità hanno il pregio avere un gran fondamento di verità.

La prima, vera, banalità l’ha detta mio papà mercoledì sera a cena. Quando al telegiornale hanno riportato la notizia che in base all’indicatore di Confcommercio il calo dei consumi di gennaio porta i consumi al livello del 2004, il suo commento è stato “Perchè nel 2004 stavamo male?”. Ovvio che si tratta del commento di una persona anziana (quest’anno saranno 84) che confronta la situazione di oggi in una prospettiva quasi storica, probabilmente considerando più o meno consciamente è cresciuto in una casa dove non c’era praticamente niente di quello che ha oggi (telegono, televisore, lavatrice, riscaldamento, divani e poltrone, ecc..). Attenzione per i più giovani: non è che la sua fosse una famiglia povera, era una famiglia normale. Anzi abitando in città aveva più comodità di chi, la maggioranaza della popolazione, viveva in campagna.

Oppure più banalmente considera che stava meglio quando aveva solo 74 anni.

Ad ogni modo è una percezione probabilmente condivisa da un discreto numero di persone, considerando che gli italiani con più di 65 anni sono il 20,8%..

Al di là delle percezioni, quali sono i fatti?
L’indicatore Confcommercio a gennaio 2013 rileva consumi in calo a valore del 2,4% rispetto allo stesso mese dell’anno prima. Dato che porta la media mobile a tre mesi dei consumi allo stesso livello del 2004 (tecnicamente una cosa un po’ diversa da dire “i consumi sono tornati al livello del 2004″, ma la sostanza del discorso non cambia).
Disaggregando, i servizi hanno fatto -3,7% ed i beni hanno fatto -2%. Beni e servizi per la mobilità hanno fatto segnare -10,1%, alimentari-bevande-tabacchi -3,9%, abbigliamento e calzature -3,9%. In positivo, come già successo nel 2012, solamente i beni e servizi legati alle telecomunicazioni che hanno segnato un +5,7% sul gennaio 2012.

Un paio di banali considerazioni. Quante macchine ci possono stare ancora sulle strade italiane (perchè nei garages non c’è più posto già da tempo)? Nel 2010 (ultimo dato disponibile) in Italia c’erano 61 auto immatricolate ogni 100 abitanti, record europeo. Crisi economica o meno forse si poteva prevedere che il parco automobilistico italiano si sta avvicinando al livello di saturazione e quindi il mercato si sarebbe bloccato. Leggete questo articiolo sulla crisi del mercato dell’auto ed i relativi commenti, un esempio perfetto di miopia di marketing da parte degli operatori del mercato dell’auto. Come dice Bisio i politici sono espresione del Paese e quindi lo scollamento con dalla realtà riguarda ahimè tutte le classi dirigenti, non solo quella politica.
Evito il cerchiobottismo di citare i benefici relativi alla diminuzione dell’inquinamento, perchè non ho trovato dati chiari di correlazione, ma chi vuole farsi un’idea può guardarsi questo rapporto dell’OMS aggiornato al 2010.

Riguardo ai dati su alimentari-bevande-tabacchi, la categoria mi sembra un po’ troppo eterogenea ed allora faccio riferimento ad alcuni dati riportati nel numero di febbraio della rivista GDO Week:
- secondo i dati Istat la vendita di alimentari in valore nei primi 11 mesi del 2012 è calata dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il discount però è cresciuto dell’1,6%. Di conseguenza il trende delle vendite a volume è migliore, però non ci sono dati quindi può essere calato meno, rimasto costante o, addirittura cresciuto.
- sempre da fonte Istat il dato che il peso medio degli italiani sta scendendo e nell’ultimo triennio il numero delle persone sovrappeso è calata dell0 0,5%. Effetto del fatto che si mangia meno e si cammina/pedala di più? E questi comportamenti quanto sono effetto della crisi e quanto di cambiamenti di stili di vita, anche per maggiore informazione sui mezzi di comunicazione come questi recenti esempi su Corriere e Gazzetta? Oppure anche in questo caso è una conseguenza degli andamenti demografici?
- secondo una ricerca SWG la metà dei consumatori italiani ha messo in atto strategie per ridurre gli sprechi, ma o nono sono abbastanza oppure non sono abbastanza bravi se si crede alle stime del Barilla Center secondo cui le famiglie italiane buttano il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane ed il 16% della frutta e verdura. E’ evidente che se riduco gli sprechi spendo meno senza consumare meno.
- secondo i dati di SymphonyIRI Group nel canale super-iper-discount sono in crescita farina, uova, burro, fette biscottate, caffè, miele, confetture. Un riscontro oggettivo delle ricerche che indicano un ritorno in cucina rispetto al passato (a furia di guardare gente che cusina in televisione e comprare milioni di libri di ricette…). Questa tendenza ha portato anche ad un aumento degli elettrodomestici da cucina, necessaria quegli 11 milioni di italiani che si preparano in casa regolarmente pane, yougurt, gelati, gelati, conserve, biscotti e dolci. Conseguenza della crisi economica o della voglia/ricerca di genuinità/sicurezza/relax/creatività? Attenzione che cucinare di più è anche un modo per ridurre gli sprechi. Emblematica questa ricetta di marmellata di bucce d’arancia di una vecchia amica ricercatrice diventata food blogger. E’ evidente che se compro gli ingredienti e cucino io la torta spendo meno rispetto a comprarla già fatta, senza ridurra i consumi.
- cucinare di più e sprecare di meno sono alla base anche del crescente numero di persone (pare che occasionalmente siano 7,7 milioni e regolarmente 3,7 milioni) che al lavoro mangiano un pranzo portato da casa. Anche qui quanto è l’effetto della crisi e quanto voler sapere cosa si mangia? Per tornare poi al post della settimana scorsa, il fatto di pranzare potendo scegliere ogni giorno tra 3 primi, 3 secondi, frutta e dolce è un lusso che ho sempre apprezzato come tale.

In conclusione mi sono reso conto che più o meno questi discorsi li avevo fatti già postati nel 2008 in due post intitolati “Sviluppo(?) sostenibile(!)” (li trovate qui e qui).

Questo conferma due cose:
- che probabilmente la crisi è strutturale perchè gli stessi fenomeni sono ancora in corso 5 anni dopo.
- che probabilmente i cambiamenti strutturali sono appena iniziati e non saranno nè facili nè semplici.
- che diventando vecchio mi ripeto.

Dopo i consumi, la prossima settimana analisi sugli effetti della crisi sulla produzione (e quindi sull’occupazione).

percezione più diffusa sembra comunque essere quella di insoddisfazione

Le conseguenze della crisi economica: il ritorno del lusso.

Più ci penso e più questo post diventa complicato. Non tanto perchè nessuno a raccolto il mio appello per segnali a sostegno del ritorno del lusso lanciato lo scorso 24 febbraio, ma perchè mi viene difficile parlare delle conseguenze della crisi senza fare un’analisi della crisi stessa.

Che però è un argomento troppo tosto per affrontarlo alle 10 di sera, cercando di non dire banalità, stupidaggini e di scrivere 10 cartelle.

Cerco allora di circoscriverlo ai fini dell’argomento lusso e poi magari continuerò la serie “Le conseguenze della crisi economica…” su altri aspetti.

La premessa generale è che la crisi è strutturale. Che sia conseguenza di un’accelerazione di cambiamenti socio economici strutturali che erano già in atto o che la crisi economica li abbia generati tout-court, non importa. Il risultato non cambia, ed il risultato è che la conclusione di questa crisi avverra in seguito a modifiche dell’attuale struttura socio-economica.

Mi scuso se sembro banale e tautologico, però l’enunciazione “la crisi è strutturale” l’abbiamo sentita tante di quelle volte da dimenticare l’ovvia conseguenza che se ne esce (non è detto che positivamente) solo attraverso un cambiamento altrettanto strutturale. Ce lo siamo dimenticati anche perchè la grandissima maggioranza delle soluzioni proposte sono state congiuntutali, tese ad aumentare afficacia ed efficienza delle attuali strutture (materiali ed immateriali) più che a definirne delle nuove.

Uno di questi cambiamenti strutturali in atto è il ritorno del lusso. Non del lusso accessibile o del lusso democratico, che anzi tendono a ridimensionarsi, ma del lusso lusso.

Tutta una serie di prodotti e servizi tornano ad essere appannaggio di una minoranza della popolazione e quindi riacquistano la loro valenza apirazionale.

Uno dei segni che cercavo per confermare questa cosa che mi frullava nella testa l’ho trovato sullo scaffale del supermercato sabato facendo la spesa: sulla confezione di una nota marca di tigella (finiti i bei tempi di quando avevo il tempo di farmi le crescentine in casa, a Modena) si annunciava il concorso che metteva in palio 60 crociere nel Mediterraneo.

Dubito che solo 5 anni fa avrebbe avuto lo stesso appeal sul consumatore. Dieci anni fa dovevamo trovare il premio per un concorso della Vodka Keglevich e ci mettemmo un po’ a deciderci per il New Beetle Volkswagen, uscito da poco. A parte la coerenza tra lo “stile di vita” della Kegleviche del New Beetle, l’esclusività derivava anche dal fatto che per comprarla in concessionaria le attese erano lunghe.

Quello che voglio dire è che solo 5 anni fa il premio di una crociera nel Mediterraneo avrebbe fatto sognare un segmento limitato dei consumatori italiani. Tolti quelli a cui una crociera non interessa, la maggior parte degli altri o l’aveva già fatta oppure se la poteva comprare quando voleva.

In termini di marketing strategico e operativo le implicazioni sono parecchie. Diventa inutile tutto il castello teorico che avevo costruito nel 2008 sul concetto di “lusso inclusivo”, mentre diventano più importanti per i beni di largo consumo i concetti di bare bones marketing e di marketing democratico.

Il linkare vecchi post non è solo stanchezza, è che nei momenti di confusione vale la pena andare a ricercare i vecchi paletti su cui trovare qualche ancoraggio.

(Purtroppo) Michele Serra era tra gli strateghi, ovvero se Bersani avesse un barlume di intelligenza politica.

Cerco di resistere alla tentazione di dire la mia sui risultati elettorali e ci riesco solo in parte limitandomi a linkare il mio post dello scorso 9 dicembre 2012 (così si spiega anche la prima parte del titolo).

Non c’è molto da aggiungere, lo dico non con l’amara soddisfazione di aver avuto ragione (tanti anni fa ho imparato che saper prevedere le cose rarissimamente permette di cambiarle, bene che vede può servire a prepararsi), ma con il sincero stupore che le stesse valutazioni non siano state fatte da chi di politica si occupa tutti i giorni.

Se me ne sono accorto io qui, nell’angolino in alto a destra (sarà per questo?) dell’Italia, possibile che non se ne siano reso conto i politici e gli spin doctor di professione?

Ha ragione Grillo, hanno perso completamente il contatto con la realtà. In termini di marketing (che ricordo è una scienza sociale) si chiama “miopia di marketing”, ti impedisce di vedere le cose che hai sotto il naso ed è causata principalmente dalla presunzione, che a sua volta spesso genera antipatia. Forse un vizio congenito ricordando l’affettuoso (??) nomignolo de “il Migliore” dato a Togliatti.

Probabilmente la stessa presunzione che ha portato oggi Bersani in conferenza stampa a lanciare ammonizioni e sfide arroganti, nonchè patetiche (alla luce dei fatti), e a fare il figo (finto modesto) prendendosi responsabilità che non si capisce bene da dove nascano.

Se invece avesse l’umiltà di leggere il programma del Movimento 5 Stelle ,magari si accorgerebbe che molti punti sono condivisibili con l’elettorato di un partito che si dichiara progressista (l’hanno già detto il Sindaco PD di Bari e Silvio Berlusconi, uno che di politica se ne intende) e se avesse un barlume di intelligenza politica si direbbe d’accordo con Alfano nel dichiarare la parità e si pronuncerebbe a favore dell’appoggio ad un Governo a guida Grillo.

Così, con un gesto arioso ed elegante, riuscirebbe in un colpo solo a:
- liberarsi della patata bollentissima di tentare di fare un Governo (quasi impossibile uscirne bene).
- diventare uno dei fautori del cambiamento del Paese, investimento inestimabile per le prossime elezioni (che siano tra 6 mesi o tra 5 anni).
- esercitare un’influenza moderatrice ed europeista alle (eventuali) derive giacobine del M5S, diventandone l’accompagnatore ed il garante verso la comunità internazionale (questo si che sarebbe un servizio per l’Italia e per l’Europa).

Se si voterà tra sei mesi, il PD si presenterebbe con la credibilità intatta (o accresciuta), se si voterà tra qualche anno il PD si ripresenterebbe tra quelli che hanno contribuito a rivoltare il Paese.

Certo che questo significherre abolire veramente le province, il finanziamento pubblico ai partiti, dimezzare il numero dei parlamentari ed il loro stipendio, (magari!) abolire i contributi ai gruppi parlamentari e consiliari, privatizzare due canali televisivi, ….. Mi sa tanto che non può succedere.

La crisi economica porta con sè il ritorno del lusso?

Tempus fugit e questa settimana proprio non riesco a mantenere la classica cadenza del mio blog.

La ncio così la domanda che sta alla base di quello che avevo in testa di scrivere, perchè non è che abbia proprio dei segnali, ma la sensazione è forte.

Qualcuno riesce a darmi qualche fatto, anche debole, a supporto?

Grazie in anticipo.

In coscienza come si può votare ancora la coalizione PDL-Lega?

Per questo post avevo in testa di ricordare come l’ultimo governo PDL-Lega presieduto da Berlusconi sia stato caratterizzato da un’azione politica ed amministrativa basata sull’occupazione partitica, ossia premiando la fedeltà di appartenenza rispetto alla corettezza della competenza, di tutti i possibili ambiti economici, sociali e della pubblica amministrazione e di come questa impostazione data dal vertice del Paese stimoli e legittimi il saccheggio di istituzioni ed azienda da parte di tutti.

Poi però ho fatto un minimo di approfondimento in rete e mi sono accorto che sarebbe stato un inutile arzigogolo perchè la questione è molto più semplice di così.

Leggo sulla voce Silvio Berlusconi di Wikipedia che ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio per un totale di 3.340 giorni, più di chiunque altro nella storia della Repubblica (per chi ama le statistiche segue Andreotti con 2.679, Prodi è 6° con 1.608) e terzo dall’unità d’Italia, dopo Mussolini e Giolitti.

Quindi semplicemente, al di fuori di ideologie, partigianerie e cori da stadio, che la coalizione PDL-Lega non è in grado di afforntare e risolvere i problemi del Paese, per mancanza di volonta o di capacità non importa, è un dato di fatto.

In coscienza, se uno è una persona onesta (non è un giudizio morale, è la consapevolezza che esiste una percentuale di cittadini che traggano vantaggio dal modo di fare politica della coalizione PDL-Lega. Che sò tipo l’onorevole Dell’Utri che indica al ministro della cultura Galan di nominare Marino Massimo De Caro a dirigere la biblioteca Girolamini e poi riceve in regalo alcuni dei volumi rari che erano lì conservati).

Se uno è una persona onesta dicevo, come si può in coscienza votare ancora la coalizione PDL-Lega? Non si tratta di turarsi il naso, si tratta di darsi le martellate sulle … gengive.

Ah, probabilmente ve ne sarete già accorti: il marketing con questo post non c’entra niente. Buon fine settimana.

Marketing territoriale 2: Italia vs. Spagna

Non prevedevo di fare due puntate di marketing territoriale, però la trasferta di una settimana in fiera a Mosca è stata ricca di spunti (sarà stato il caldo: temperature da +2 a -5).

Piccola premessa sul Prodexpo: si tratta di una fiera che riguarda tutto l’alimentare, comprese le materie prime. I padiglioini più grandi sono quelli dei superalcolici (dove, chissà perchè, si trova anche stand di sigarette), del pesce e delle carni fresche.

Gli espositori esteri sono concentrati in un unico padiglione, con quelli delle carni fresche raggruppati in una sala e quelli di tutti gli altri prodotti nella sala contigua.

Quest’anno, vado a memoria, c’erano gli stand nazionali di Cile, Grecia, Spagna, Portogallo, Macedonia e Finlandia. All’interno di questi stand nazionali c’erano espositori di prodotti diversi (come è normale), ma con forte prevalenza di vino, più l’olio per Grecia, Spagna e Cile ed olive per Grecia e Spagna.

C’era poi una piccola zona con espositori francesi (vino, croissants, macarons, ecc…), una zona con gli espositori italiani (dove c’ero io) ed una con espositori cinesi.

Come da foto l’impatto di immagine più forte era, secondo me, quello dello stand spagnolo.



Il logo “Food and Wines from Spain” che campeggiava su tutto lo stand, suddiviso poi nelle singole postazioni delle aziende espositrici, e copriva l’area più vasta della sala, anche perchè si univa in un tutt’uno con la zona “Espana” delle carni fresche confinanti.

La zona italiana viceversa mancava talmente di un’identità nazionale, tanto che al mio stand sono passati due visitatori convinti di essere nella zona del Portogallo (che non era neanche confinante). Anche qui le foto danno un saggio dell’eterogeneità dell’immagine Paese che veniva comunicata dagli stand.



La prima impressione è che non c’era confronto tra la forza e chiarezza dell’immagine della Spagna e la confusione italiana. Però, come insegna il metodo sperimentale galileiano del “provare e riprovare”, l’osservazione della realtà dava dei risultati diversi. Il padiglione spagnolo era sempre semi-deserto, rispetto al discreto traffico di quello italiano.

Merito dei prodotti diversi (in più da noi c’erano caffè, pizza, pasta e salumi)? Della presenza delle nostre aziende sul mercato da più tempo? Dell’immagine positiva che l’Italia ha in Russia? Non lo so ma ho il sospetto che anche la “confusione” ed il “colore” dato dall’eterogeneità possa dare il suo contributo. In altre parole la zona italiana attirava di più anche perchè era più divertente del monolite spagnolo.

Si riuscisse a trovare una sintesi capace di aggiungere una unitarietà alla nostra diversità ….. Qualcosa che rappresenti l’Italia plurale per parafrasare un concetto di … Zapatero.

Due note a margine. Nella zona italiana lo stand più grande era quello del Ministero dello Sviluppo Economico-Direzione Generale Lotta alla Contraffazione-Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. A parte la traduzione del “Vero gusto italiano” come “Actual taste of Italy” (magari ci stava meglio Real), a parte con non so bene come erano state selezionate le aziende di Federalimentare che avevano il privilegio di trovarsi in quello stand dove venivano fatte dimostrazioni di cucina ed è passato ospite Albano, a parte che non capisco cosa c’entri questo tipo di attività con i compiti della suddetta direzione, ma era troppo chiedere che qualcuno tra il nutrito personale perdesse due minuti a visitare gli stand delle altre aziende italiane presenti in Fiera a spiegare cosa ci facevano lì e quali servizi potevano offrire alle imprese italiane operanti sul mercato russo.

C’era anche un piccolo stand dell’ICE che non voglio nemmeno commentare. Per motivi che preferisco mi rimangano oscuri è resuscitato dopo essere stato soppresso. Spero solo che il nuovo governo lo abolisca.

Marketing territoriale ovvero “South Tyrol: Italy with a twist”.

La scorsa settimana sono andato a Londra per lavoro e sulla rivista di bordo della Easy Jet ho trovato questa pubblicità che mi ha parecchio stupito
(qualcuno mi può spiegare perchè il MacBook Air fa le foto a “specchio”?).
Mi ha stupito perchè, favorevole alle etnie e contrario a confini e steccati (fisici e mentali), sono sempre stato sostanzialmente d’accordo sul fatto che l’Alto Adige non esiste, esiste il Sud Tyrol e che il monumento alla Vittoria di Bolzano è un insulto alla razza umana, come attribuita ad Albert Einstein.

E invece avevo torto perchè, neanche dopo un secolo dall’annessione del Sud Tyrol, l’ufficio turistico della Provincia Autonoma, guidata dalla Südtiroler Volkspartei, sceglie un posizionamento del territorio che punta sull’italianità. Un importante segnale di integrazione o semplicemente un’opportuna(istica) strategia di marketing? Aspetto la campagna con uno slogan basato sull’italianità anche per il mercato italiano.

Tornando da Londra ho assistito ad un’altra cosa che mi ha colpito (lo so sto diventando come la Licia Colò: uguale, solo moro). Sul volo Swiss (“air l’hanno perso quando sono falliti nel 2002) una passeggera di bassa statura chiede allo steward se non gli dispiace aiutarla a mettere la valigia nella cappelliera (terminologia Alitalia) e questo tranquillamente gli risponde che sì, gli dispiace perchè se lo facesse a fine giornata avrebbe alzato una tonnellata, rischiando di spaccarsi la schiena.

Il ragionamento mi sembra molto svizzero, anche se non so perchè visto che svizzeri ne avrò conosciuti 3 o 4 in tutta la vita, e non fa una grinza.

Però mi chiedo: cosa si suppone che debba fare uno steward in termini di servizio ai clienti/viaggiatori? Vedo un’opportunità di mercato per una linea con dei begli equipaggi muscolosi che si prendono cura dei bagagli dei clienti.

Lo so che oggi il post un po’ sciocco, ma volevo resistere alla tentazione di fare (l’ennesimo) post sulla comunicazione elettorale di questa competizione elettorale (mi piacerebbe che i signori di squadrati se ne uscissero con un quadrato semiotico, perchè il Bersani che è passato dal “Vinceremo ovunque” al “se tocca noi” nel giro di 10 giorni ha già messo in conto la sconfitta, semanticamente parlando)