Ho in canna un paio di post su altri argomenti ma i commenti di Lizzy alle mie impressioni di Vinitaly mi hanno suscitato una serie di riflessioni che sarebbero state strette in un semplice commento al commento.
Continuo ad essere preoccupato del rischio che questo blog prenda un’eccessiva deriva enologica, ma spero che le considerazioni di metodo di marketing, oltre che di merito sulla fiera, siano sufficenti a fugare il pericolo.
Per mettere in pari anche chi non si occupa di vino una breve premessa.ta
Il Vintaly è la principale fiera del vino in Italia ed una delle più importanti a livello europeo e mondiale. Oramai da anni soffre di enormi problemi di viabilità e parcheggio (diciamo un paio d’ore per arrivare in fiera e quasi altrettante per andare via), di affollamento (code chilometriche ai bagni, per citare un problema che tocca tutti), di tipologia di pubblico (i grandi operatori del vino a fianco dei piccoli a fianco del semplice appassionato, tutti cercando di non inciampare sui giovani alticci che non riebtrano in nessuna delel precedenti categorie). Da circa 3 anni si è aggiunto anche il problema del collasso delle reti telefoniche per cui dalle 10:00 alle 17:00 telefonare con un cellulare o connettersi al web con un collegamento wireless è sostanzialmente impossibile.
Per l’edizione 2012, con l’obiettivo di professionalizzare maggiormente la manifestazione (nel senso di renderla più business e meno consumer) l’ente fiera ha preso la decisione di modificare le date e quindi vinitaly 2012 si è svolto dalla domenica al mercoledì invece che dal giovedì al lunedì, come gli anni scorsi. Decisione che definirei coraggiosa, se non altro sapendo quello che significa in termini di indotto per la città un giorno in meno, e su cui, forse giustamente, non tutti erano d’accordo (adesso tutti sono saltati sul carro dei vincitori, ma non tutti sono sinceri).
Il risultato è andato oltre ogni aspettativa, nel senso che il numero di visitatori è rimasto sostanzialmente quello delle edizioni precedenti, con una certa riduzione degli ubriaconi (riduzione non eliminazione si badi bene), malgrado la riduzione di un giorno per di più semi-festivo come il sabato. La conseguenza è che tutti i problemi legati al sovraffollamento sono rimasti, come hanno sottolineato un po’ tutti i commenti che potete trovare sul web e sulla stampa off line (colgo l’occasione per riconoscere in ritardo il dovuto omaggio a Filippo Ronco per i suoi commenti in versi).
Orbene se uno dei grandi vantaggi del web è quello di poter essere un mezzo di condivisione, discussione e confronto, rimane comunque necessario definire correttamente i termini del problema. Viceversa le eventuali soluzioni che si applicheranno non riusciranno a risolverlo. Detto in altri termini, con le parole del mio docente di marketing all’Università di Guelph “Un problema mal risolto è un problema mal definito”.
Per definire i problemi correttamente uno dei modi migliori rimane quello di mettere in fila i numeri, nel nostro caso qeullo delle principali fiere europee dedicate al vino:
- Prowein 2012: 3.635 espositori, 39.034 visitatori. Si svolge a Dusseldorf che con 586.000 abitanti è la settimana città della Germania.
- Vinexpo 2011 (fiera biennale): 2.400 espositori, 48.122 visitatori. Si svolge a Bordeaux, 240.522 abitanti nel comune, ma 1.204.846 abitanti nell’area metropolitana che ne fanno la quarta citta di Francia.
- Vinitaly 2012: 4.321 espositori, 140.000 visitatori. Si svolge a Verona, 264.354 abitanti, dodicesima città italiana.
Mi sembra evidente che i problemi che presenta il Vinitaly non sono problemi di organizzazione della fiera quanto piuttosto problemi di struttura della città (ed in questo includo anche l’adeguatezza o meno del quartiere fieristico).
La domanda corretta da porsi è: Verona è ancora in grado di ospitare una manifestazione della portata del Vinitaly?
Visto il successo di quest’anno, la risposta affermativa potrebbe essere automatica e d’altra parte i tentativi da parte di altri enti fieristici di creare fiere alternative fino ad oggi sono falliti.
Allora cambio la domanda: Verona vuole mettersi in grado di ospitare una manifestazione del livello (a cui è riuscita a portare) il Vinitaly? Secondo me qualsiasi altro modo, limitato alla sola fiera, di focalizzare il problema porterà a soluzioni altrettanto limitate, destinate a venire travolte dal successo dell’evento.
E così arriviamo all’altra possibile soluzione: se i problemi sorgono dal sovraffollamento, perchè non puntare sulla decrescita? Credo ci fosse anche questa intenzione nella scelta di cambiare le date e sono convinto che nemmeno il più ottimista degli organizzatori si aspettasse il picco di pubblico che si è avuto lunedì.
Però il Vinitaly, come tutti i marchi, ha una sua propria personalità che è solo parzialmente controllabile da chi lo gestisce. Lizzy commentando il mio post dice “Concordo. Vinitaly è la festa del vino italiano, e come tale andrebbe vissuta e frequentata. Ad una festa trovi gli amici che vogliono solo divertirsi (e bere) ,e quelli a cui non dispiacerebbe ottimizzare la propria presenza e combinare qualcosa di buono.
Ora che finalmente abbiamo chiarito la mission di questo circo, vediamo di spiegarla anche a chi affronta trasvolate oceaniche nella convinzione di andare a un evento professionale, diciamo la versione italiana di Vinexpo, o della London Fair.”
Ma io dicendo che si tratta di una “Kermesse debordante” intendevo una cosa un po’ diversa rispetto al concetto di mission (ci arrivo in un attimo), intendevo che la personalità del Vinitaly, il suo modo di essere, è talmente forte da rimanere sostanzialmente immutato anche di fronte ad un radicale cambiamento organizzativo, come la cancellazione del venrdì e del sabato. Volendo si può provare a snaturare il Vinitaly per renderlo una fiera professionale come le altre, basta essere coscienti che ci vorrà (molto) tempo e che non ci sono garanzie di successo. Più o meno lo stesso tempo e le stesse garanzie di successo che ci sono per l’adeguamento della città.
Concludo con una considerazione sul concetto di mission.
La mission serve per orientare/guidare le aspettative delle persone nei confronti dell’azienda/organizzazione. Grazie alla mission le persone esterne sanno cosa devono/possono attendersi dall’azienda/organizzazione e le persone interne all’azienda/organizzaizone sanno in quali direzioni è giusto muoversi ed in quali no. Per questo la mission deve essere una sintetica formalizzazione reale ed ispirata della personalità dell’azienda/organizzazione.
E’ necessario che sia reale perchè altrimenti le persone non ci si riconosceranno e quindi la mission non riceverà la credibilità necessaria per svolgere la funzione dinamica di guida contenuta nella componente ispirata.
Per tornare al caso del Vinitaly e del commento di Lizzy, non basterà cambiare l’enunciato della mission per cambiare la realtà della fiera.
L’ultimo affascinante tema che mi ha fatto venire in mente il commento di Lizzy è quello del target: chi è il target principale del Vinitaly? E quanti sono quelli secondari? Gli espositori che pagano gli spazi o i visitatori che pagano il biglietto? Quali segmenti di visitatori (vista al loro eterogeneità) e quali segmenti di visitatori (altrettanto eteregenei)? Oppure i media che trattano/rendono il Vinitaly un evento mediatico di portata nazionale.
Ormai però questo post è già troppo lungo e la, pur piovosa, domenica mi reclama ad altre faccende.
Grazie Lizzy.