Adesso che il tourbillon del Vinitaly è alle spalle e mi sono reso conto dell’ambaradam che ho messo in piedi con il quadrato semiotico dei wine lovers, posso fermarmi un attimo e capire cosa ho imparato da questa esperienza?
Resistenza all’innovazione
Il quadrato semiotico dei wine lovers ha suscitato molto interesse nel settore ed è stato ripreso da parecchie testate, non solo riguardanti il vino (al convegno hanno assistito 70 giornalisti). Eppure ci sono stati diversi opinion leaders che lo hanno ritenuto una cosa di scarso interesse (in ambito vinicolo). Purtroppo per loro (e per noi) le centinaia di persone che hanno fotografato il quadrato allo standa di Bosco Viticultori, dimostrano che si sbagliavano.
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Malgrado Steve Jobs, le ricerche quantitative mantengono il loro fascino
Steve Jobs diceva di non appiattirsi sui risultati dei focus group (tecnica qualitativa) perchè le persone non sono in grado di descrivere/richiedere quello che non possono neanche immaginare (esempio i-pad). Più prosaicamente e restando nell’alimentare, le leggende del marketing narrano che tutte le ricerche quantitative dimostravano come non ci fosse mercato per il “Kinder Sorpresa” ne per il “Gatorade”. Feargal Quinn, fondatore dei supermercati irlandesi Superquinn, partecipava personalmente ai focus group organizzati con i suoi clienti prechè diceva che nessun questionario poteva raccogliere l’indicazione di quell’unica persona che aveva ragione (meno quantitativo di così, impossibile). E come faceva a sapere che quell’indicazione era quella giusta? Secondo me perchè conosceva la propria identità, quindi la propria missione, quindi i propri punti di forza e la propria strategia.
Eppure nel diffondere il quadrato semiotico dei wine lovers da più parti è arrivata la richiesta di dare un peso ai quadranti, cosa che secondo me è inutile ed impossibile.
Inutile perchè il quadrato semiotico fornisce una mappa per sviluppare percorsi strategici di medio-lungo periodo, tempo durante il quale gli eventuali pesi possono cambiare. Inutile soprattutto perchè il successo di questi percorsi strategici si basa principalmente nella coerenza tra l’identità della proposta di marca/prodotto e le decodifiche che ne le persone (i consumatori). Detta più semplice, anche ipotizzando che gli enosnob siano la maggioranza avrebbe poco senso rivolgersi a loro se la mia identità è incoerente con i loro codici. Inutile infine perchè la produzione vinicola è talmente frammentata che comunque un’azienda dovrebbe crescere almeno 10 volte prima di trovarsi (forse) con il problema di aver esaurito l’audience.
Impossibile perchè la ricchezza informativa dell’analisi semiotica in cui i comportamenti sono un continuum lungo gli assi e le diagonali, necessaria per guidare le strategie di medio lungo, viene giocoforza ridotta dall’aggregazione che richiede una ricerca quantitativa.
Secondo me, se proprio si vuole avere un riscontro quantitativo, sulla base degli insight qualitativi si definisce una proposta di vendita che viene testata in termini quantitativi. Comunque è un processo che rischia di essere datato, visto che Samsung adotta già un approccio di trial-and-error per cui non fa ricerche, ma lancia sul mercato i prodotti e poi decide se e come continuare in base ai risultati di vendita.
Il target tutti
Oscar Farinetti, stupor mundi, ha colpito l’attenzione, e suscitato qualche perplessità da parte di chi lo ritiene un vecchio volpone, dichiarando che il suo obiettivo è il “target tutti”.
Io sottoscrivo la sua visione per due motivi:
1) ha colto chiaramente che il quadrato semiotico dei wine lovers non individua vini ma atteggiamenti e codici che le diverse persone associano al consumo di vino. Per questo è possibile perseguire il suo obiettivo di vendere vini di vendere “vini naturali e liberi”, codice che appartiene al quadrante “Radical” ai consumatori “Pane al pane”. Basta rivolgeri a quelle persone con i codici di comunicazione corretti e, dettaglio non da poco, avere un’immagine di marca abbastanza ampia ed articolata da rendere credibile la proposta in modo trasversale.
Un aspetto del quadrato semiotico dei wine lovers che forse non è stato sufficentemente evidenziato nelle varie discussioni è che TUTTI i consumatori che sono rappresentati sono wine lovers e sono tutti interessati alla qualità del vino, però la valutano secondo aspetti diversi.
2) Mi ha ricordato il concetto di marketing democratico, concetto definito ed approfondito (anche se magari non così diffuso e consolidato) di cui ho trattato qui in un vecchio post.
Obiettivi poetici, strumenti matematici
Sempre Farinetti ha espresso questa bellissima sintesi. Io che sono prolisso continuo a parlare di mission/positioning statement come l’ho definito in questo post dello scorso novembre, da cui discende la gerarchizzazione degli obiettivi che diventa sempre meno poetici e sempre più matematici man mano che si scende verso l’operatività. Fino ad arrivare alla granularità degli obiettivi di vendita per singola referenza per singolo punto vendita.
Di nuovo complimenti a tutti quelli che mi hanno aiutato in questo lavoro e di nuovo grazie ad Oscar Farinetti (che è poetico e visionario, però parte sempre dai numeri: guardatevi il video del suo intervento al convegno, che merita).
Una giornata intera dedicata al Vinitaly, a conoscere persone che ogni giorno dedicano la loro vita a questo incredibile prodotto che, come dice Farinetti “unisce la terra al cielo”.
Durante tutto il mio percorso, tra un appuntamento e l’altro, ho cercato di contemplare tutto il movimento che vedevo intorno a me dal punto di vista del branding.
Ho notato come molto spesso le aziende, che si esprimono attraverso la loro marca e tutti i materiali di comunicazione, sono spesso concentrate a parlare di storie che non gli appartengono.
Ne parlavo con un amico. La loro tenuta ha oltre mille anni di storia. Bene, benissimo ma ora, oggi, adesso chi è che compie le scelte di come il vino sarà prodotto? Chi sceglie quando potare le vigne? quando fare la vendemmia, i processi produttivi, il tempo di invecchiamento, gli agenti chimici da utilizzare, quali e quanti? Chi ha selezionato e assunto tutte le persone che lavorano nella tenuta e dedicano il loro tempo, la loro vita alla vigna? Oggi, ora, adesso berremo il vostro vino. Quanto è realmente importante ma soprattutto DIFFERENZIANTE (!!!) che la terra da te posseduta produca vini da 900 anni? Non sto dicendo che non ha importanza ma, soprattutto in Italia dove la storia viti-vinicola è molto comune, non è certo un elemento in grado di differenziarti significativamente dal resto dei concorrenti.
Siamo nel 2014, la tecnologia ormai ha polverizzato le distanze. In un attimo posso acquistare un vino anche cileno o australiano in pochi minuti e averlo sulla mia tavola entro pochi giorni. La storia è sicuramente importante ma sta diventando sempre più un “di cui” che caratterizza quasi tutti (sebbene sempre in modo piuttosto diverso) i prodotti vinicoli del nostro incredibile Paese.
Quindi non si tratta certo di negare la storia della vigna o della tenuta ma di esprimere SE STESSI, la propria personalità e la propria VISIONE anche attraverso l’identità della marca e di ciascun prodotto. Nell’immagine di prodotto poi ho sempre la possibilità di esprimere anche la personalità del vino. Già, perché proprio per la sua natura così legata alle persone che si prendono cura della sua nascita e crescita, OGNI vino ha una sua propria personalità che è possibile esprimere attraverso un buon lavoro di ascolto, di Visione e conseguentemente di design creativo.
Ringrazio Lorenzo Biscontin per l’interessante chiacchierata di venerdì scorso che sicuramente dato uno scossone a questa riflessione che maturavo da alcuni giorni. Lo ringrazio anche per l’interessante video che mostra lo speech di Oscar Farinetti al convegno “il quadrato semitico dei wine lover” organizzato da Bosco Viticultori a Vinitaly 2014.