Non sono d’accordo con i due commenti che Daniele Zanette e Diego Illeterati hanno fatto al mio ultimo post (questo ovviamente NON significa che io abbia ragione).
Troppo comodo pensare che le attività della Coca Cola hanno successo sempre e comunque grazie all’ampiezza dei budget. Almeno per 4 motivi:
1. I budget di cui dispone la Coca Cola sono commisurati all’ampiezza dell’audience, alla portata degli obiettivi da raggiungere ed alla forza dei concorrenti.
2. Le strategie mal pensate e peggio realizzate portano ai flop clamorosi di cui è pieno il mercato; e più grandi i budget, maggiori le perdite. Lo dico perchè viceversa le grandi multinazionali non sbaglierebbero mai un lancio (restando alla Coca Cola, ricordo il disastroso lancio della New Coke nel 1985, indipendentemente dal fatto che siano poi riusciti a trasformarlo in un successo), lo dico perchè l’ho visto succedere, anche sotto il mio naso. E questo è tanto più vero oggi perchè la frammentazione dei media, il moltiplicarsi dei messaggi, il conseguente abbassarsi dell’attenzione e la fruizione attiva del mezzo web hanno alzato il livello di investimento in mezzi e risorse umane per coprire in modo effettivamente massiccio l’audience.
3. Anche nel caso di una pressione comunicativa che permette di far passare comunque il messaggio (esempi emblematici Ferrero e Mulino Bianco in TV), una strategia concettualmente forte e chiara, ben realizzata renderà l’investimento nei mezzi più efficace di una strategia debole, mal realizzata. Lo so che sembra (è) una tautologia, però proprio il fatto che un grande budget porta spesso comunque qualche risultato, rischia di mascherare innefficacia ed inefficienza nello definizione della strategia e nella sua realizzazione.
4. Soprattutto è troppo comodo ridurre l’efficacia delle strategie di Coca Cola al budget nel momento in cui il diffondersi della fruizione del web per le attività più diverse (informative, ludiche, sociali, ecc….) ha abbassato enormemente i costi di accesso alla propria audience.
La differenza la fanno sempre di più le idee e la capacità di realizzarle/trasferirle in modo coerente, trasparente ed efficace alla propria audience.
Oggi efficace significa anche che le strategie devono avere una componente tattica (essere un moltiplicatore dei risultati a breve) e le tattiche una componente strategica (supportare e rafforzare il posizionamento/l’identità della marca).
Però misurare le strategie di pubblicità e PR in base agli effetti sul breve è una miopia di breve periodo che porterà giocoforza a ridurre gli investimenti sulle fondamenta della marca e quindi ad indebolirla nel medio periodo. Credo che l’evoluzione del settore nel mobile del manzanese sia emblematico in questo senso. Chi ha avuto la capacità di sviluppare una visione del proprio business è sopravvissuto (e magari prospera), chi ha cercato di resistere nel breve con una concetto di produzione o, bene che andasse, con una concetto di vendita sofre (o purtroppo è sparito).
E’ per questo che è importante imparare da quelli bravi, indipendentemente dal fatto che siano grandi o meno. Spesso però i grandi hanno la necessità e la mentalità di misurare gli effetti di quello che fanno per le ragioni di cui sopra, quindi fanno più ricerche ed analisi.
Tornando alla Coca Cola, giovedì ero in giro, mi fermo in autogrill e vedo le bottiglie della Coca Cola con i nomi di persona, mentalmente mi tolgo il cappello davanti all’idea che hanno avuto che uno possa prendersi la Coca Cola con il suo nome, mi avvicino per prendere la MIA Coca Cola e quando leggo l’etichetta vedo che gli strateghi della Coca Cola sono andati oltre le mie aspettative (always try to exceed consumer expectations diceva il mio professore di Marketing Management in Canada).
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Non si tratta, egoisticamente, di comprare la MIA Coca Cola, ma di condividere una Coca Cola, un momento di felicità, con una persona ben precisa. Non vi piacerebbe che qualcuno comprasse per voi una Coca cola con il vostro nome? Oppure non vi sembra una buon sistema di rompere il ghiaccio con qualcuno appena conosciuto quello di dargli una Coca Cola con il suo nome? Oppure con un aggettivo che lo rappresenta (a me sono sembrati in sincerità un po’ artificiali, ma magari è perchè sono fuori target)?
Sottolineo l’uso della parola “condividere”, che 10 anni fa sarebbe stata obsoleta e troppo aulica, ma oggi è assolutamente familiare nel linguaggio del web. D’altra parte il claim globale è o non è “share the happiness“.
Qui non si tratta di budget, qui si tratta di sviluppare una strategia che fa evolvere la marca, declinando i valori universali su cui si basa la sua identità in modo da mantenerne la vicinanza ad un target sempre più ampio in una logica additiva e non sostitutiva. Più che spostarsi, la personalità della marca si allarga.
Strategia di comunicazione sul pack (già ai tempi della Keglevich ho sostenuto ed utilizzato il fatto che 1,5 milioni di bottiglie sugli scaffali sono un media, figuriamoci 350) che si integra egregiamente con la campagna di comunicazione sui media “classici” in cui il Presidente 17enne della Coca Cola (in un paese gerontofilo, messaggio forte) annuncia a tutti, in special modo alle mamme (ampiezza del target) la sua decisione di regalare 1 bicchiere di felicità (non sconti, tagli prezzo o 3×2).
Un percorso forte e coerente inziato nel 2009 con la campagna della semplicità in tavola, proseguito nel 2010 con quella della formula della felicità e nel 2012 con la campagna “Ceniamo insieme” con protagonista Simone Rugiati.
Quindi secondo me la strategia della Coca Cola ha successo innazitutto per la validità dei concetti, la coerenza della strategia e la bontà della realizzazione.
Dopodichè nessuno è perfetto: nello scirvere questo post sono andato sul sito www.cocacola.it e non è bello trovare la scritta “stappa la felicit” senza la “a”, nè la finestra di fb bianca.
Per concludere, e non lasciare Diego senza risposta, la ricerca di Facebook e Datalogix non dava un risultato della pubblicità su fb 3 volte superiore ai media tradizionali. Dava, nel 70% dei casi, un ritorno pari almeno a 3 volte l’investimento media.
Comunque se penso alla multicanalità nella fruizione dei media ed ai canali di acquisto (mi informo sul web anche per gli acquisti off line) non mi stupisce che la pubblicità su fb abbia dei meccanismi simili a quelli dei media tradizionali. D’altra parte anche youtube alla fine non altro che una TV. Solo che posso targettizzare l’esposizione allo spot molto peglio che con tutti i mezzi off line.
E’ tardissimo, buonanotte.
Grazie innanzitutto per averci dedicato così tanto (spazio e tempo). Condivido naturalmente il fatto che Coca Cola sia “vincente” in senso ampio non (solo) perché alle spalle ci siano i multi million dollars, ma perché a monte ci sono grandi idee,persone brillanti,ottima chiamiamola antropologia?, filosofia del linguaggio?, eccellenti (a parte qualche caso flop) strategie in grado di far evolvere il marchio ecc. Vorrei solo fare una precisazione (e mi rendo conto che, vagliata la tua risposta così densa, devo essermi espressa molto male prima). Ritento. Forse sarò più fortunata. Se guardare ai grandi come al faro che illumina la via può e deve avere tutte le ovvie ragioni; se studiare, approfondire, confrontarsi con i case history più significativi può e deve rivelarsi di fondamentale stimolo e utilità,ritengo che possa essere fuorviante (ergo inefficace) nella misura in cui la piccola media impresa (leggi nello specifico il settore delle aziende vitivinicole di media grandezza) voglia clonare determinate strategie ritenendole win win a priori solo perché la fonte di ispirazione è la grande Coca Cola, piuttosto che la Vodafone, piuttosto che Ryanair ma il budget a disposizione non lo è affatto….. grande. Non dico quindi che si possa fare buon marketing solo con grandi budget, sarebbe una fesseria, dico solo che forse vale la pena seguire maggiormente i case history di successo dati da aziende più “affordable”, vedere prima cosa fa il vicino di casa di buono, cercare il grande valore aggiunto di chi fa ottimo marketing senza i grandi budget dei colossi. Faccio un esempio. Se le catene di Sant’Antonio alla “porta un amico in vodafone” funzionano (ma poi bisogna vedere quanto) per il settore della telefonia, inutile, dico io, clonare la cosa, per giunta con un centimillesimo di budget, solo perché lo fa Vodafone. Essere followers si, but with brain and possibly with some money.
Perche’ puntare ad essere un follower di tattiche quando si puo’ un leader di idee?
Volevo dire: perche’ puntare ad essere un follower di tattiche quando si puo’ ESSERE un leader di idee?
Ottimo suggerimento e splendida immagine, quasi platonica, quella della leadership delle idee. Essere buoni followers non significa a mio avviso essere necessariamente dei mediocri. Anzi, credo richieda capacità di elaborazione strategica, per quanto non eccellenza di originalità, innovazione, punto di rottura ecc.Penso ad esempio a quando al liceo c’era un mio brillante compagno (che infatti ha avuto una brillante carriera) che sapeva copiare benissimo e un altrettanto brillante professore (di quelli rari) che, avendo perfettamente compreso l’audacia, direi anche la spocchia e la sfacciataggine dell’alunno copione, ma sicuramente anche la bravura nell’inganno, alla fine invece di punirlo per aver copiato, lo elogiava e anzi, sottolineava le parti “meglio” copiate da quelle “peggio copiate”. Se pensiamo poi alla storia dell’arte e ai celebri falsari potremmo spendere fiumi di inchiostro. Quindi, se non riesco ad essere un leader di idee, voglio essere un ottimo copione/ falsario
Certo, nessuno è perfetto, tant’è vero che pochi giorni fa c’è stata la diatriba tra Nutella/Ferrero e il sito creato dalla fan per il World Nutella Day, sul quale l’azienda è dovuta tornare in fretta sui propri passi. Segno che a volte anche un’idea vincente bella pronta sfornata dai propri clienti non viene riconosciuta…