Le frontiere della fidelizzazione.

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E’ da un po’ che ho rallentato molto (eufemismo) le pubblicazioni su biscomarketing.

Non è stata tanto una scelta cosciente, né mancanza di tempo. Soprattutto mi mancavano cose di interessanti da dire.

Magari perché ho già scritto tanto e tanto ho visto. Magari perché comincio a sentire gli anni e tutto il marketing digitale arrivo appena a capirlo, figuriamoci commentarlo.

Comunque sia negli ultimi 4 mesi ho ri-accumulato un po’ di idee e quindi torno a scrivere, con l’intenzione di mantenere la mia solita regolarità settimanale. Vediamo se ci riuscirò.

Anche per questo mi propongo di scrivere post più agili, più simili a quelli degli inizi, più con l’obiettivo di dare stimoli che risposte. E questo promessa sarà forse più difficile da mantenere.

Comunque …

Lo spunto del post di oggi è un’analisi delle tendenze dei programmi di fidelizzazione pubblicato da JWT Intelligence (iscrivetevi alla newsletter, che è gratis).

I programmi di fidelizzazione che tipicamente permettevano ai consumatori di accumulare punti da spendere in seguito a fronte degli acquisti, stanno perdendo di efficacia nello sviluppare e mantenere i fatturati e/o stanno diventando finanziariamente troppo costosi.

Il problema principale è il loro basso valore aggiunto.

Qualsiasi promozione di qualsiasi tipo dovrebbe sempre puntare a massimizzare il valore aggiunto per il cliente rispetto al costo sostenuto dall’azienda.

E’ evidente che quando io do 1 punto per ogni euro di spesa e poi i miei clienti possono usare i punti per acquistare i miei prodotti il valore aggiunto è minimo, se non inesistente. Il cliente riceve esattamente quanto dà e, soprattutto, il valore del premio è esattamente il prezzo a cui il prodotto viene normalmente venduto.

Man mano che tutte le linee aree, tutte le catene di supermercati, ecc… adottano dei programmi di fidelizzazione, il vantaggio competitivo originario dei pionieri (ad esempio American Airlines, Esselunga) si annulla.

Aggiungeteci poi la compressione dei margini portata dalla cultura low cost e moltiplicata dalla rivoluzione digitale e capite bene come i costi dei programmi di fidelizzazione classici rischino di diventare uno svantaggio competitivo.

Se un volo low cost mi costa meno delle tasse aeroportuali del mio biglietto premio “acquistato” con le miglia, non è che valga molto la pena.

I rimedi che le aziende stanno adottando individuati da JWT sono in parte concettualmente vecchi (ma non per questi meno validi), in parte innovativi solo tecnologicamente ed uno veramente rivoluzionario.

Smartphone al posto delle carte fedeltà.

E’ un tecnicismo direi obbligato. Concettualmente non cambia niente, ma operativamente cambia quasi tutto.

Immediatezza, rapidità, divertimento, praticità. Il limite di come interagire con il cliente sta solo nella fantasia di chi disegna la app.

 

Esperienze al posto dei punti.

Anche qui il concetto non è nuovo e punta a massimizzare il valore aggiunto per il cliente rispetto al costo per l’azienda di cui si parlava prima.

Il cliente farà fatica a dare un prezzo ad un’esperienza, soprattutto se si tratta di qualcosa che esula dalla norma, che quindi diventerà immediatamente priceless.

Inoltre è relativamente facile per le aziende offrire esperienze che i propri clienti da soli difficilmente potrebbero fare, non tanto e non solo per il costo, ma per questioni organizzative: incontri con celebrità, viaggi particolari, personalizzazioni di prodotto, ecc…

Se l’esperienza posso farla solo grazie all’azienda, ecco che diventa automaticamente inestimabile, come la sua forza fidelizzante.

 

Fateli divertire, ossia gamification.

Non starò qui a parlare dei vantaggi di fare le cose giocando in termini di coinvolgimento delle persone e quindi di livello di partecipazione e di ricordo del messaggio.

IKEA a Londra per incrementare l’utilizzo della Family Card (stranamente oltre il 60% dei possessori non sempre la usava al momento di pagare) ha offerto un premio immediato per ogni utilizzo della carta. I premi andavano da un hot dog ad un viaggio in Svezia per 4 persone.

Anche qui concettualmente niente di nuovo: quando io ero un’adolescente c’erano i “Boeri – Sempre si vince” (se ve li siete ricordati avete sorriso, altrimenti siete troppo giovani)

Più in linea con lo spirito del tempo il programma di fidelizzazione che dell’azienda di cosmetici Tarte, che fa guadagnare punti ai propri clienti che danno visibilità alla marca ed ai sui prodotti su web e sociale media. Man mano che avanzano nel livello di fidelizzazione i clienti possono accedere a diversi tipi di esperienze (perché ovviamente i diversi approcci si possono anche combinare).

 

Prevedere e personalizzare.

Big Data, Intelligenza Artificiale, Blockchain e chi più ne ha più ne metta.

Tecnicamente oggi è possibile ritagliare il programma di fidelizzazione su misura per ognuno dei propri clienti o quasi.

Attenzione però che le macchine non fanno tutto da sole, gli algoritmi di analisi dei dati vanno pensati e disegnati ed abbondano gli esempi di aziende che fanno un uso scadente dei dati dei loro clienti. Basta pensare alla quantità di offerte irrilevanti e/o generiche che tutti continuiamo a ricevere.

 

Flessibilità invece di schemi.

Qui la soluzione tecnologica ed rappresentata dal blockchain per integrare e collegare i programmi fedeltà di aziende diverse e quindi permettere maggiore libertà di utilizzo alle persone nell’accumulare e spendere i punti.

Vecchio sogno delle agenzie di promozione, la rivoluzione digitale riuscirà a trasformarlo in realtà?

 

Pagare per il privilegio di essere clienti fedeli.

Qui sta la vera innovazione. Il servizio Prime fornisce ai clienti Amazon una serie di vantaggi che normalmente altre aziende/settori offrono ai clienti fedeli.

In questo caso il concetto è ribaltato e siccome paghi, per ammortizzare il costo dell’abbonamento è probabile che sarai un cliente sempre più fedele. Tra l’altro se ti abboni significa che già apprezzi l’azienda e quindi sei già propenso ad essere un cliente fedele.

Il “programma fedeltà” invece di un costo diventa una (rilevante) fonte di ricavo, per di più anticipato nel senso che si realizza anche se poi il cliente non usa il servizio.

Per Amazon gli ultimi dati disponibili parlano di 100.000.000 di clienti abbonati Prime, che valgono quindi un fatturato di 9.900.000.000 $/€/£ ecc… all’anno.

Se Amazon è l’esempio più eclatante, lo stesso concetto lo utilizzano la catena di cash & carry Costco e quella di negozi americani Bed, Bath and Beyond.

Quest’ultima sta facendo delle prove per sostituire il proprio programmi fedeltà con un “abbonamento” annuale del costo di 29 $ che dà diritto al 20% di sconto ed invio gratuito dei prodotti acquistati.

Bastava pensarci? Non proprio: perché la gente sia disposta a pagare per avere il privilegio di essere un cliente fedele di un’azienda bisogna che questa azienda sia in grado di fornirgli un elevato valore aggiunto in termini di convenienza e/o unicità della proposta.

Cosa non così facile nell’era della turbocompetizione.

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