… questo è quanto scrive Andrew Essex nel suo libro “The End of Advertising” uscito nel 2017.
Ora su questo blog ho già ragionato varie volte sulle fine della pubblicità e finanche sulla fine del marketing, che non è la stessa cosa. Alcune delle riflessioni fatte qui nel corso degli anni le ho ritrovate nei concetti espressi dal Sig. Essex nell’intervista che gli ha fatta Marketing News sull’argomento (il che fa sempre piacere).
Credo però che possa essere utile ed interessante tornare sull’argomento per l’organicità con cui la tratta il Sig. Essex, che per gli spunti che fornisce.
Per cercare di rendere il post meno didattico / accademico e noioso, riporterò le parti dell’intervista che ho evidenziato “in ordine di apparizione” (in originale seguite dalla mia traduzione dall’inglese) e ci farò i miei relativi commenti.
“… the advertising we know may perish, but its heir apparent has potential to be prodigious. After all, people will always need to buy, sell and know what’s new”
“… la pubblicità che conosciamo noi magari morirà, ma i suoi eredi sembrano avere un potenziale prodigioso. Dopotutto la gente avrà sempre bisogno di comprare, vendere e sapere cosa c’è di nuovo”
Questo per ricordare una cosa ovvia, che quindi viene spesso dimenticata, quando importante: la pubblicità (ma sarebbe più corretto dire la comunicazione) è una delle fondamenta dell’economia di mercato.
Spesso la pubblicità gode di pessima fama di inutile persuasore occulto (che non è, ma questo è un altro discorso) mentre la comunicazione è uno strumento chiave della competizione che permette alle cose nuove, e spesso migliori, di soppiantare le cose vecchie.
“Customers, en masse, are choosing to essentially never see ads again by downloading ad blocking software.”
“I consumatori in massa stanno scegliendo essenzialmente di non vedere mai più pubblicità, installando software che blocca la pubblicità (su computer e, soprattutto, cellulari.”
Come ho già scritto in passato gli ad-blockers sono una manna per il marketing ben fatto perché dimostrano una cosa che era palese già prima, ma che spesso si faceva finta di non vedere: di base alle persone la pubblicità non interessa.
E questo era abbastanza ovvio. Il contributo principale degli ad-blockers al progresso del marketing è che hanno reso evidente un altro concetto già noto, ma ancora più spesso rimosso nelle strategie di comunicazione delle marche: l’attenzione selettiva per cui le persone non vedono la pubblicità anche se stanno guardando la TV, il video su Youtube, il loro facebook, ecc… Solo per completezza conviene ricordare che all’attenzione selettiva si collegano i concetti di distorsione selettiva e ricordo selettivo.
Quindi se prima potevamo avere l’illusione che le persone vedessero la nostra pubblicità solamente perché erano esposti al messaggio, adesso grazie agli ad-blockers siamo coscienti che non la vedranno. Anche per chi non installato programmi di ad-blocking continua comunque a valere il meccanismo dell’attenzione selettivo: provate a dire il nome della marca pubblicizzato nello spot posizionato prima dell’ultimo video che avete guardato su You Tube.
“Bad advertising is careening toward extinction.”
“La cattiva pubblicità sta avanzando verso l’estinzione.”
La prima considerazione che mi viene in mente è che la cattiva pubblicità è sempre esistita, però solo nell’attuale società digitale pare spinga le aziende a non fare più pubblicità invece di farne di migliore. Come cattiva pubblicità si intende quelle che non è in grado di aggiungere valore alle persone, quindi di conseguenza la “buona pubblicità” è quella che aggiunge valore alle persone sotto forma di intrattenimento e/o informazioni e/o qualsiasi “utilità” in senso esteso.
Quello che voglio ricordare è che anche nella società analogica succedeva, spesso, che ci fossero lanci di nuovi prodotti che si rivelavano dei flop malgrado fossero sostenuti da grandi budget pubblicitari (e non solo per debolezze intrinseche del prodotto pubblicizzato), ma non per questo si pensava di non farne più.
L’altra considerazione è che il modello di comunicazione digitale, focalizzato sulle conversioni e quindi tendenzialmente tattico, spinga intrinsecamente alla realizzazione di pubblicità cattiva. Ci ritorno più avanti.
“The last 50 or so years, the industry has subscribed to a model called command and control, which based on the premise that you have to pay to generate attention, that you have to buy awareness.”
“Durante gli ultimi 50 anni o giù di lì, l’industria ha sottoscritto un modello chiamato comanda e controlla, basato sulla premessa che dovevi pagare per generare attenzione, che bisognava pagare la consapevolezza (della marca da parte delle persone).”
Sottolineo una volta di più che chi aggiungeva a questo modello della buona comunicazione otteneva risultati migliori.
“Now I believe you cannot interrupt effectively and, in fact, the interruption is a very bad strategy.”
“Adesso ritengo che le marche non possano più interrompere efficacemente e, infatti, l’interruzione è una pessima strategia.”
L’impossibilità di interrompere efficacemente secondo il sig. Essex deriva innanzitutto dalla frammentazione dei mezzi di comunicazione e dall’utilizzo degli ad-blockers.
Verissimo, ma secondo me ci potrebbe essere qualcosa di più nell’atteggiamento delle persone durrante la fruizione dei mezzi di comunicazione.
Partendo dal gurdare la TV generalista ed arrivando a chattare su Whatsapp, passando per ascoltare la radio, leggere un giornale e fare una ricerca su google c’è un continuum che va dalla massima passività al massimo coinvolgimento nei confronti del mezzo.
Ora, normalmente un mezzo a fruizione passiva è ritenuto meno interessante di uno a fruizione attiva per ottenere il suo coinvolgimento con la marca. D’altra parte però il “disturbo” dell’interruzione per le persone è molto più forte quando sono impegnate in un’attività che le coinvolge (praticamente tutte quelle che si svolgono sul web) rispetto ad una in cui sono più passive.
Mi spiego con un esempio. La catena di discount tedesca ALDI sta realizzando una campagna su facebook per l’apertura dei suoi punti vendita in Italia. La campagna su basa su spot in cui italiani che vivono all’estero, in paesi dove ALDI è già presente, raccontano quanto bello sia. Oppure sulla valutazione dei prodotti ALDI da parte delle famiglie italiane che si chiamano Aldi di cognome.
E’ una campagna secondo me ben pensata e ben realizzata ed io gli spot che sono apparsi nella mia newsfeed di facebook me li sono guardati perché ALDI lo conoscevo già, oltre che per curiosità professionale.
Ma mi domando quale attenzione possono aver ricevuto dalle persone a cui il marchio “ALDI” non dice niente. Vado oltre e mi chiedo se i canali web, lo so che qualcuno dirà che non si possono mettere insieme mezzi con caratteristiche molto diverse tra loro, siano adatti a creare l’awareness di base di una marca.
“There are huge ways that brands can make the world a better place rather than adding pollution to the equation. It just requires imagination and good leadership.”
“Ci sono moltissimi modi in cui le marche possono fare del mondo un posto migliore piuttosto che aggiungere inquinamento (pubblicitario). Serve solo immaginazione e una buona leadership.”
Vorrei ricordare che l’azienda che opera secondo il concetto di marketing punta a soddisfare i propri obiettivi soddisfacendo i bisogni e desideri delle persone meglio dei concorrenti.
Quindi se è vero che fare le persone più felici NON è il fine dell’azienda, si che dovrebbe/potrebbe essere il MEZZO.
“When you commodify an audience, you forget that they live lives of great complexity in a context that’s rapidly shifting.”
“Quando mercifichi un’audience, dimentichi che loro vivono vite di grande complessità in un contesto in rapido cambiamento.”
Più passa il tempo e più mi convinco che la crisi del marketing in generale e della comunicazione in particolare non deriva dall’obsolescenza dei concetti nella nuova società digitale, ma dal consolidarsi di anni (decenni?) di cattivo utilizzo.
“You have to think what do you, as a consumer, want to see, and when do you want to see it?”
“Devi pensare a cosa tu, come consumatore, vuoi vedere e quando vuoi vederlo.”
In realtà non è difficile. E sempre la buona vecchia regola di mettersi nei panni dei propri consumatori, o meglio ancora pensare a come ci comportiamo noi, professionisti di marketing, comunicazione, pubblicità, nelle situazioni in cui siamo consumatori.
E’ per questo che mi stupisco di come la pianificazione pubblicità digitale sia ancora così tanto incentrata sui banner. Oltre 10 anni fa mi ricordo che lessi un articolo che diceva come sul web ci fossero il peggiore ed il migliore messaggio “pubblicitario” che una persona poteva ricevere: il primo era un banner ed il secondo era un consiglio su una marca da parte di un amico.
“You can no longer buy relevance …. You have to begin with product and purpose and then some perspective”
“Non puoi più comprare rilevanza… Devi partire con un prodotto ed un scopo e delle prospettive/scopi”
Aggiungo solo che la rilevanza non si è mai potuta comprare.
“My simple assumption is make something people like, rather than something people don’t like and you’ll do better.”
“La mia assunzione è semplicemente fai qualcosa che piaccia alla gente piuttosto che qualcosa che non gli piace e andrai meglio.”
So che può suonare semplicistico e, soprattutto di questi tempi, non misurabile.
Ma come scrivevo recentemente, le cose succedono indipendentemente che riusciamo a misurarle o meno. Soprattutto per quanto riguarda la percezione delle persone nei confronti delle marche. Inoltre, se come dice il Sig. Essex, il tasso di conversione dei banner pubblicitari è dello 0,001%, per avere dei risultati commerciali che abbiano un minimo di senso è necessario partire da un’audience di 1 miliardo di persone.
Inoltre la possibilità che forniscono i mezzi digitali di targhettizare la comunicazione sta creando un circolo vizioso di disturbo delle persone che parte da cercare di carpirgli i dati personali per poterli raggiungere (o raggiungerli attraverso le cerchie dei loro contatti partendo da uno di cui si hanno i dati) e poi “perseguitarli” con campagne nel peggiore stile push, subissandoli di proposte commerciali, spesso anche dopo che hanno comprato il prodotto o servizio proposto (il re-marketing è diabolico nella sua ignoranza).
“I believe infrastructure is the ultimate white space, and that’s the future of marketing if we can get the right people in leadership roles.”
“Io credo che l’infrastruttura sia lo spazio bianco finale e questo è il futuro del marketing se possiamo avere le persone giuste nei ruoli dove si prendono le decisioni.”
Io sono sempre stato un sostenitore della pubblicità con l’affissione e delle Pubbliche Relazioni. Essex spinge il concetto all’estremo e vede le infrastrutture come media. Negli USA c’è un grosso problema con l’obsolescenza delle infrastrutture, ponti, ferrovie, ecc …
Perché allora non sponsorizzare un ponte finanziando la sua riparazione/manuntenzione? Perché non sponsorizzare il wi-fi sui treni per pendolari?
Non è difficile farsi venire in mente qualcosa che sia coerente e collegato con la marca / prodotto mettendosi nel giusto atteggiamento mentale, ossia che lo scopo non deve essere quello di disturbare ed interrompere le persone in quello che stanno facendo / gli piace.