Qualche mese fa ho scritto un post sull’equity della marca (o brand equity), concetto tanto importante quanto sfuggente.
Nel ricchissimo numero di settembre della rivista Marketing News dell’American Marketing Association, c’era anche un articolo che riportava i risultati di una ricerca relativa appunto all’equity della marca, definita come “Il valore della marca che va oltre a quanto può essere spiegato con le caratteristiche funzionali dei prodotti”.
Io da anni utilizzo un modello a due dimensioni perché lo trovo estremamente efficace sia in termini analitici qualitativi, capire rapidamente e chiaramente in che situazione si trova la marca, che operativi, su quali aspetti concentrare le attività di marketing. Le due dimensioni che uso io sono conoscenza e reputazione.
Lo studio realizzato a maggio 2017 su 290 marche di 25 settori diversi in un arco temporale di 10 anni invece suddivide la percezione dell’equity della marca da parte delle persone (consumatori) in quattro dimensioni: conoscenza (awareness), rilevanza (relevance), reputazione/stima (esteem) e differenziazione (differentiation).
La cosa interessante è che i risultati della ricerca dimostrano che le diverse dimensioni hanno una diversa influenza sulla percezione dell’equity della marca a seconda del settore in cui si opera.
La percezione della differenziazione di prodotto, malgrado abbia una limitata influenza sulle vendite complessive, sembra avere un’influenza positiva sulla percezione dell’equity della marca nei comparti molto concentrati, come i pannolini, ed in quelli dei “prodotti esperienza”, dove la scelta delle persone è determinata più dagli attributi sensoriali e dall’immagine complessiva dei prodotti piuttosto che dalle loro caratteristiche funzionali. In questo casi gli esempi di riferimento sono le bibite gassate ed il caffè in contrasto con le lamette da barba ed i detersivi per il bucato.
Conoscenza, rilevanza e stima sono invece le dimensioni con maggior impatto sulle vendite dei prodotti che appartengono a categorie dove i prodotti hanno maggiore visibilità e componente sociale, come le sigarette e le birre in confronto con i condimenti o le zuppe pronte.
La ricerca ha anche analizzato l’elasticità del marketing mix alle diverse dimensioni dell’equity della marca.
Magari non sarà una sorpresa, però è utile avere conferma che le vendite delle marche con elevata conoscenza, rilevanza e stima ostrano un’elasticità più elevata agli investimenti aggiuntivi in comunicazione, visibilità sul punto vendita e promozioni di prezzo.
Queste dimensioni indicano che la marca ha un ampio pubblico potenziale, che si può attivare (ossia acquisterà) con azioni che aumentano la visibilità della marca. Viceversa per queste marche le azioni rivolte ad ottenere una migliore copertura distributiva produrranno minori incrementi di vendite.
Le marche con elevata percezione in termini di differenziazione invece mostrano la più elevata elasticità delle vendite ad investimenti di comunicazione, mentre ottengono minori risultati con le promozioni di prezzo, proprio perché l’interesse delle persone (consumatori) nei loro confronti è basato più sulle loro caratteristiche peculiari che sulla convenienza di prezzo.
Le implicazioni operative dello studio sono piuttosto chiare:
- Nei settori frammentati (pasti pronti surgelati) e/o con elevato impatto sociale (birre) le azioni di marketing dovrebbero concentrarsi su conoscenza, rilevanza e reputazione utilizzando un mix di comunicazione, visibilità sul punto vendita e promozioni di prezzo.
- Nei settori con elevata importanza degli attributi esperienziali (caffè), basso valore sociale (ketchup) ed elevata concentrazione (lamette da barba) sarà meglio concentrarsi nelle strategie di differenziazione attraverso lo sviluppo di prodotto e la comunicazione delle caratteristiche differenzianti, nonché sulle strategie distributive in modo da raggiungere capillarmente i propri consumatori attuali e potenziali.
Se la cosa vi sembra troppo teorica o troppo banale (il marketing spesso è la scienza dell’ovvio … a posteriori) potete sempre fare dei test e dei confronti sperimentando strategie diverse sui diversi mercati e vedere cosa succede.
Nota: per chi fosse interessato lo studio è stato realizzato da Hannes Datta, Kusum Ailawadi e Harald van Heerde della Tilburg University e Dartmouth College ed è stato pubblicato sul Journal of Marketing in articolo dal titolo “How Well Does Consumer-Based Brand Equity Align with Sales-Based Brand Equity and Marketing- Mix Response?”