Dalla raccolta alla cura dei contenuti, ovvero come le marche dovrebbero parlare meno e pensare di più.

Knowledge speaks wisdom listens

Per stimolarmi ed indirizzarmi nella realizzazione di questo blog un amico mi regalò il libro “blog” di D. Kline e D. Burstein (prefazione di Beppe Grillo!). Adesso sembra parecchio strano leggere un libro per imparare a scrivere un blog, ma era il 2006.

Che le abbia lette lì oppure da qualche altra parte, sinceramente non ricordo, ci sono due regole auree che ho cercato di seguire in questi oltre 10 anni di blogging:

1)      scrivi solo quando senti di aver qualcosa da dire.

2)      Scrivi regolarmente (e possibilmente con una cadenza precisa).

L’implicazione di queste due regole è di sentire regolarmente di aver qualcosa da dire. Non succede sempre e questa è la ragione principale per cui ogni tanto salto la mia scadenza di pubblicazione domenicale (che poi in teoria non è considerato un giorno particolarmente buono per pubblicare posts).

Sono regole che credo valgano per tutti, persone fisiche, fittizie e marche, e idealmente per tutte qualsiasi testata (poi è ovvio che se avete un quotidiano da far uscire tutti i giorni entrano in gioco anche altri fattori, ma non sono qui oggi per parlare di editoria).

Ecco perché sono convinto che le marche sui social tendenzialmente parlino troppo.

La necessità della frequenza nella comunicazione sui facebook, twitter, instagram, ecc… che sottolineerà, giustamente, ogni esperto/consulente/agenzia porta spesso a pubblicare “qualcosa”, malgrado non ci sia davvero niente da dire.

Un’altra regola rispetto al web/social che ho sempre cercato di seguire in azienda è quella di considerarli principalmente un canale di ascolto e solo secondariamente un mezzo per far parlare la marca/azienda.

Probabilmente per questo sono sempre stato convinto dell’opportunità che la content curation rappresenta per la comunicazione social delle aziende/marche: selezionando i contenuti che ho “ascoltato”, cosa che farei comunque per mantenermi informato su quello che succede, riesco sempre ad avere regolarmente qualcosa di rilevante da dire.

Dove “rilevante” nasce dal punto di vista definito dal mio posizionamento/identità/personalità dell’azienda/marca prima ancora che dagli interessi dei segmenti-obiettivo. Ergo, se non avete definito il vostro posizionamento/identità/personalità, o l’avete definito male, avete un problema.

Sarà per tutto quanto ho esposto sopra che ho trovato particolarmente interessante l’articolo di David Krejicek “From Data Collection to Curation” pubblicato sul numero di aprile/maggio della rivista “Marketing News” dell’American Marketing Association”?

Oppure è perché oggi ero a corto di idee e quindi mi dedico al data curation?

Comunque sia, ecco cosa ha scritto Krajicek, sintetizzato e mescolato alle mie considerazioni.

 

Definisci l’obiettivo dall’inizio.

Sembra ovvio, però è dal 1989 che lo sento ripetere nei vari corsi/articoli/seminari di marketing (strategico) e nella pratica aziendale vedo realizzare progetti e attività partendo da obiettivi vaghi, quando non assenti.

Come sempre parlando di obiettivi, quanto più specifici e dettagliati, tanto meglio.

In questo modo sarà più facile separare le informazioni veramente utili da quelle semplicemente disponibili. L’opportunismo va bene, a non deve essere il principio guida altrimenti le informazioni estranee agli obiettivi, ma disponibili, creeranno un rumore di fondo che rende meno fruibile ed interessante il contenuto.

 

Adottate un punto di vista ampio partendo dal vostro posizionamento (in moda da mantenere la coerenza).

Non selezionate i contenuti basandovi sul settore in cui operate, ma piuttosto in base al posizionamento ossia a quello che l’azienda/marca vuole rappresentare nella mente delle persone.

Se penso ad esempio al #realbeauty di Dove, nella selezione di contenuti non mi limiterei semplicemente alla vera bellezza di persone vere opposte alla bellezza “irreale” proposta dal sistema della moda, ma coinvolgerei la bellezza reale in tutti i suoi ambiti ed espressioni (graffiti di strada, gesti e chi più ne ha più ne metta, creativamente parlando c’è solo l’imbarazzo della scelta).

Questo indipendentemente dal fatto che la creazione di contenuti realizzata da Dove focalizzata sulla bellezza vera di donne vere sia abbondantemente efficace, perché quanto più una marca è capace di trascendere dal suo nocciolo senza perdere la propria essenza e tanto più diventerà forte.

Per inciso, ahimè, non ho nessun rapporto professionale con Dove.

 

Siate direttivi, non dogmatici.

La selezione di contenuti è sempre legata a degli obiettivi e ad una visione che creano il valore aggiunto grazie ai quali il totale della cura dei contenuti è più della somma delle parti. Se però vogliamo che la cura dei contenuti sia uno strumento di dialogo dobbiamo essere onestamente aperti e quindi eliminare il più possibile i preconcetti. Detto in altre parole non evitare di selezionare contenuti rilevanti solo perché non sono allineati con la nostra visione.

 

Siate aggiuntivi non duplicativi.

Aggiungete considerazioni ai contenuti selezionati, collegateli tra di loro secondo i vostri obiettivi e la vostra visione. E’ questo che vi fa passare dalla raccolta di contenuti alla selezione, con il relativo auemnto di valore aggiunto.

 

Siate di una trasparenza cristallina.

Nei principi e negli scopi che vi guidano, nel perché delle scelte, nelle fonti da cui attingete (e magari fate un po’ più di fact checking di quello che fanno normalmente i giornali italiani), nel citare e dare credito dei contenuti a chi li ha prodotti.

 

Siate agnostici.

I contenuti coerenti/rilevanti/interessanti rispetto ai vostri obiettivi ed alla vostra visione possono trovarsi ovunque. Tenete occhi e orecchie aperte senza avere (troppe) idee predeterminate sull’origine dei contenuti; state ai fatti.

 

L’atto di selezione implica sempre un atto di comunicazione.

Questo mi sembra talmente ovvio che se provo a spiegarlo sicuro che mi ingarbuglio. Quindi lo lascio così.

 

N.d.A.: rileggendo l’articolo di Krajicek per scrivere questo post mi sono reso conto che trattava la cura dei dati e non dei contenuti (non a caso è Chief Commercial Officer di GfK Consumer Experience. Quindi il contenuto del post è principalmente farina del mio sacco e poco citazione/traduzione di quanto ha scritto lui. Quello che ho mantenuto integralmente uguale all’articolo originale sono i titoli dei paragrafi, a dimostrazione che i principi della curation vs. collection sono simili, che si tratti di dati o di contenuti.  

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