“Vanità delle vanità, tutto è vanità”, Ecclesiaste 1,2; 12,8.
“Non si sfugge alla propria età”, Il diavolo in corpo, Raymond Radiguet (credo).
Quando questo blog è nato, circa 10 anni fa, l’intenzione era che fosse anche uno spazio di discussione e riflessione sul marketing strategico e operativo.
Poi col tempo ha preso, rapidamente, un taglio sempre più assertivo. Un po’ la scarsità dei comenti, un po’ l’interesse manifestato (sia on che off line) dagli affezionati lettori, un po’ (temo) l’indole professorale dell’autore (ossia me).
Quello di oggi però è veramente un post più di domande che di risposte, perché riguarda un tema sempre più importante nel marketing attuale su cui sento che la mia visione è parziale: la gestione dei social media.
Li uso e li ho usati forse ancora di più in passato, ma percepisco il rischio di farne un uso antiquato, conseguenza della mia età anagrafica.
Non so quindi se i miei dubbi sulle strategie social di tante aziende siano fondati o meno.
I dubbi i vengono dai numeri che vedo in giro: post di facebook con 10/30/50/70 likes, tweet di twitter senza retweet e senza link che portino traffico al sito aziendale (o in altri posti di interesse per l’azienda), foto su Instagram farcite di ashtag, che magari con il contenuto della foto non hanno niente a che vedere.
Perché? La grande domanda è “PERCHE’” le aziende sono attive sui social network. Dalla risposta dipende il come (stile), cosa (contenuti), dove (quali social) e quando (frequenza).
Perché costa poco.
Vero, ma comunque non è gratis perché richiede tempo e, con lo sviluppo che ha avuto il social marketing anche competenza specifiche. Quindi sempre più spesso le aziende esternalizzano la gestione dei social ad agenzie specializzate. Rischiosissimo a mio parere perché porta automaticamente ad una carenza di autenticità che è la base della comunicazione (digitale) odierna.
Perché lo fanno (tutti) i concorrenti.
Vero, ma è sufficiente? Il sito oggi per un’azienda è sicuramente indispensabile, non averlo genera dei dubbi sull’effettiva esistenza di un’azienda, figuriamoci sulla sua salute / operatività. Però il sito vive benissimo anche solo come catalogo sempre e facilmente disponibile. I contenuti sono indiscutibili e giustificati, che le visite siano 100 o 100.000 al mese (che poi è un dato conosciuto solo dall’azienda). Non c’è il rischio che diventi un boomerang per l’immagine aziendale, come c’è invece per i profili social.
Perché la coda è lunga.
Vero, ma allora ci vuole il targeting.
E qui arriviamo alle vanity metrics. Se cercate in letteratura, come si diceva una volta, ossia “googolate”, probabilmente troverete che le vanity metrics sono i likes, le condivisioni, i retweets, il numero di fan e/o di follower, ecc…
Secondo me non è esattamente così. La definizione che mi è piaciuta di più l’ho trovata in questo articolo su Fizzle: vanity metrics sono quelle statistiche che sono belle a vedersi, ma non significano veramente niente di importante.
Specularmente le actionable o business metrics sono quelle statistiche collegate ad una specifica, ripetibile, attività aziendale con un impatto sugli obiettivi operativi e/o economico finanziari dell’azienda.
L’implicazione è che una metrica sarà di vanity o di business in relazione agli obiettivi definiti dall’azienda. E’ dal 1990 che mi occupo seriamente di marketing e che sento ripetere che per prima cosa bisogna definire gli obiettivi. E’ dal 1994 che mi occupo di marketing all’interno delle aziende e continuo a trovare resistenze più o meno palesi a definire gli obiettivi delle strategie e delle attività pria di intraprenderle.
Gli obiettivi poi non sono altro che le risposte al “perché” un’azienda /marca è attiva sui social media. Awareness? Immagine? Repuation? Marketing intelligence?
Sono gli obiettivi che definiscono il contesto in base al quale decidere che parametri misurare e come valutarli.
Per una marca/azienda l’obiettivo non è essere brava nei social media; l’obiettivo è essere (più) brava negli affari grazie ai social media.
Vero che le due cose non necessariamente combaciano, però a me il dubbio resta: delle buone vanity metrics sono la precondizione per delle buone business metrics?
Intento leggo questo articolo di Eric Ries, ospitato sul blog di Tim Ferris (non chiedetemi chi siano perché non lo so, era il primo link che appariva nella ricerca su google, total vanity) e poi ne riparliamo.