Dopo l’ennesimo intermezzo sul sistema del vino dello scorso 4 novembre, eccomi come promesso con il seguito del post sul futuro della pubblicità, pubblicato lo scorso 28 ottobre.
Salterò a piè pare l’interessante questione del futuro del giornalismo, buttata lì come nota di colore e che ha suscitato il commento di Diego. Opinioni ed informazioni più qualificate delle mie le potete trovare sul blog “Il Giornalaio” di Pier Luca Santoro e l’articolazione del il mio punto di vista l’ho data in un post del 2008 (non so perchè, ma ho come la sensazione di aver già scritto questa cosa da qualche parte).
Vado quindi all’argomento del futuro delle agenzie pubblicitarie in uno scenario di declino (dei consumi) di pubblicità, e lo faccio partendo dal modello AIDA (Attention-Interest-Desire-Action). Dopo aver letto il post un’amico (sempre lui) mi ha detto che nell’attuale contesto di frammentazione dell’uso dei mezzi di comunicazione il modello AIDA non vale più perchè gli stimoli che attivano i diversi livelli del processo non arrivano più alle persone in modo univoco e lineare. Io concordo con lui solo sull’ultima parte del ragionamento.
Dal punto di vista dei processi di comportamento continuo a credere che le persone debbano passare attraverso i livelli del modello AIDA quando fanno qualcosa e se abbiamo l’impressione che si tratti di un modello lineare ad imbuto è solo perchè nella pratica del marketing è stato applicato in tempi in cui gli scenari competitivi (la società) era più semplice e quindi le risposte agli stimoli più dirette.
Esempio 1: confeziono il formaggio Philadelphia Kraft in una scatolina di legno grezzo ed “automaticamente” aumento le vendite. La scatolina mi porta ad avere maggior visibilità sullo scaffale (attention), dare una percezione di genuinità (interest), farmi venir voglia di mangiarlo (desire) e comprarlo (action).
Questo però non significa che anche in passato il modello AIDA potesse realizzarsi anche in assenza di pubblicità, attraverso il passaparola, vedere una cosa per strada ecc.., con tempi indeterminati e magari circolari che tornavano ad attivare i diversi livelli AIDA rimasti sospesi.
E oggi? Oggi la norma sta diventando/è ricevere stimoli da fonti diverse su mezzi diversi ed è per questo che nel mio post precedente parlavo del fatto che la pubblicità non è più in grado di esaurire tutto il processo del modello AIDA, ma può svolgere un ruolo di attivatore (o ri-attivatore) dei vari livelli. Dovrà quindi articolarsi con gli altri (nuovi) strumenti.
Attenzione, ho detto “strumenti”, perchè i principi non cambiano. Ed analizzare la combinazione principi/strumenti è fondamentale per non fare errori.
Esempio 2: La pubblicità di un’azienda nella colonna di destra di facebook (ovvio che finivo lì) è una fonte diversa dal pensiero sullo stesso prodotto/servizio scritto da un nostro amico che appare di fianco. Allo stesso tempo però condividere lo stesso mezzo, dà a quella pubblicità un valore diverso rispetto ad un annuncio sul giornale, se non altro perchè mi permette immediatamente di approfondire il mio interesse per quello che viene pubblicizzato, aumentare il desiderio attraverso le informazioni che posso raccogliere e passare all’azione di acquisto tramite l’e-commerce.
E mi sono limitato solo ad un media del digitale, senza allargarmi a QR codes, Groupon e simili, Twitter, ecc…
Quindi la prima direttrice di sviluppo futuro/sopravvivenza per le agenzie è quello di passare dalla pubblicità alla COMUNICAZIONE. Ma questo non è nè nuovo, anche se non basta cambiare “Agenzia di pubblicità” con “Agenzia di comunicazione” per cambiare il servizio offerto ai clienti, nè sufficiente.
Proprio la frammentazione dei mezzi e la perdità di efficacia della pubblicità ha fatto crescere negli utlimi anni gli investimenti in attività di Pubbliche Relazioni, a loro volta frammentate su più mezzi. Ora faccio una domanda: la sponsorizzazione del lancio con paracadute dalla stratosfera da parte della Red Bull è pubblicità o sono pubbliche relazioni? Boh! La cosa importante è che è un’attività che rafforza il posizionamento perseguito dalla marca con diversi strumenti che, nel caso della Red Bull, vanno (a scendere) dagli sport estremissimi, a quelli estremi, a quelli avventuro/ludici, alla pubblicità.
In questo scenario, se l’agenzia di pubblicità si limita solo alla pubblicità sta perdendo buona parte del business potenziale.
L’altro giorno una persona mi ha detto una cosa che gli hanno insegnato ad un corso per venditori: tu incominci a vendere da quando il consumatore dice che non gli interessa il prodotto. Viceversa non sei tu che stai vendendo, è lui/lei che sta comprando. Ovvio, ma illuminante.
Tornando al modello AIDA, la pratica del marketing l’ha legato finora esclusivamente o soprattutto all’attività pubblicitaria e comunicazione, ma la capacità di un prodotto/servizio di attivare il ciclo Attenzione-Interesse-Desiderio-Azione risiede principalmente nei benefit che è in grado di promettere (e mantenere) ai consumatori. In altri termini nella capacità di rappresentare e sostenere un pozionamento. Che è poi lo scopo del marketing.
Utilizzando la terminologia del corso per venditori, il prodotto perfetto è quello che non viene venduto dall’azienda, ma comprato dal consumatore.
Ecco perchè secondo me il futuro delle agenzie di pubblicità è il ritorno al passato dell’agenzia a servizio completo. Quella che insieme al cliente (o da sola se il cliente non era in grado) realizzava l’analisi dello scenario competitivo, definiva l’identità di marca, il concetto di prodotto, coordinava l’attività di comunicazione e di acquisto dei mezzi in modo coerente (funzione che l’attuale frammentazione dovrebbe rendere oggi più importante che in passato), indicava le linee guida distributive e realizzava le attività promozionali.
Vedo questo futuro sia guardandolo dalla parte delle agenzie (o ritornano a coprire altri ambiti oltre a quello specifico della pubblicità oppure faticheranno ad uscire dalla crisi) si guardandolo dalla parte dei clienti, che non hanno la dimensione e/o le competenze e/o il tempo per sviluppare e gestire autonomamente le strategie di marketing.
A questo punto le questioni sono due: le agenzie pubblicitarie hanno le competenze e la cultura necessaria per (tornare ad) essere agenzie di marketing? I clienti sono disposti a pagare queste competenze come facevano in passato?
Che dire, Lorenzo? Che condivido il ragionamento da cima a fondo. Dal punto di vista delle agenzie, i problemi sono tanti e si aggravano di giorno in giorno. E’ vero, per colpa nostra abbiamo perso competenze e cultura e, tranne qualche caso, non siamo in grado di proporci come interlocutori unici nella gestione della comunicazione dell’azienda. Da anni predico la necessità per i colleghi di formarsi ed aggiornarsi, ma spesso è più comodo continuare a fare quello che le aziende ci chiedono di fare, salvo poi lamentarci del ruolo assegnato.
Che belle riflessioni.
Seguo il suo blog da 1 anno e cerco di imparare ciò che lei scrive per applicarlo.
Complimenti!
@Mattia, grazie.
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